Le economie pianificate
I paesi con sistemi economici pianificati socialisti erano la Bulgaria la Cecoslovacchia la repubblica democratica tedesca l’Ungheria la Polonia la Romania l’unione sovietica e la Jugoslavia. Le economie pianificate continuavano a dedicare maggiori risorse alle industrie pesanti. Interessi dei consumatori venivano subordinati alla crescita e i salari crescevano molto meno velocemente della produzione. La crescita fu agevolata da un vero e proprio esodo dalle campagne.
Negli anni 60 cominciarono a scarseggiare le risorse non sfruttate e divenne necessario passare da un progresso estensivo ad uno intensivo. Il numero dei trattori ad esempio divenne più che doppio tuttavia l’unione sovietica era costretta ad importare grano. Messa di fronte al compito di gestire un’economia sempre più complessa, il rigido sistema di pianificazione sovietico cominciò a mostrare i suoi primi punti deboli. La direzione burocratica reagiva in maniera inadeguata all’innovazione.
Nel 65 le imprese furono autorizzate ad associarsi al fine di costituire un livello di autorità intermedio tra la fabbrica e il centro. Furono introdotti incentivi monetari per i lavoratori e fondi per il miglioramento degli impianti. Vennero incoraggiati gli interventi volti a ridurre i costi. Queste riforme trovarono eco negli altri paesi del blocco orientale. Non ci furono però grandi risultati in quanto la razionalità economica non poteva conciliarsi facilmente con un dirigismo economico soggetto a decisioni politiche. La tecnologia rimase arretrata e gran parte della spesa per importazioni dipese dalla necessità di macchinario avanzato. Lo sforzo di ricerca era prevalentemente concentrato nel settore degli armamenti e nel conseguimento di obiettivi di prestigio quali i viaggi nello spazio. Il consiglio per la mutua assistenza economica comecon rifletteva la necessità di colmare il divario tecnico con l’Occidente.
Nel 63 fu fondata la banca internazionale tra i paesi del blocco orientale mediante l’unità di conto concordata del rublo di trasferimento il cui effetto fu però limitato. Tuttavia il principale obiettivo del comecon dichiarato era il coordinamento dei programmi economici e lo sviluppo di una divisione internazionale del lavoro e tutto questo non venne realizzato perché tutti i paesi tendevano a muoversi per proprio conto.
Nel corso degli anni 50 l’industrializzazione cinese aveva proceduto a rotta di collo sul modello sovietico. Nel 58 Mao Zedong compì l’idea di compiere un grande balzo in avanti ma il fallimento delle nuove industrie pesanti cinesi lo trasformò in una catastrofe economica. La produzione agricola cadde del 25 per cento e si tornò così a metodi tradizionali. Tra il 65 e il 66 si raggiunse un massimo storico di crescita ma essa fu nuovamente interrotta dalla rivoluzione culturale del 66 69. Il marxismo caratterizzato da una visione della classe contadina quale classe sfruttata incarnava valori importanti per la nuova Cina di conseguenza milioni di lavoratori qualificati e di specialisti furono mandati a svolgere lavori non qualificati nelle fattorie. La produzione agricola cadde meno drasticamente ma perdite pesanti si ebbero nella manifattura. Finalmente nel 70 la rivoluzione fu fermata e la crescita economica poté ricominciare. Questo approccio che fa a zig zag tra un tentativo e l’altro riflette un dilemma o una contraddizione nella gestione comunista: era possibile ottenere la collettivizzazione e altre misure cooperative oppure l’efficienza ma non entrambe contemporaneamente.
Da notare che furono proprio i periodi di entusiasmo ideologico a dare peggiori risultati. L’agricoltura cinese rimase altamente intensiva e in gran parte del paese l’alimentazione si basava sul riso. Comunque la Cina fu in grado di aumentare la produzione impiegando tecniche migliori riuscendo a mantenere la popolazione crescente. In ogni caso la percentuale di lavoratori occupati nel settore industriale era eccezionalmente alta per un paese così povero e ciò può essere spiegato in parte dalla forte natura dualistica dell’industria cinese.
Secondo il punto di vista di gran parte del terzo mondo lo sviluppo economico cinese nel complesso va considerato un successo perché la limitazione della libertà non appariva così odiosa ad un popolo che aveva normalmente già pochissimi privilegi e l’esperimento cinese sembrava comunque in netto contrasto con le pratiche delle liste di governo del terzo mondo. La Cina a differenza di molti altri paesi poveri possedeva una lunga tradizione di dimestichezza con le lettere e lo studio di competenza tecnica e di esperienza amministrativa e torno utile ai pianificatori comunisti.