Approfondimento sulla corsa al petrolio
La fatica fisica dell’uomo è sostituita dall’energia delle macchine. La storia economica diventa la storia (nella prima rivoluzione industriale) del carbone e poi (nella seconda) del petrolio. Considerando gli anni dal 1850 al 1930, è possibile mettere in luce il ruolo dei cambiamenti nell’industria ed il rapporto tra potere economico e politico.
La nascita dell’industria petrolifera
Nel 1854 Gesner brevetta il processo della raffinazione del cherosene e del gas illuminante.
Il petrolio, inizialmente, è soltanto “l’olio per le lampade della Cina”.
Dal 28 Agosto ’59, grazie ad Edwin Drake, che perfora il primo pozzo della storia in Pennsylvania, si ha il “boom petrolifero”, con la caduta dei prezzi (dovuta all’aumento dell’offerta) da 20 dollari a 50 centesimi al barile nel ’61.
Nel 1900 il petrolio rappresenta ancora solo il 2,4% dei consumi energetici statunitensi, contro il 75% del carbone.
Da notare è il predominio nel settore degli USA, fino alla seconda guerra mondiale.
Agli inizi del ‘900 il centro petrolifero diventa il Texas, dove viene individuato il giacimento di Spindletop, enorme per l’epoca, ma non considerabile un supergigante (almeno 500 milioni di barili; oggi arrivano anche a 5.000).
Il primo supergigante fu scoperto in Venezuela nel ’17.
Quanto al Medio Oriente i primi supergiganti sono scoperti negli anni venti in Iran e Iraq.
Già nel 1912 le vendite di benzina superano quelle di cherosene ed il grande balzo si ha col modello popolare Ford T.
Altro aspetto rilevante è il miglioramento della rete stradale, pagata per lo più con le tasse sulla benzina stessa.
Con lo sviluppo delle navi da guerra, il rifornimento di petrolio diventa una questione di sicurezza nazionale.
In Gran Bretagna, vista l’assenza di giacimenti sul territorio, il problema è visto diversamente.
Nota: Nel 1914 il governo inglese entra come socio al 51% nella Anglo-Persian Compact, la progenitrice della British Petroleum (nota come BP).
Di fronte al rischio di un’offerta insufficiente, in pochi anni l’abbondanza di petrolio succede alla scarsità.
All’interno degli USA le ricerche petrolifere sono stimolate da una normativa fiscale chiamata Depletion Allowance,
che finisce, in pratica, con l’annullare le tasse pagate dalle compagnie petrolifere.
Nota: Solo negli Stati Uniti esiste la rule of capture, che prevede che il padrone del terreno possegga i diritti sul sottosuolo. Fazzoletti di terra vennero venduti agli aspiranti petrolieri, affiancando un pozzo all’altro, senza una razionale distribuzione della risorsa e senza uno sfruttamento ottimale.
Le fasi:
- una fase iniziale di concorrenza, che generò un processo di concentrazione di industrie
- intervento pubblico anti-trust
- controllo oligopolistico dell’industria petrolifera
La fase iniziale
All’interno del mercato dominante, quello americano, si ha un soggetto dominante: Rockefeller.
Egli guida il consorzio dei raffinatori della Pennsylvania. Il mercato è ridotto ma ha un’espansione elevatissima.
Si tratta di un tipico esempio di “capitalismo di frontiera”: il consorzio sfrutta i piccoli produttori, discrimina i prezzi grazie agli accordi con le compagnie di trasporto, e Rockefeller scalza i suoi soci.
Nel 1882 viene adottata una nuova struttura giuridica: lo Standard Oil Trust, controllato da Rockefeller e 7 soci.
Esso diventa motivo di preoccupazioni politiche. Fra l’altro, nel 1904 Ida Tarbell pubblica “History of the Standard Oil Company” denunciando anche la corruzione all’interno della compagnia.
L’intervento pubblico
A difesa della piccola impresa, nel 1890, il presidente Harrison firma la legge Sherman, che vieta ogni contratto o attentato alla libertà del commercio. Alcuni anni dopo, sotto Roosvelt viene costituita la sezione antitrust.
Nel 1911 la Corte Suprema decreta il frazionamento del gruppo in 34 società diverse. Tra esse troviamo 3 delle 7 sorelle.
La politica antitrust dell’epoca, però, ha limiti notevoli: il frazionamento avviene mediante la distribuzione delle azioni, che non limita, di fatto, “il governo invisibile di Rockefeller”.
La Standard Oil company si integra verticalmente, ovvero è presente in tutte le fasi in cui le operazioni sono divise: a monte (trasporto e produzione) ed a valle (distribuzione). Le altre compagnie la imitano.
Dopo la Grande Guerra, con l’accordo di Sanremo del 1920, francesi e inglesi si sostituiscono ai tedeschi nel controllo del greggio dell’ex impero ottomano. Gli Stati Uniti, invece, sostengono “la dottrina della porta aperta”, secondo la quale nessuno doveva limitare l’ingresso di nuove compagnie nel Medio Oriente.
Nascono una serie di tensioni politiche ed economiche che, unite alle scoperte di nuovi giacimenti (Kirkuk e Iraq, ’26) ed alle conseguenti brusche oscillazioni dei prezzi, generano, tra gli altri motivi, la crisi del ’29.
La guerra dei prezzi è favorita dalla nazionalizzazione delle compagnie sovietiche, dopo la rivoluzione bolscevica del 1917, che introdusse sul mercato grandi quantità di petrolio a prezzi ridotti (in Russia si badava più al mercato interno).
La transazione al controllo oligopolistico
Negli anni venti la guerra dei prezzi, già accennata, con forti oscillazioni, deve essere arrestata da un sistema di stabilizzazione dell’offerta e di vincoli alla concorrenza.
La struttura oligopolistica poggia su due pilastri:
- prorationing negli USA: consistente nel far funzionare i pozzi a rotazione, solo in certi giorni del mese, per evitare un eccesso di Offerta (poiché attuato dallo Stato l’antitrust è aggirata)
- Accordi di cartello sui mercati internazionali: l’accordo della linea rossa (chiamato così perché il mediatore armeno Gulenkian ne delimita i paesi con una matita rossa sulla cartina) è il più famoso.
L’accordo “As is” (cioè di preservazione della situazione al momento della stipulazione) chiamato anche Achncacarry (dal nome del castello scozzese dove viene concluso), che impegna le 7 sorelle a collaborare, viene scoperto nel ’52.
Le maggiori compagnie assumono ben presto dimensioni multinazionali, ma soprattutto sono integrate verticalmente.
L’accordo prevede anche una stabilizzazione della produzione tra compagnie crude-long e crude-short (cioè tra le compagnie che vedono un eccesso di produzione o che si trovano nella situazione opposta).
Le otto compagnie (7 sorelle + la francese Cfp) giungono a controllare il 99% del mercato non statunitense o comunista.
Teorie e interpretazioni
Se nella 1a rivoluzione industriale assistiamo al passaggio dal legno al carbone, dopo la 2a si ha il passaggio al petrolio.
Ricordiamo che, mentre negli USA il passaggio avviene gradualmente, in Europa si ha di botto dopo la Seconda Guerra.
Il marginalista Jevons in un saggio chiamato “The Coal Question” del ’65, predice il declino dovuto all’esaurimento delle risorse naturali, previsione pessimista rivelatasi infondata.
Per ultima, consideriamo una caratteristica fondamentale del settore: il peso massiccio dei costi fissi, che induce le compagnie a produrre per coprirli, anche qualora i ricavi scendano sotto il prezzo, incorrendo in perdite.
Solo con una struttura oligopolistica, dunque, l’impresa è indotta a considerare gli effetti delle proprie scelte sul mercato.