Tipologie di piccoli imprenditori
Tipo |
Dinamico/Creativo |
Amministrativo/Attuativo |
Versatile |
Forte | Forte |
– Molto adattabile- Eccessiva polivalenza genera mediocrità nella gestione
– Strategia di diversificazione prodotti/mercati – Rispecchia il modello della imprenditorialità manageriale |
||
Pioniere |
Forte | Debole |
– Corrisponde all’innovatore Shumpeteriano- Molto propenso al rischio
– Strategie di diversificaizone prodotti/mercati – Buone performance |
||
Organizzatore |
Debole | Forte |
– Comportamento amministrativo- Buone facoltà nazionali, analitiche e organizzative | ||
Routiniero |
Debole | Debole |
– Assai prudente- Scarsa propensione al rischio
– Poche prospettive di successo nel lungo termine – Strategie di penetrazione del mercato – Performance non elevate |
La tipologia Stratos (1990): rapporta ai 4 tipi le strategie che essi adottano e in cui hanno successo e le relative performance.
Successiva ricerca sull’internazionalizzazione non c’era più l’imprenditore Routiniero, forse perché:
- Non presente sul mercato internazionale;
- Gli imprenditori hanno acquisito abilità amministrative;
- Specie praticamente estinta.
La tipologia di Smith (1967) Si basa sulle differenze socio – culturali
Imprenditore artigiano– Svolge attività esecutive
– Privilegia accentramento potere – Orientamento a breve periodo – Maggiore staticità |
Imprenditore opportunista– No attività esecutive
– Delega di responsabilità – Forte adattabilità – Orientamento a lungo periodo – Buona flessibilità |
- La tipologia di Stanworth e Curran (1973)
- La tipologia di Goffe e Scase (1980)
- La tipologia di Julien e Marchesnay (1988)
- Piccole Imprese STABILI e Piccole Imprese EMERGENTI
- IL MODELLO DI GREINER
- Punti nodali del contributo di Greiner (1997):
- IL MODELLO DI CHURCHILL E LEWIS (1983)
- IL CICLO DI VITA DELL’IMPRENDITORE e dell’impresa
- Crisi nel ciclo di vita della piccola impresa:
La tipologia di Stanworth e Curran (1973)
Dall’identità sociale latente deriva definizione che ogni imprenditore dà del proprio ruolo:
Identità dell’artigiano | La sua soddisfazione deriva dalla autonomia nello svolgere il proprio lavoro; dalla scelta dei collaboratori; dalla qualità del risultato in termini di prodotti/servizi personalizzati; crescita dimensionale non contemplata. |
Identità imprenditore classico | La sua soddisfazione deriva dal profitto generato. Sono di secondaria importanza le caratteristiche tipiche dell’imprenditore artigiano; la crescita dimensionale è dubbia. |
Identità del manager | La crescita è considerata desiderabile o necessaria. |
La tipologia di Goffe e Scase (1980)
Variabili considerate: ruolo imprenditoriale; rapporti con i dipendenti
Piccole imprese auto datori |
Utilizzano collaboratori familiari, più soddisfazione dal proprio lavoro che non dall’obiettivo di crescere. |
Piccole imprese D.L. |
Affiancano i loro dipendenti nelle attività produttive; dirigono e amministrano la loro impresa; no crescita |
Piccole imprese amministratori |
Si dedicano a compiti amministrativi e di gestione; richiedono sistemi formali di direzione; spesso preferiscono non crescere per evitare che venga meno il rapporto fiduciario con i dipendenti |
Piccole imprese. manager |
Controllano piccole imprese più grandi; il rapporto fiduciario non è più sufficiente; deleghe a manager, tecnici e staff. |
La tipologia di Julien e Marchesnay (1988)
Si collega direttamente a quella di Smith e identifica il tipo di impresa che deriverà dal tipo di imprenditore mosso da obiettivi diversi:
Imprenditore C.I.C.: (Continuità – Indipendenza – Crescita)
- Autofinanziamento;
- Familiare;
- Bassa competitività;
- Possibile successo durevole;
- Autocratica;
- Vulnerabile al cambiamento.
Imprenditore C.A.C.: (Crescita – Autonomia – Continuità)
- Anche finanziamento esterno;
- Più suscettibile di crescere attraverso le opportunità a più alto rischio;
- La crescita può limitare ma dovrà mantenere l’autonomia;
- Cresce attraverso esternalizzazione di alcune funzioni.
Piccole Imprese STABILI e Piccole Imprese EMERGENTI
Piccole imprese emergenti (USA): tutte le piccole imprese sono destinate a crescere attraverso stadi di un ciclo di vita e a diventare “grandi” – sono dotate di attributi organizzativi del modello “manageriale”;
Piccole imprese stabili (UK): maggioranza piccole imprese non crescono, poiché i piccoli imprenditori temono conseguenze d’aumento di dimensione, non perseguono massimizzazione profitto; l’apparente contraddizione dipende dal fatto che USA focalizza l’impresa sugli studi di management attribuendole lo stile manageriale di gestione, mentre UK focalizza la soggettività del p.imprenditore da cui dipende il concetto di imprenditorialità. I 2 tipi di piccole imprese sono in 2 diverse posizioni nel continuum dei ruoli di comando:
- Aumentano i ruoli manageriali per sostenere la crescita e la stabilità.
La piccola impresa emergente è tale poiché la crescita non è un’opzione, ma è un vincolo: crescere o fallire.
Le verifiche empiriche rilevano che i due tipi di piccole imprese dipendono dalle scelte degli imprenditori (Churchill e Lewis);
Le scelte degli imprenditori sono libere da vincoli o sono imposte dalle caratteristiche strutturali del settore?
I settori frammentati e maturi/i settori emergenti hanno caratteristiche che impongono la scelta di rimanere nella data dimensione oppure di crescere. Però i fattori soggettivi personali degli imprenditori sono alla base della creazione di imprese ed influenzano mantenimento o crescita dimensionale
IL MODELLO DI GREINER
Osserva il percorso di espansione/crescita delle imprese che passa attraverso 5 fasi intervallate da momenti di crisi (crescita per creatività – crisi di leadership / crescita per direzione – crisi di autonomia / crescita per delega – crisi del controllo /crescita per coordinamento – crisi di burocrazia / crescita per collaborazione?).
Punti nodali del contributo di Greiner (1997):
- La relazione unidirezionale opportunità/strategia/struttura organizzativa di Chandler non sempre si verifica: la struttura è meno malleabile di quanto previsto e può influenzare la strategia.
- Il cambiamento organizzativo è imposto dall’aumento della dimensione; mantenendo la stessa dimensione si mantengono le stesse logiche manageriali.In ogni stadio del ciclo ci sono due fasi: di evoluzione (sviluppo evolutivo non richiede cambiamenti di stile di direzione) e di rivolgimento (tale stile diventa un problema di direzione da risolvere per non arrestare lo sviluppo).
- Il modello interessa la Piccola impresa che si identifica nel primo stadio, dove lo stile è imprenditoriale (area 1 = area della piccola impresa): l’aumento della dimensione impone uno stile manageriale (area 2 = area possibile della piccola impresa);
- Non prevede che l’imprenditore possa realizzare la “mutazione” (evoluzione nel ciclo di vita);
- Più spesso ci sarà una crisi di leadership: l’imprenditore rifiuta di mettersi da parte, non può o non vuole modificare i suoi comportamenti (ipotesi di Greiner) con il fenomeno di discontinuità impresa – imprenditore;
- Subentra un manager che formalizza l’organizzazione
IL MODELLO DI CHURCHILL E LEWIS (1983)
Offre i più significativi contributi avallati anche da indagini sul campo. Si analizza la crescita e i suoi stadi non solo attraverso la dimensione, ma anche attraverso la dispersione spaziale e la complessità.Ogni stadio viene descritto attraverso cinque variabili manageriali.
– Stile di direzione
- Struttura organizzativa
- Sistemi manageriali formali
- Obiettivi strategici/Strategia
- Coinvolgimento imprenditore
IL CICLO DI VITA DELL’IMPRENDITORE e dell’impresa
Sono in parallelo: deve esserci coerenza delle variabili manageriali nei vari stadi; i fattori chiave di successo in ogni stadio assumono diversa importanza; occorre anticipare le configurazioni delle variabili manageriali prima di transitare nel nuovo stadio.
I stadio: Esistenza = saper fare
II stadio: Sopravvivenza = saper far fare
III stadio: Successo = saper lasciar fare
IV stadio: Maturità = capacità a gestire strategicamente l’impresa
Il modello di crescita delle p.i. italiane non prevede la struttura divisionale ma la gemmazione.
L’imprenditore artigiano trova difficoltà a passare da uno stadio all’altro. L’imprenditore opportunista è già adatto, grazie al suo background, per i successivi stadi.
Crisi nel ciclo di vita della piccola impresa:
DI START-UP – Dipende da errori iniziali: le persone chiave non hanno sufficiente esperienza per gestire l’attività d’impresa; il fabbisogno finanziario è stato sottovalutato; mancano info per corrette decisioni.
DI CASSA – Dipende da eccessiva spinta vs. profitti e crescita: si collega alla sotto capitalizzazione; si confondono i risultati economici con quelli finanziari; si ignora che la crescita comporta aumento del fabbisogno finanziario.
DI DELEGA – Dipende dall’incapacità di delegare compiti a validi collaboratori quando l’impresa non più gestibile da una sola persona, ma non può permettersi un “team” di manager.
DI LEADERSHIP – L’impresa si è dotata di manager, ma l’imprenditore non consente di formalizzare i ruoli, le responsabilità, i sistemi manageriali. Anche crisi di pianificazione e controllo: l’imprenditore continua a “fare” invece che a “pianificare”.
DI CAPITALIZZAZIONE – La crescita non può più essere finanziata con il cash flow e i capitali personali, ma l’imprenditore è restio a fare debiti, a rivolgersi al venture capital, ad ampliare i soci, perdendo il controllo.
DI COMPIACIMENTO – Il successo spinge a parziale disimpegno dell’imprenditore e lo convince della validità futura dei fattori che l’hanno prodotto.
DI ESPANSIONE/DIVERSIFICAZIONE – Il successo fa sopravvalutare le capacità di gestione proprie/dei manager. errati piani ampliamento con eccessivi investimenti, diversificazione in attività senza le necessarie competenze e risorse.
DI SUCCESSIONE – In caso morte o ritiro.
DI COINVOLGIMENTO – L’imprenditore che si è ritirato e dedicato ad altre attività vuole tornare a gestire gli affari.