La valutazione delle strategie
Si possono evidenziare 2 momenti valutativi:
- valutazione preventiva della strategia: bisogna disporre di idonee metodologie di valutazione da applicare preventivamente
- valutazione successiva: quando si tirano le somme dei risultati conseguiti rispetto agli obiettivi a loro tempo fissati, al fine di determinare le cause degli scostamenti e di trarre dall’esperienza utili indicazioni ai fini delle decisioni strategiche future.
- La valutazione preventiva delle strategie: il criterio del valore
- Il criterio del valore per gli azionisti
- La teoria del valore in Italia
- Problemi di applicabilità del criterio del valore per l’azionista
- Qual è la miglior tecnica di misurazione del valore?
- Il criterio del valore a livello corporate
- La valutazione della strategia a livello ASA
- La valutazione della strategia a livello corporate
- La valutazione ex-post delle strategie
- Gli indici economico-finanziari
- La valutazione del valore creato
La valutazione preventiva delle strategie: il criterio del valore
La valutazione della strategia può essere validamente fondata sul contributo che essa apporta al valore dell’impresa. In dottrina, un punto di riferimento in questo campo è Alfred Rappaport, che ha sviluppato la problematica specifica della valutazione delle strategie in funzione del valore creato per gli azionisti, avendo riguardo delle grandi corporation americane.
Il criterio del valore per gli azionisti
La valutazione preventiva ha luogo sulla base di alcune categorie logiche di portata generale:
- profittabilità: capacità di generare ritorni soddisfacenti; è espressa mediante il criterio della creazione di valore per l’azionista.
- consonanza: adeguatezza della strategia rispetto all’aspetto dinamico di medio termine
- fattibilità: può essere analizzata sotto due prospettive:
- quantitativa (fattibilità finanziaria)
- qualitativa
In un mercato finanziario trasparente ed efficiente, il valore borsistico dell’impresa è funzione del valore attualizzato dei flussi monetari che le strategie realizzate promettono di generare in futuro. La partecipazione di investitori istituzionali conferisce stabilità al mercato, evitando il prevalere di correnti speculative altrimenti in grado di alterare la significatività delle quotazioni. I fattori di maggior peso sulla rappresentatività dei prezzi delle azioni rispetto al valore dell’azienda quotata sono:
- la presenza di norme, regolamenti e autorità di controllo in grado di ridurre le possibilità d’utilizzo da parte degli operatori di informazioni privilegiate (insider trading) e obbligare i potenziali scalatori a effettuare OPA.
- consolidata abitudine alla trasparenza mediante la diffusione dei dati
- la natura delle società più importanti di public companies, che comportano l’assenza di un azionista di riferimento.
Secondo Rappaport, il valore azionario è dato dal valore societario al netto delle sue passività. Il valore societario è formato da 3 elementi:
1) il valore attuale del cash flow operativo stabilito attraverso dal DCFA (DCF analysis)
2) valore residuo: rappresenta il VA attribuito alla business unit allo scadere del periodo di analisi previsto
3) il valore corrente di mercato degli asset finanziari, e non già ricompresi nel valore residuo
Una volta calcolato il valore azionario, si passa alla stima della creazione di nuovo valore associabile allo scenario di previsione riferito all’ipotesi di comportamento strategico soggetto a valutazione. La migliore opzione sarà quella che produrrà il valore più alto per ogni unità di capitale investito (VROI).
VROI = valore creato dalla strategia / investimento incrementale richiesto dalla strategia
Quando il VROI è = 0, la strategia produce solo il costo del capitale e non c’è alcun aumento di valore azionario.
Il tasso di attualizzazione da applicare ai flussi di cassa attesi deve riflettere il costo del capitale e incorporare il livello di rischio dei flussi di cassa cui si riferisce.
La stima del valore residuo non può condurre che a scelte di breve termine piuttosto che quelle di consolidamento della capacità competitiva dell’impresa nel lungo periodo. Non esiste una formula univoca per calcolare il valore residuo.
Nel caso in cui l’impresa si proponga di perseguire una strategia di mantenimento, il valore residuo potrà essere stimato pari al valore attuale del cash flow supposto costante, sotto forma di una rendita perpetua. Nel caso di una strategia di sviluppo, è implicita l’esigenza di valutare gli effetti delle specifiche prospettive di mercato sui cash flow preventivati.
Valore residuo = annualità / costo del capitale.
Per la determinazione del valore residuo si possono utilizzare in alternativa: prezzo / utile (P/E = Price/Earnings) oppure il rapporto tra valore di mercato e contabile (M/B = market/book).
La teoria del valore in Italia
La dottrina aziendalistica italiana accetta il principio della creazione di valore come guida per le decisioni aziendali, ma ponendo 2 importanti questioni:
- per il calcolo del valore che può essere creato dalla strategia in corso di valutazione, il metodo della somma dei flussi di cassa attualizzati e del valore residuo è validissimo in teoria, ma proprio in quanto estremamente analitico risulta di difficile applicabilità concreta.
- Nella realtà italiana, la struttura proprietaria, solo in pochi casi, corrisponde a quella delle public companies.
Queste problematiche sono state sviluppate da Guatri, che fa suo il criterio del valore, ma approfondisce la distinzione fondamentale tra valore del capitale economico dell’impresa in senso stretto e valore per l’azionista.
Il valore economico dell’impresa è il risultato di una valutazione che deve rispondere a criteri di:
- generalità: stima che prescinde da situazioni contingenti, spesso legate a fluttuazioni tra domanda e offerta.
- razionalità: il valore deve essere costruito mediante uno schema logico, chiaro, e condivisibile
- dimostrabilità: le quantità espresse devono avere un buon grado di obiettività e di credibilità
Guatri distingue rispetto al valore economico W, un valore borsistico delle azioni che costituiscono il flottante Wm, un valore delle azioni relative al pacchetto di controllo Wmm ed ancora un valore Wa che costituisce il limite di prezzo per potenziali acquirenti dell’impresa, sulla base del suo valore economico e delle eventuali ulteriori utilità che essi possono soggettivamente trarre dall’acquisizione. Il rapporto r = Wm/W costituisce il coefficiente di valutazione del mercato ed è tendenzialmente <1. Gautri ritiene che la teoria della creazione del valore può essere meglio applicata utilizzando, in luogo del metodo finanziario, un criterio di tipo reddituale, sia inteso nella formula della rendita perpetua W ≡ R / i, che presuppone una vita indefinita della corrente di reddito, sia nella formula della rendita limitata ad n anni.
Per quanto riguarda l’applicazione della teoria del valore con il metodo del reddito al problema della valutazione delle strategie, Guatri distingue nella stima del valore economico dell’impresa, la componente connessa all’incremento dimensionale legato alla ritenzione ed al reinvestimento degli utili prodotti dalla componente che deriva da cause innovative (effetti di scelte strategiche da assumere). L’autore distingue, quindi, uno sviluppo naturale legato solo alla possibilità per l’impresa di generare e ritenere i profitti ad un certo livello, ed uno sviluppo innovativo che dipende dalla capacità di scoprire e realizzare nuove opportunità generatrici di profitto.
Problemi di applicabilità del criterio del valore per l’azionista
Guatri ha stigmatizzato molto bene il problema della sostanziale impossibilità di formulare (a fronte di ipotesi strategiche di ampio respiro) attendibili previsioni a medio-lungo termine dei cash flow sulle quali basare calcoli analitici. Per quanto riguarda la determinazione del tasso di attualizzazione, si può convenire che si possa pervenire ad una giusta valutazione del costo del capitale nonostante i problemi posti dalla determinazione del costo del capitale azionario. Il maggiore problema in questo campo è costituito dalla difficoltà della stima del premio di rischio, soprattutto nei casi in cui si confrontino soluzioni strategiche aventi livelli di rischiosità differenti. Per la valutazione del valore residuo le difficoltà sono evidenti, viste le condizioni di astrattezza, perciò i risultati derivanti da queste metodologie devono essere presi in considerazione con grande cautela e certamente non assolutizzandoli.
Porter non si preoccupa di queste problematiche nelle sue opere, preferendo concentrare la sua attenzione sullo sviluppo di tutti gli aspetti della ricerca del vantaggio competitivo. L’applicazione del criterio del valore per gli azionisti e l’analisi della strategia finalizzata alla ricerca del vantaggio competitivo, benché abbiano in comune lo scopo di individuare le alternative strategiche, non sono equivalenti, ma si collocano su piani diversi e presentano differenze significative. L’analisi strategica basata sul vantaggio competitivo di Porter è volta alla creazione di valore per il cliente tramite la differenziazione o leadership di costo, mentre il criterio del valore è riferito all’azionista il cui arricchimento costituisce l’obiettivo finale della strategia. Tutto ciò fa capire che l’analisi del valore per l’azionista non può essere considerata il surrogato di un’autentica comprensione del reale posizionamento competitivo, ma da essa deve derivare i suoi input. Implicazioni importanti dell’applicazione del criterio del valore:
- occorre distinguere il momento della definizione della strategia da quello della valutazione del valore creato
- la misura e le modalità della manifestazione del valore economico creato in termini di valore per l’azionista dipendono dalla struttura proprietaria dell’impresa, dalla posizione del singolo azionista, dalla trasparenza ed efficienza dei mercati finanziari.
Vediamo come, con riferimento al sistema italiano, le varie tipologie di struttura proprietaria condizionano l’impostazione ed i risultati della valutazione delle strategie (è la critica di Guatri a Rappaport per l’Italia):
- Società quotate ma aventi un soggetto economico determinato: non esiste un solo valore per l’azionista, perché le condizioni sono diverse tra azionisti di controllo e di minoranza, in termini di influenza, pertanto è logico che le decisioni strategiche porteranno alla formazione dei due diversi valori Wmm (del pacchetto di controllo) e Wm (delle quote di minoranza), con il primo che incorpora la possibilità di utilizzare il controllo azionario per creare valore a proprio favore.
- Società non quotate a proprietà chiusa, tipicamente familiare: la gestione strategica è tipicamente orientata alla creazione di valore per un azionista unico o per un gruppo molto ristretto che si assume integralmente l’onere di capitalizzare l’impresa senza coinvolgere il mercato. La valutazione strategica sarà orientata a massimizzare la formazione di valore economico nella misura in cui esso può direttamente ricadere in termini di valore per il titolare:
- Prelievo di utili in denaro
- Prelievo in natura (utilizzo di strutture e risorse aziendali)
- Aumento del valore patrimoniale delle quote o azioni
Le problematiche fiscali riguardanti il trasferimento ai soci del valore da creare possono indurre a scelte sub-ottimali rispetto all’esigenza di creare valore economico nell’impresa. L’imprenditore/proprietario, libero da vincoli esterni, può concentrarsi su obiettivi a lungo termine come la creazioni di posizioni commerciali o competenze distintive.
Qual è la miglior tecnica di misurazione del valore?
Rappaport ritiene che la DCFA assicuri la massima neutralità e attendibilità del risultato, in quanto al contrario del metodo del reddito, attribuisce il giusto peso alla distribuzione temporale della formazione del valore. Inoltre, fornisce la più esatta rappresentazione degli effetti sul valore delle variazioni nel tempo dell’importo del capitale investito.
Guatri ritiene invece più valido il metodo del reddito normalizzato, basato sull’attualizzazione di valori medi attesi sul reddito di esercizio, elaborati sulla base dei trends precedenti. Questa scelta dà certamente luogo ad una lacuna conoscitiva, ma l’autore ritiene più conveniente disporre di dati approssimativi ma credibili piuttosto che di dati analitici che possono facilmente rilevarsi illusori. In realtà, la vera questione, più che la scelta della metodologia, è come gestire l’incertezza delle previsioni. Andando alla radice, la differenza quantitativa tra reddito e cash flow si limita alla scelta della distribuzione nel tempo degli ammortamenti ed accantonamenti, opposta al gioco analitico di investimenti e recuperi contemplato dalla DCFA.
Se la DCFA può essere criticata per la temerarietà di effettuare previsioni analitiche di flussi finanziari a medio termine, non si può negare altrettanta discrezionalità nella valutazione del reddito atteso. Il contesto italiano rende meno problematica l’applicazione del criterio del reddito, in particolare per i settori dove le imprese sono prevalentemente rivolte ad un mercato domestico abbastanza stabile e prevedibile. La DCFA rappresenta un tramite di rapporto tra i manager ed i mercati finanziari, può infatti essere utile per dimostrare agli analisti che tutto è sotto controllo, i rischi sono calcolati e le previsioni sono attendibili, almeno in apparenza.
Il criterio del valore a livello corporate
Il punto di partenza è la valutazione della strategia a livello di singola ASA, proprio in quanto il momento valutativo a livello corporate presuppone che siano già state apprezzate le alternative strategiche a livello di unità di business. Le valutazioni a livello corporate tenderanno ad essere tanto più valide quanto più numerose sono le alternative strategiche, individuate e valutate a livello ASA. Momenti di analisi:
- composizione del portafoglio di attività: insieme delle scelte riguardanti la presenza o meno in determinati business.
- strategie orizzontali: insieme di decisioni che riguardano il coordinamento degli obiettivi e delle strategie e dell’utilizzo delle risorse relativamente ad unità di business correlate, dati i vincoli e le sinergie riscontrate.
Il valore delle diverse ipotesi a livello corporate: VO = ΣVi + Vs – Vc.
Vi = valore della strategia definita per l’ASA iesima.
Vs = valore delle sinergie consentite dal portafoglio oggetto di valutazione
Vc = valore dei costi a livello corporate, cioè dei costi dell’impresa non attribuibili direttamente alle singole ASA
Il criterio del valore, se applicato attraverso l’attualizzazione dei cash flow, consente, infatti, di concentrare l’analisi sui flussi generabili a livello consolidato e sul valore residuo, costituito proprio da quell’insieme di risorse e competenze che rappresenterà il connotato strategico dell’impresa ai fini della competizione successiva alla chiusura dell’orizzonte temporale di valutazione.
La valutazione della strategia a livello ASA
Metodologie tradizionali: si inizia dalla logica della pianificazione strategica: è necessario precisare che la proposta di Ansoff ha valenza generale e non è specificatamente riferibile a livello ASA. Il punto di partenza è costituito da un metodo di formulazione delle strategie basato su un processo a più fasi e su un progressivo restringimento del campo delle alternative strategiche, arrivando talvolta ad una singola soluzione accettabile. Arrivato il momento della decisione, non viene consigliata una metodologia specifica ma vengono proposti 5 diversi criteri per impostare la valutazione, chiamate “norme per la decisione”.
- criterio del livello di aspirazione: stabilisce un livello minimo di performance economico-finanziario
- criterio della meta-soglia: valori minimi da raggiungere, con l’aggiunta dei valori di meta desiderati
- scelta più probabile: indice di probabilità ai rispettivi punteggi di merito rispetto agli obiettivi
- criterio del valore atteso: mette in relazione il risultato economico-finanziario riferito a ciascun obiettivo con la relativa probabilità di conseguirlo
- criterio del rapporto di scambio (trade-off): fra probabilità e punteggio di merito
La concreta esperienza della maggior parte delle imprese, orientata all’applicazione operativa dei principi della pianificazione strategica, è così rimasta per lungo tempo legata ad una semplice valutazione preventiva delle alternative strategiche sulla base di indici e parametri di performance economico-finanziaria di origine contabile con l’applicazione dei tradizionali modelli interpretativi del rapporto prodotto-mercato quali la quota di mercato ed il ciclo di vita.
Gli indicatori di redditività come il ROE ed il ROI possono rilevarsi particolarmente pericolosi se utilizzati nella valutazione dei piani strategici poiché:
- risentono delle convenzioni utilizzate nelle singole poste di bilancio (criteri contabili)
- sono incapaci di apprezzare il rischio
- non tengono conto delle prospettive economiche
- risentono dei risultati passati
A favore di questi metodi resta la facilità di utilizzo.
Nell’ambito della procedura di formulazione e valutazione della strategia di ASA, il management può utilmente avvalersi, qualunque sia l’approccio prescelto, del confronto delle risultanze della banca dati PIMS (profit impact of market strategy). Il PIMS documenta le esperienze di un ampio campione di imprese operanti in mercati e ambienti competitivi differenti, ordinandole sulla base delle condizioni di mercato in cui l’impresa opera. Il PIMS presenta i dati su 3 tipi di variabili:
1) redditività (ROI, ROS)
2) variabili strategiche (quota di mercato)
3) variabili di settore (tasso di crescita reale del mercato)
La connessione tra quota di mercato e redditività trova origine da 3 fattori:
1) possibilità di conseguire economie di scala
2) gli effetti in termini di potere di mercato
3) l’avversione al rischio da parte dei clienti
Il PIMS osserva che la quota di mercato è interpretabile come una sorta di indicatore sintetico che rispecchia alcune combinazioni dei fattori che già di per sé influenzano il profitto.
All’intensità di capitale i dati del PIMS attribuiscono un effetto critico sul reddito, con una relazione inversa. L’indice è dato dal rapporto fra capitale investito, inteso come valore contabile netto delle immobilizzazioni tecniche + il CCN + altre attività al netto dell’ammortamento e il fatturato. La relazione è data da 4 fattori:
1) l’intensità di capitale irrigidisce la struttura dei costi e stimola una competizione di tipo aggressivo estremamente costosa
2) ingenti stock di capitale rappresentano barriere all’uscita da un business non redditizio
3) le imprese ad alta intensità di capitale possono più facilmente risultare meno efficienti dei loro concorrenti
4) il management a volte non tiene conto delle differenze strutturali dei vari business nella definizione degli obiettivi di profitto
I dati del PIMS hanno dimostrato un nesso causale con la redditività delle varie aree di business, costituito dal grado di integrazione verticale. Se l’impresa riesce a realizzare una strategia di aumento dell’integrazione senza incidere sull’intensità di capitale, di solito riesce ad ottenere una redditività più elevata.
La valutazione della strategia a livello corporate
Il modello del capitale budgeting deriva dagli studi di business finance. È uno strumento per valutare in via preventiva decisioni di investimento indipendenti tra loro, al fine di ottimizzare il rapporto tra rendimento finanziario atteso e rischio, in un contesto di risorse finanziarie scarse. La sua applicazione prevede il calcolo del rendimento atteso di ciascun progetto di investimento attraverso l’applicazione della DCFA. Il processo di valutazione si snoda attraverso le seguenti fasi:
1) la produzione di proposte di investimento
2) la quantificazione dei flussi di cassa per ogni proposta
3) la valutazione dei flussi di cassa ponderati attraverso l’attualizzazione
4) la selezione delle proposte sulla base di un criterio di accettazione
Vengono presi in considerazione esclusivamente valori futuri e differenziali, costituiti da flussi di cassa in uscita (impieghi) ed in entrata (recuperi di capitali soggetti a rischio e differiti nel tempo) specificatamente rilevanti per la decisione.
Il capital budgeting risulta uno strumento rigido e non sempre adeguato, esso non riesce, infatti, a valutare efficacemente la portata strategica delle decisioni che non comportano significativi investimenti. Per venire incontro a questi problemi la materia si è, tuttavia, evoluta introducendo il concetto di opzioni reali (opportunità che la realizzazione dell’investimento conferisce all’impresa di realizzare, in tempi successivi, ulteriori profittevoli investimenti basandosi sulle competenze acquisite, sui rapporti collaborativi instaurati, sulle posizioni commerciali raggiunte). L’introduzione delle opzioni pare indispensabile per conservare la validità del capital budgeting ai fini della valutazione degli investimenti.
Dagli anni ’60, le imprese hanno largamente impiegato, a supporto dei processi di formulazione delle strategie di corporate, alcuni modelli matriciali, via via proposti dalle maggiori società di consulenza americane. Le matrici possono quindi essere impiegate a sostegno di 4 fasi della formulazione strategica:
1) allocazione delle risorse a livello corporate
2) definizione degli obiettivi di business
3) formulazione della strategia di business
4) bilanciamento del portafoglio strategico
La matrice BCG è costruita su 2 indicatori:
1) tasso di sviluppo delle vendite
2) quota di mercato relativa (dell’impresa rispetto ai concorrenti)
e si basa su 2 ipotesi fondamentali:
1) i costi relativi al prodotto decrescono proporzionalmente all’aumento della quota di mercato e quindi la redditività migliora (↑quota → ↓costi)
2) gli investimenti e gli esborsi finanziari crescono proporzionalmente al tasso di sviluppo del mercato e all’incremento della quota di mercato (↑quota → ↑I)
La matrice BCG (Boston Consulting Group: fa consulenze di direzione di altissimo livello).
Si usa come indicatore di riferimento per la crescita il tasso di sviluppo del PIL.
Il cerchio è proporzionale al fatturato realizzato. La quota di mercato relativa è un indicatore del vantaggio competitivo dell’impresa rispetto ai concorrenti (economie di scala e di apprendimento).
1) Qui i prodotti sono denominati dilemmi (enigmi/question marks) perché sono in mercati attrattivi, ma hanno una quota di mercato bassa, così devono essere sostenuti per diventare prodotti importanti per l’azienda, ma non si è in grado di dire cosa diventeranno. Si trovano in fase di lancio.
2) Stelle: sono prodotti sostanzialmente in grado di auto-finanziarsi: generano risorse ma ne richiedono ancora molte per cui ci vuole il sostegno dell’azienda. Si trovano in fase di sviluppo.
3) Cash Cows (vacche da mungere): sono detti prodotti che generano più risorse di quante ne assorbono. Si trovano in fase di maturità.
4) Cani (dogs, pesi morti): si auto-finanziano, ma non possono essere rivitalizzanti se sono maturi; vanno eliminati se sono prodotti nuovi che non si sono sviluppati. Si trovano in fase di declino.
Limiti di questa analisi (da essi sorgono altri modelli più complessi, tra cui il McKinskey):
- Inidoneità a valutare situazioni concorrenziali nelle quali sono rilevanti i vantaggi competitivi basati sulla differenziazione (ovvero: la matrice si basa solo su criteri di costo);
- Numero troppo limitato di variabili oggetto dell’analisi;
- Il tasso di sviluppo delle vendite è solo un aspetto della competitività dell’impresa;
- È inutilizzabile se i prodotti sono quelli dell’impresa pioniera.
La valutazione ex-post delle strategie
Si tratta di un processo che deve essere riferito ad un orizzonte temporale fissato opportunamente, costituito da 2 momenti:
- la misurazione dei risultati conseguiti nel periodo (economico-finanziari, strategici)
- analisi di causa-effetto tra le decisioni prese ed i risultati conseguiti, finalizzata a valutare il percorso strategico che effettivamente è stato realizzato
La valutazione ex-post non riesce sempre a dare informazioni precise sul peso che determinati comportamenti strategici hanno avuto sul risultato. La letteratura orientata ad una valutazione ex-post in termini strategici è piuttosto limitata. Il momento della valutazione successiva perde, nella pratica operativa, i suoi connotati strategici e viene prevalentemente lasciata alla semplice analisi finanziaria per indici ed al controllo di gestione.
Gli indici economico-finanziari
Essi vengono utilizzati come strumento sintetico di comunicazione verso l’esterno, in particolare nei confronti della comunità finanziaria. Sono uno strumento facilmente comprensibile ed utilizzabile. Gli indici elaborati a consuntivo vengono confrontati con quelli a preventivo osservandone gli scostamenti. Segue la ricerca della causa degli scostamenti. Questa procedura può essere completata con il confronto tra il livello raggiunto dagli indicatori e quello reperibile presso la banca dati PIMS. Il PIMS mette a disposizione a questo scopo il par delle imprese, cioè il livello normale della redditività di un business espresso in termini di ROI; si parla, quindi, di “par ROI”.
Nel collegamento fra dati di performance e comportamento strategico, gli indici economico-finanziari risultano poco significativi per verificare l’efficacia dell’azione strategica nel conseguimento dei fattori chiave ai fini della posizione competitiva futura, quali la soddisfazione del cliente, la qualità etc.
La valutazione del valore creato
Il criterio del valore può essere opportunamente applicato anche alla valutazione ex-post. Il differenziale verificatosi tra il valore stimato e quello effettivamente creato può derivare da 3 ordini di motivi:
1) valutazione preventiva inefficace
2) mutamenti del quadro ambientale originalmente non prevedibili
3) errori commessi nella fase di implementazione
Problemi di efficacia nella valutazione delle strategie:
- la valutazione ex-ante con il criterio del valore presenta un forte rischio di astrattezza
- la valutazione ex-post della strategia effettivamente realizzata costituisce una valida base conoscitiva per successivi momenti decisionali. Le riflessioni sull’esperienza consentono al management di acquisire quell’apprendimento strategico che gli permette di migliorare la gestione futura, o quantomeno di effettuare analisi esplorative per sviluppare il trend di sviluppo della capacità aziendale di creare valore.
Ulteriori problemi:
- metodologia applicabile: trae origine dalla constatazione che le proiezioni dei cash flow non possono che basarsi sulle medesime premesse che stanno alla base della ipotesi strategica formulata e della pianificazione che la dovrebbe realizzare. In sostanza, nella misura in cui i contenuti della strategia ed i cash flow previsti sono elaborati a partire dalle medesime ipotesi di partenza, il processo di formulazione finisce per risultare circolare e le sue conclusioni risultano del tutto tautologiche.
- un altro problema è intrinseco al concetto stesso di valutazione strategica preventiva. Secondo lo schema tradizionale, la gestione strategica è articolata in 3 fasi:
- formulazione della strategia: comporta la valutazione preventiva
- implementazione della strategia: consiste nell’attuazione concreta
- valutazione ex-post: costituisce un processo di controllo sul grado di conseguimento degli obiettivi assegnati alla strategia
Se la strategia è davvero una procedura in continua evoluzione, la logica della valutazione rigidamente costituita dai momenti ex-ante ed ex-post risulta essere ancora più inadeguata rispetto alla natura intrinseca del processo strategico. Se esso non ha né un inizio né una fine prestabilita, ma si sviluppa di continuo, si richiede certamente un processo di valutazione continuamente aggiornato.