Introduzione agli indici ed indicatori statistici
Cosa è un indice? Una misura che serve a riassumere il comportamento di un certo fenomeno. Dà l’indicazione del fenomeno. Che differenza c’è tra indice e indicatore? Cominciamo oggi a parlarne. Verso la fine del corso si parlerà di alcuni indici particolari: indici dei prezzi al consumo. Interverrà a dicembre, il primo o il secondo martedì, una unità del personale del comune, che vi spiegherà con gran dettaglio quali siano le procedure che il comune segue nella rilevazione dei prezzi. L’inflazione, il tasso di inflazione a livello nazionale, è un aggregato delle variazioni di prezzo che si misurano a livello locale. Le strutture che sono delegate alla rilevazione dei prezzi sono gli uffici statistici comunali, secondo uno schema stabilito dal programma statistico nazionale nell’ambito del Sistan.
Statistica: non ha origine chiara e ben definita. Può essere legata a status, posizione attuale, lo stato delle cose, stadera bilancia in latino, stat città. Più in generale è ricondotta alla parola stato, perché misura queste grosse misure dello stato inteso come stato o come nazione. La parola statistica fa riferimento al numero residenti, numero di famiglie, numero di abitazioni, numero di ovini caprini bovini, fa riferimento anche a tutti i movimenti turistici in ingresso ed in uscita dal paese, le strutture alberghiere. Statistica non rappresenta necessariamente l’insieme di metodi e tecniche per analizzare i campioni, ma rappresenta un insieme di tecniche di sintesi di grandezze per il paese. È la definizione storica di statistica, è la vecchia statistica, quella istituzionale. C’è chi l’ha definita come l’altra faccia della politica: la politica dovrebbe indicare come un paese andrebbe governato, la statistica dice come il paese viene governato, quali sono i grandi numeri. Oggi la parola statistica non ha più significato di misurazione delle grandezze dello stato, l’abbiamo già accennato, in realtà si parla di statistica con sondaggi di opinione, interessi sui farmaci, l’analisi dei mercati finanziari, anche le previsioni del tempo. Se prendete un qualsiasi programma su internet che vi dia le previsioni del tempo vi danno: probabilità di pioggia 40%. Secondo me è abbastanza confuso. Pioverà il 40% della giornata o con la probabilità del 40% verrà a piovere? Non è chiaro cosa si intenda con probabilità di pioggia. Queste metodologie richiedono metodologie statistiche. La statistica, sembra strano dirsi, ma ormai, per molti versi, si trova ovunque, si trova in qualsiasi situazione in cui vi siano dei dati da analizzare. Per alcuni versi anche il trattamento informatico dei dati è statistica. Tutte le analisi dati sono statistica. Anche tutte le analisi fatte in azienda sono in realtà poi analisi di tipo statistico. In alcuni casi prendono nomi differenti. Non so se farete controllo di gestione: si parla di indici di bilancio e si ottengono delle percentuali, si dà un significato sottostante ad una metodologia statistica. La statistica è qualsiasi analisi dati. Qualsiasi tipologia di analisi dati rientra nella statistica. Però, noi abbiamo parlato nel corso di statistica economica come un corso di statistica ufficiale, anche se la statistica ufficiale richiede alcuni aspetti inferenziali. Non possiamo pensare che la statistica ufficiale sia solamente analisi censuaria, ci sono anche analisi campionarie. L’obiettivo dell’analisi della statistica economica e sociale è di ordine macro. Gli aggregati che si vanno a studiare sono solitamente macroeconomici. La produzione statistica ufficiale è quella che viene utilizzata per le grandi decisioni di politica economica ed economia monetaria. La statistica ufficiale serve per prendere decisioni. La statistica ha l’obiettivo di aiutare un decisore: dirigente d’azienda, revisore contabile o sia governatore BDI – BCE. Il grado di complessità dello strumento varia a seconda della complessità dei dati e della decisione. Calcolare gli indici di bilancio è semplice, CCN è una formula da seguire con le poste di bilancio. Non ci sono grandi analisi da fare, molto spesso non è considerata statistica se non l’applicazione di una formula. È chiaro che una decisione di politica economica, decidere di alzare, introdurre l’IMU, abbassare l’IVA, sono analisi che richiedono simulazioni di scenario. Cosa succederebbe se facessimo questo o quest’altro? Devo avere aggregati di dati sottostanti che ci permettano di prendere decisioni. Lo stesso avviene a livello locale. Se si vogliono attuare particolari politiche sociali nell’ambito di regione provincia e comune, bisogna avere alla mano un po’ di numeri per evitare di andare a disperdere l’attività e le risorse del comune in maniera tale da cercare di focalizzarle nei luoghi e verso le persone che effettivamente ne hanno bisogno. A nessuno verrebbe in mente di aprire una mega struttura di asilo nido nell’entroterra ligure sperduto nei monti. Meglio farlo dove i bambini ci sono. Ci sono situazioni in cui il contesto nel quale prendere le decisioni non è chiaro. La statistica ufficiale serve a fornire delle informazioni per i decisori. Abbiamo le decisioni come fine ultimo della statistica, e della statistica ufficiale. Attenzione: la statistica non si può sostituire al decisore. Il decisore (PDC, ministro dell’economia, assessore comunale o regionale, direttore di una azienda ospedaliera, responsabile di un certo numero di asili nido) deve cercare di individuare la soluzione migliore sulla base degli elementi certi che ha a disposizione. Può trarli dalla propria esperienza ma anche dai database amministrativi di cui abbiamo parlato sino ad oggi. La statistica non ha uno scopo autoreferenziale di piacersi e produrre tabelle e dati, ma ha lo scopo di fornire le basi per prendere le decisioni. Ve lo dico già, in generale in Italia c’è una particolare resistenza nei confronti del dato statistico, il dato statistico non mente. Ci sono modi per mentire con la statistica. Ma se i dati vengono raccolti e analizzati nel modo giusto non mentono. Se la politica ha o meno avuto successo i dati non mentono. C’è una resistenza a livello italiano. La cultura italiana è di tipo umanistico letterario. Ci sono persone quasi orgogliose che in televisione dicono che non conoscono il teorema di Pitagora. Se una persona non sa chi ha scritto l’Iliade o l’Odissea è una vergogna. Non conoscere le basi della matematica, la differenza tra una stella e un pianeta, allora quello non è grave! Se avete velleità più scientifiche metteteci una croce su, la cultura italiana è prevalentemente umanistica. Tant’è vero che la statistica viene sempre utilizzata poco, la sensibilità nei confronti del dato è scarsa. Diversamente dai paesi anglosassoni o del nord Europa, in cui le decisioni vengono fortemente effettuate sulla base dei dati. Ci sarebbe molto da dire su questo, ma non apriamo il capitolo.
Guardiamo la complessità dell’informazione statistica. Il mondo corre sempre più veloce. Lo sentiamo dire spesso, l’abbiamo già detto sulla questione della pertinenza e tempestività dell’informazione statistica. Abbiamo visto le caratteristiche del dato statistico: accurato, pertinente e tempestivo. Avere oggi i dati di tre anni fa serve a poco. C’è bisogno di avere informazioni sempre più tempestive. Non so se avete visto, credo che vi sia sfuggito, nel decreto sviluppo di Monti è stato deciso che l’Italia userà il sistema rolling census francese. Le informazioni sono campionarie aggiornate ogni anno con rotazione quinquennale dei comuni che vengono campionati. Quel sistema verrà realisticamente adottato anche in Italia. Le decisioni devono essere prese sempre in tempo. Abbiamo un mondo che cambia velocemente. I dati che abbiamo rilevato non si riferiscono più alla popolazione di adesso. Trovate il dossier della Caritas che dice che in Italia 5.000.000 di immigrati regolari tra cui 2.000.000 nella CE. I dati li prendo oggi e tra sei mesi non valgono più. La produzione statistica ufficiale, anche l’Istat, stanno introducendo nei loro dati anche un aspetto previsto. Vanno a cercare di prevedere come sarà l’inflazione, disoccupazione, prodotto interno lordo di qui a tra sei mesi in modo da dare al decisore pubblico la possibilità di prendere decisioni non a posteriori ma possibilmente ex ante, in modo tale da anticipare la tendenza e correggere la rotta.
Non possiamo permetterci di sbagliare nel prendere le decisioni. Possiamo permettercelo, tutto dipende dall’effetto della nostra decisione. Se si tratta di aprire o meno un punto vendita possiamo ancora gestirlo. Decidere se uscire o meno dall’euro, o prendere una azione piuttosto che un’altra di politica economica, sono terreni minati con i mercati finanziari. Dall’altro punto di vista abbiamo sempre più informazioni disponibile, abbiamo i database amministrativi. Bisogna: analizzare i dati raccolti, trasmettere l’informazione contenuta dentro di essi e prendere le decisioni. Questo vale si a livello di statistica ufficiale che di statistica per le decisioni aziendali. Anche per decisioni di marketing o strategia d’azienda è chiaro che questo deve essere fatto. Vediamo un esempio di come è cambiata la complessità dell’informazione. Prendiamo le domande che erano presenti, il numero dei questi, che erano presenti nei questionari dei censimenti. Nel 1861, primo censimento italiano, avevamo 13 domande: 9 dati anagrafici, 1 famiglia alloggio, 2 istruzione, 1 occupazione. Col passare degli anni le domande sono aumentate. Se vedete la barra, l’istogramma, il diagramma a barre è tanto più lungo quanto più lunghe sono le domande. I colori differenti fanno riferimento alle domande. I dati anagrafici fanno da padrone dei questionari sino al 1936 e il numero di domande è rimasto fluttuante tra il dieci e venti con sforamento delle venti nel 1921 e 1931. Tra quei due anni, nel 1926 abbiamo l’istituzione dell’Istat.
Nel dopoguerra le domande sono cresciute moltissimo. Quello che poi è diventato interessante, è che in linea di principio le domande relative ai dati anagrafici sono rimaste le stesse se non addirittura sono diminuite. Potendosi avvalere di dataset amministrativi, negli anni 80 e 90 c’è stato un minor bisogno di andare a rilevare direttamente questo fenomeno. Sono aumentate molto le domande relative a famiglia e alloggio. Da una domanda sino al 1936 a 8 a 19 sino a 22. Sono cresciute, anche se in modo meno forte, le domande relativamente all’istruzione. L’occupazione è diventa un po’ più interessante dal punto di vista di indagine. Questionari del 2001 e 2011 sono aumentati moltissimo. Siamo partiti con 13 domande nel 1861 e, dopo 15 censimenti, siamo arrivati ad oltre settanta domande. È evidente che il bisogno informativo si è reso più stringente. Se hai bisogno di più informazioni rilevi più dati. Vediamo che il settore in cui sono cresciute di più le domande è l’istruzione anche se l’occupazione è cresciuta molto. Ci siamo stabilizzati dal secondo dopoguerra riguardo al numero di domande su famiglia e alloggio. Anche le domande sui dati anagrafici si sono rese abbastanza stabili ma sono aumentate per rilevare meglio la componente straniera della popolazione.