Quando dovrebbe indebitarsi un’impresa
- Le imposte societarie
- Imposte personali e societarie
- Costi del dissesto
- Primo gioco: aumento del rischio
- Secondo gioco: rifiuto di fornire capitale netto
- I costi del dissesto variano secondo l’attività dell’impresa
- La teoria del trade-off della struttura finanziaria
- L’ordine di scelta nelle decisioni di finanziamento
Le imposte societarie
Il finanziamento tramite debito presenta un vantaggio molto importante nel sistema di tassazione delle società di capitale negli USA. L’interesse che una società paga è un costo fiscalmente deducibile. I dividendi e gli utili trattenuti non lo sono. Di conseguenza, gli interessi pagati agli obbligazionisti sono scaricabili.
Un’impresa ha la possibilità di godere del beneficio fiscale da parte del Governo, che viene calcolato sull’aliquota marginale (massima).
Per esempio: reddito totale = 100.000€, aliquota di tassazione = 45%; senza debito pagherei 45.000€ di tasse, ma se gli interessi sul debito sono di 1000€, mi deduco 450€. Senza deduzione di costi per interesse, il reddito al netto delle imposte è 55.000€, mentre con gli interessi è = 100.000 – (100.000 – 1.000) x 45% = 54.450€. A questo punto, il reddito sembrerebbe inferiore. Ma in realtà, dobbiamo sommare 1000€ di interessi = 55.450€.
55.450 – 55.000 = 450 di risparmio fiscale grazie alla deducibilità.
Chiaramente il capitale preso a prestito ha un costo e bisognerà tenerne conto nella valutazione, altrimenti si potrebbe pensare di contrarre sempre debito per godere dei benefici fiscali. La deducibilità fiscale degli interessi aumenta il reddito totale che può essere distribuito agli azionisti e obbligazionisti.
Supponiamo che il rischio dei risparmi fiscali sia uguale a quello dei pagamenti per interessi (esempio: 10%)
VA del beneficio fiscale = 450 / 0.10 = 4.500€
Ammontare degli interessi = costo del debito x ammontare preso a prestito
VA del beneficio fiscale del debito = aliquota d’imposta della società x pagamenti per interessi attesi / Costo atteso del debito.
Ma esistono diversi motivi che spiegano perché i nostri calcoli sovrastimano il valore del beneficio fiscale del debito:
1) Il debito non può essere fisso, perché cambia al variare della redditività dell’impresa
2) Molte imprese hanno aliquote marginali inferiori al 45%
3) Non si può utilizzare il debito come scudo fiscale se non vi è un reddito futuro sufficiente da coprirlo
4) Scopriremo che esiste anche uno svantaggio fiscale (sulle imposte personali) che annulla il VA degli interessi
5) Troppi costi per indebitamento generano rischio di fallimento
Imposte personali e societarie
Oltre alle imposte appena viste bisogna considerare anche le imposte personali, ossia le imposte pagate dagli obbligazionisti e dagli azionisti. Secondo la struttura finanziaria dell’impresa, un dollaro di reddito operativo arricchirà gli investitori come interesse (obbligazionisti) o come reddito azionario (dividendi o capital gain). Al fine di determinare il vantaggio fiscale, le imprese dovrebbero conoscere le varie aliquote di tutti i soci e i creditori, cioè conoscere (impossibile) l’aliquota fiscale sopportata dall’investitore marginale, per cui è indifferente investire in azioni o obbligazioni. Non realizzando subito il capital gain, tuttavia, si può ridurre l’aliquota d’imposta.
Costi del dissesto
Il dissesto si manifesta quando non si mantiene fede alle promesse fatte ai creditori. Può portare al fallimento, altre volte indica rischio. I suoi costi dipendono dalla probabilità di verificarsi.
Valore dell’impresa = valore se finanziata totalmente tramite capitale netto + VA del beneficio fiscale – VA del dissesto
Inizialmente, fino ad un determinato punto (che deve intuire il manager finanziario), il VA del risparmio fiscale aumenta con l’aumentare dell’indebitamento della società, ma ad un certo punto, contraendo ancora altro debito, la probabilità del dissesto aumenta rapidamente e i costi dovuti per esso incidono sul valore dell’impresa. Inoltre, se l’impresa non può essere sicura di trarre beneficio dal risparmio fiscale, è probabile che questo diminuisca fino a scomparire del tutto. L’indebitamento massimo ottimo teorico è raggiunto quando il VA dei risparmi fiscali dovuti ad un maggiore indebitamento viene compensato dall’incremento del VA dei costi legati al dissesto. Questo afferma la teoria del trade-off sulla struttura finanziaria. Più un’impresa si indebita, maggiori sono i tassi di interesse da promettere agli obbligazionisti. I costi del fallimento sono invece pagati con il denaro degli azionisti (liquidi il capitale sociale).
Esistono economie di scala, tuttavia, anche nelle procedure di fallimento, per cui la loro incidenza percentuale tende a diminuire significativamente al crescere della dimensione dell’impresa.
Oltre a considerare dei costi diretti di fallimento, esistono anche quelli indiretti, quali l’immagine, la difficoltà a reperire capitali etc.
Nel dissesto senza fallimento, si giunge ad un livello molto alto di indebitamento senza fallire e si possono verificare tutta una serie di giochi tra proprietà e creditori, dove ognuno mira ai propri interessi, ma non al bene generale.
Primo gioco: aumento del rischio
Gli azionisti di un’impresa che usa il debito, guadagnano quando aumenta il rischio operativo. I responsabili finanziari, che agiscono nell’interesse degli azionisti (contro i creditori) preferiranno progetti rischiosi rispetto a quelli sicuri, magari con VAN negativi. Il proprietario, scommettendo con i soldi degli obbligazionisti, godrebbe dei vantaggi maggiori se il progetto andasse a buon fine. Chiaramente una strategia di investimento di questo tipo è costosa sia per l’impresa sia per l’economia in generale.
Secondo gioco: rifiuto di fornire capitale netto
Abbiamo visto che gli azionisti agendo nel loro interesse personale possono accettare progetti che riducono il valore globale di mercato dell’impresa. Si tratta di errori di esecuzione. I conflitti di interessi possono portare anche ad errori di omissione. Qui, al contrario del primo gioco, se il proprietario crea nuove azioni per investire in un progetto a VAN positivo, tira fuori i soldi e poi deve dividere i benefici con gli obbligazionisti, che guadagnano dal tasso di rischio inferiore. Con un apporto di capitale azionario, il rischio dell’azionista sale, mentre scende quello dell’obbligazionista.
Riassumendo sui conflitti di interesse: in caso di crisi aziendale, investimenti in progetti a VAN negativo favoriscono gli azionisti, che tentano di far riprendere l’impresa con i soldi dei creditori, mentre investimenti con VAN positivo possono non essere preferibili dalla proprietà, che dovrà dividere i benefici con i creditori.
Altri giochi:
1) Prendi i soldi e scappa: il valore di mercato delle azioni dell’impresa diminuisce meno dell’ammontare del dividendo pagato, perché il declino dell’impresa è condiviso con i creditori. È il contrario del secondo gioco.
2) Guadagna tempo: quando un’impresa è in dissesto, i creditori vorrebbero tentare di salvare il possibile per passare alla liquidazione. Esempio: manipolazioni contabili volte a celare la reale gravità dei problemi.
3) Bait and switch: si inizia una politica conservatrice, poi ad un tratto si emette tanto debito, questo fa sì che i “vecchi obbligazionisti” vedano le proprie obbligazioni più rischiose. La loro perdita, tuttavia, costituisce il guadagno degli azionisti.
Maggiore è il debito che l’impresa contrae, maggiore è la tentazione di entrare in questi giochi. Le banche, per questo, spesso chiedono garanzie o limitazioni negli investimenti ed, in casi estremi, vogliono rappresentanti in consiglio di amministrazione.
I costi del dissesto variano secondo l’attività dell’impresa
Ipotizziamo un albergo ed un’impresa ad alta tecnologia in fase di dissesto. Mettiamo in evidenza il fatto che il valore delle attività è completamente diverso: in uno parliamo di immobili, nell’altro di attività che, senza l’impresa in funzionamento, non generano valore. Nel primo caso, quindi, esisteranno soltanto spese legali e giudiziarie, nel secondo sarà molto più difficile recuperare il denaro investito. Queste considerazioni si riflettono anche sulla scelta di indebitamento o meno dell’impresa: un’impresa ad alta tecnologia o una farmaceutica cercherà di limitare l’indebitamento, mentre un’impresa con un grande sottostante potrà sempre contrarre mutui ipotecari, per esempio.
La teoria del trade-off della struttura finanziaria
Essa riconosce che i rapporti di indebitamento ottimi possono variare da impresa ad impresa (come appena detto).
La teoria del trade-off contribuisce a chiarire quali siano le imprese che escono dal mercato attraverso il leveraged buyout: gli LBO sono acquisizioni di società quotate da parte di privati investitori che usano il debito per finanziare buona parte del prezzo di acquisto. Inoltre, ci dice che le società pesantemente indebitate dovrebbero emettere azioni, limitare i dividendi e liquidare attività al fine di ricavare contante con il quale riequilibrare la struttura finanziaria.
La teoria del trade-off, invece, non spiega, però, perché alcune società di più successo contraggono poco debito (vedremo che è perché non ne hanno bisogno).
L’ordine di scelta nelle decisioni di finanziamento
Asimmetria informativa: i manager hanno più informazioni degli investitori.
Se un’impresa ha un alto valore reale ma il mercato non se ne accorge, le conviene emettere debito per evitare di abbassare il valore delle azioni. Al contrario, se un’impresa ha valore reale più basso di quello che pensa il mercato, emetterà azioni per evitare di indebitarsi ulteriormente.
Esiste un ordine di scelta per le decisioni di finanziamento:
1) Reinvestimento degli utili
2) Utilizzo delle riserve
3) Emissione del debito: l’informazione asimmetrica favorisce prima le emissioni di debito che di azioni.
4) Emissione di azioni
È meglio raccogliere capitale di rischio reinvestendo gli utili non distribuiti, piuttosto che emettendo azioni. Un’impresa con ampie risorse generate internamente non deve vendere nessun titolo e può evitare i costi di emissione e informativi.