Acquisto e perdita della qualità di imprenditore
Condizione necessaria e sufficiente all’acquisto della qualità di imprenditore è l’esercizio effettivo di un’ attività imprenditoria (art.2082 c.c.). In precedenza si riteneva che questo corrispondesse con l’avvenuta iscrizione nel registro delle imprese, ma questa regola è stata accantonata in quanto avrebbe portato al fallimento le società “dormienti” (società costituite ma che ancora non hanno iniziato la propria attività).
Con la nuova disciplina si acquista l’attività di imprenditore già durante la fase di organizzazione in quanto questa è caratterizzata da un insieme di atti finalizzati ad un fine produttivo. Può essere sufficiente anche un solo atto di organizzazione imprenditoriale, sufficientemente consistente, per affermare che l’attività ha avuto inizio.
E’, infine, rilevante individuare il momento in cui si acquista e si perde la qualità di imprenditore.
Possono, in astratto, darsi due risposte:
- In base al principio di effettività, si diventa imprenditori con l’effettivo inizio dell’attività e si smette di esserlo con la sua effettiva cessazione;
- L’acquisto e la perdita della qualità di imprenditore si ricollega a dati formali quali l’iscrizione o la cancellazione del soggetto nel registro delle imprese.
Per quanto concerne l’inizio dell’impresa l’applicazione del principio di effettività è pacifica solo con riguardo alle persone fisiche.
Per le società, invece, è prevalente l’idea che esse siano imprenditori fin dal momento della costituzione. Anche per quanto riguarda la cessazione dell’impresa vi è una distinzione da operare tra imprenditori individuali e società.
Per i primi è pacifica l’opinione che la fine dell’impresa coincida con la dissoluzione dell’apparato aziendale, che si individua in quel “punto di non ritorno” passato il quale potrà aversi una nuova attività, ma non la resurrezione di quella originaria, da accertare caso per caso. Per le società, invece, la situazione è in piena evoluzione.
La giurisprudenza ha a lungo affermato che le società non si estinguono con la cancellazione delle stesse dal registro delle imprese, ma rimangono in vita fino a quando residua un qualsiasi rapporto giuridico facente capo alla società.
Ma la riforma del diritto delle società di capitali fissa espressamente la coincidenza tra l’estinzione della società e la sua cancellazione dal registro delle imprese. La linea di tendenza dell’ordinamento è dunque nel senso di far coincidere estinzione della società e sua cancellazione dal registro delle imprese.
E’ prevedibile, dunque, che anche la fine dell’impresa, analogamente a quella che si afferma per il suo inizio, verrà, in sede interpretativa, fatta coincidere con l’estinzione della società e così con la predetta cancellazione.
Imputazione dell’attività d’ impresa.
E’ imprenditore il soggetto il cui nome è speso nell’attività di impresa.
L’attività di impresa e di conseguenza gli atti giuridici necessari per il suo svolgimento possono tuttavia essere svolti da terzi. E’ questo il caso del mandatario, soggetto che agisce nell’interesse di un altro soggetto e che può porre in essere i relativi atti giuridici sia spendendo il proprio nome (mandato senza rappresentanza), sia spendendo il nome del mandante (mandato con rappresentanza).
Nel caso di mandato con rappresentanza gli effetti degli atti giuridici posti in essere dal mandatario ricadono direttamente nella sfera giuridica del mandante; nel primo caso invece gli effetti cadono nella sfera giuridica del mandatario e sorgono a carico di questo sia i diritti sia gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi.
L’imprenditore occulto.
E’ largamente praticato l’esercizio dell’attività di impresa mediante interposta persona.
Uno è il soggetto che compie in proprio nome gli atti di impresa, il prestanome, altro è il soggetto che dirige di fatto l’impresa e fa propri tutti i guadagni, imprenditore occulto.
Poiché il prestanome ha agito in proprio nome si assume i rischi derivanti dall’attività di impresa, e diviene imprenditore commerciale. I creditori potranno quindi provocarne il fallimento. E’ tuttavia vero che il prestanome è quasi sempre dotato di un patrimonio insufficiente, quindi i creditori ben poco potranno ricavare dal suo fallimento. Di conseguenza il rischio di impresa non sarà mai esercitato dal reale dominus dell’impresa, quanto piuttosto dai suoi creditori.
Esistono due modi per coinvolgere il reale dominus nel fallimento:
- Teoria dell’imprenditore occulto: chi esercita il potere di direzione di una impresa (potere gestorio) se ne assume necessariamente anche il rischio e risponde delle relative obbligazioni (scarso successo per incompatibilità normativa con la disciplina della responsabilità limitata).
- Teoria dell’impresa fiancheggiatrice: il soggetto che possiede una partecipazione di comando e dispone quindi del potere di indirizzare l’attività di impresa è ritenuto titolare di una autonoma impresa di investimento e in caso di fallimento questo potrà fallire in quanto imprenditore individuale dell’impresa fiancheggiatrice.
Fine dell’impresa.
L’esatto momento di cessazione dell’attività è importante ai fini dell’applicazione della disciplina illustrata nell’art.10 della Legge Fallimentare. Secondo la nuova disciplina, sorta dopo l’intervento della Consulta, la qualifica di imprenditore si perde con l’effettiva cessazione dell’attività di impresa.
La fine dell’impresa è di regola preceduta da una fase più o meno lunga di liquidazione in cui l’imprenditore completa i cicli produttivi iniziati, licenzia gli operai, vende le rimanenze e definisce tutti i rapporti pendenti; la fase di liquidità deve ritenersi chiusa solo con la definitiva disgregazione del complesso aziendale.
Il nuovo art.10 della Legge Fallimentare afferma che gli imprenditori, sia individuali sia collettivi, possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese se l’insolvenza si è manifestata anteriormente la medesima od entro l’anno successivo.
L’attuale dato normativo induce ad affermare che la cancellazione dal registro è condizione necessaria affinché l’imprenditore possa beneficiare della decorrenza di un anno. Non è tuttavia condizione sufficiente, essendo necessario anche il completamento della fase di liquidazione e la definitiva cessazione dell’attività.
Incapacità ed incompatibilità.
La capacità all’esercizio di attività di impresa si raggiunge con il raggiungimento della piena capacità di agire, vale a dire al compimento della maggiore età e si perde in seguito ai provvedimenti di inabilitazione o di interdizione.
L’incompatibilità all’esercizio è posta a carico di coloro che esercitano determinate professioni o sono posti a capo di determinati uffici; la violazione di tali disposizioni non preclude l’acquisto della qualità di imprenditore ma espone a sanzioni amministrative e penali per bancarotta in caso di fallimento.
E’ consentito l’esercizio dell’attività di impresa per conto di un incapace da parte dei relativi rappresentanti legali (tutore, curatore, amministratore di sostegno).
Non è consentita la costituzione di una nuova impresa ma è consentita soltanto la continuazione di una impresa già esistente a patto che l’attività sia utile per l’incapace e sia stata autorizzata dal tribunale. Particolare è la posizione dell’inabilitato che, sotto autorizzazione del tribunale può continuare ad esercitare personalmente l’attività assistito dal curatore.
Il minore emancipato (colui che ha contratto matrimonio prima del compimento della maggiore età) può essere autorizzato alla costituzione di una nuova impresa acquistando piena capacità di agire.