Le reti

Introduzione

L’espressione “network”, secondo MintzBerg (1979) non è ancora definibile come configurazione, ma numerosi autori, tra i quali Miles e Snow (1986), ne sottolineano lo sviluppo. Si usa questa espressione per comprendere fenomeni spesso differenti tra loro. Esistono 3 concetti-base:

  1. La rete di unità esterne (recente): fa perno su un’impresa-guida (focal firm) che:
    1. occupa una posizione centrale che dà potere
    2. ha la consapevolezza che il contributo dei terzi è comunque decisivo
    3. è caratterizzata da un numero superiore di relazioni rispetto agli altri attori della rete
    4. ha un ruolo di selezione e influenza verso obiettivi diffusi
    5. viene modificata nel profilo competitivo dal tipo di interdipendenze presenti
  2. La rete di unità interne: non è solo la struttura formale che viene reticolarizzata, ma anche le missioni delle varie unità ed i rapporti fra le gerarchie.

Queste prime due reti si riferiscono a macrostrutture organizzative.

  1. La rete a livello interpersonale (network interpersonale): riguarda la psicologia e la sociologia (- formale)

Queste 3 forme di rete possono essere presenti congiuntamente. Analizziamo il primo concetto di rete: le unità esterne

La natura del fenomeno

La divisione del lavoro fra più imprese (anche esterne alla business idea), con legami né casuali né limitati, è un tema affrontato nel ’75 da Williamson, che più precisamente ha analizzato la configurazione mista fra mercato e gerarchia. L’organizzazione del lavoro mediante una simile allocazione di risorse permette di raggiungere obiettivi attraverso imprese esterne. Il ricorso a capacità esterne riguarda, in primis, le attività funzionali (ricerca, progettazione, produzione e commercializzazione). La sub-fornitura è stata utilizzata ultimamente non solo per raggiungere obiettivi di riduzione dei costi, ma soprattutto di innovazione (Lorenzoni, 1983). Altri autori (Friar e Horvitch nell’86 e Hakansson nell’87) hanno evidenziato il ruolo di ricerca e sviluppo che hanno le imprese esterne. Hakansson sostiene l’importanza delle reti nella distribuzione. Sono riconducibili alle reti anche le joint ventures (relazioni con i partner). Lorenzoni e Ornati hanno mostrato che si passa, col tempo, dal mercato al network, per far fronte alle innovazioni. Passando dalla gerarchia al network, spesso siamo in presenza di processi spontanei. Questa autogenerazione è detta self-generating system. Mattsson nell’87 ha spiegato che, in questa fase, la struttura varia a livello collettivo (insieme).

I rapporti interorganizzativi

Si debbono mettere a punto sistemi ad hoc per gestire la complessità delle interazioni. La piena utilizzazione dei potenziali si ottiene con la selezione di:

  • Validi prototipi (standardizzazione)
  • Metodi di governo complessivo
  • Selezione degli attori

I rapporti interorganizzativi sono tendenzialmente di m/l periodo. Secondo Hakansson si sommano, in uno stesso rapporto, legami vari che contribuiscono all’ispessimento della relazione di interdipendenza. Questi fatti contrastano con la condotta opportunistica prevista da Williamson, che fa riferimento a contratti singoli non ripetuti. L’intensità e la stabilità dei rapporti aumentano la consapevolezza (interpretation) nelle reti. Stinchcombe segnala la presenza della gerarchia anche in questi casi, ma l’introduzione del concetto di impresa-guida prospetta la presenza di gerarchie invisibili. La natura delle reti è bimodale e non dicotomica: sebbene la rete non sia formalmente gerarchica, presenta un’influenza di potere dell’impresa-guida. Grannovetter (’85) suggerisce il carattere debole dei legami interaziendali, risultando rafforzata (Kaneko e Imai, ’87) l’innovatività delle singole unità. I legami deboli (anche senza contratti) hanno quindi valenze forti.

Il governo dei rapporti interorganizzativi

Thorelli ricorda alcuni caratteri fondamentali nelle reti:

  • Fiducia
  • Reciprocità
  • Riconoscimento delle interdipendenze

Si generano nuovi tipi di conflitti non più da considerarsi interni, ma comunque da risolvere. Tuttavia, Kaneko e Imai rilevano un flusso di informazioni superiore (per qualità e numero) rispetto alle organizzazioni gerarchiche, sia verticali e orizzontali sia laterali, anche senza passare per l’impresa focale. Il policentrismo e la multipolarità aiutano l’innovazione diffusa. I confini dell’organizzazione sono mutevoli (gli attori cambiano) ma la configurazione è stabile: i legami formali sono deboli (infatti vi è la c.d. rotazione degli attori), ma l’organizzazione generale resiste nella pratica. La teoria di Lorsch e Lawrence sulla relazione inversa tra differenziazione (autonomia di unità o gruppi) e integrazione (relazioni tra le unità di organizzazione) viene meno, poiché le reti riescono a (e devono) sviluppare entrambe con forza. Lorenzoni nota il cambiamento delle regole della concorrenza e la conseguente possibilità di collocarsi sul mercato in una posizione di competitività grazie allo sfruttamento delle interdipendenze. Le indicazioni di Porter sulle strategie orizzontali possono conseguirsi tramite coalizioni.

La rete interna di imprese: le radici del fenomeno

Il network interno di imprese si forma macro-strutturalmente grazie ad alcune manovre strategiche successive nel tempo:

  1. Scorpori di unità consolidate (vedi anche prossimo paragrafo): recentemente successo alla Olivetti
  2. Acquisizioni di imprese (senza modifica societaria) che mantengono forte individualità
  3. Filiazione di nuove unità per gestire nuove attività
  4. Creazione di imprese con veste giuridica autonoma

L’obiettivo delle singole unità è duplice:

  1. realizzare risultati economi interni
  2. contribuire ai sistemi del gruppo

Quest’idea ha trovato diffusione in Europa e si è consolidata in Giappone (Gerlach, ‘87) ed è presente anche negli USA. Le unità con compiti innovativi vengono costituite in un clima di venture management: anziché internazionalizzare le imprese esterne si esternalizzano le unità interne.

I campi di applicazione

Nella piccola e media impresa si riscontrano le maggiori difficoltà nell’implementazione e nella gestione della rete. Le imprese maggiori si sviluppano, invece, come holding:

  • in senso orizzontale per creare unità organizzative autonome intorno all’area del portafoglio di attività;
  • in senso verticale si evidenziano singole unità organizzative impegnate in talune fasi/prodotti intermedi.

Per quanto riguarda gli scorpori, essi attengono all’efficacia strategica e all’efficienza operativa:

  • favoriscono un più esteso confronto col mercato, sostenendo apprendimento e sviluppo delle unità
  • valorizzano competenze non pienamente utilizzate, ma che possono avere mercato
  • ampliano i volumi di produzione
  • aumentano la flessibilità
    • operativa (soprattutto delle imprese terminali, non troppo legate alla principale)
    • giuridico-societaria (quote azionarie, ricorso al mercato dei capitali, partnership etc.)
  • favoriscono la de-burocratizzazione

“Engineering-construction e information technology” sono due settori dove le reti interne hanno notevole sviluppo. È significativo il caso (di network interni) delle multinazionali: organizzazioni disperse con una pluralità di subsidiary (filiali) lontane tra loro, ma in relazione sia tra loro, sia con la casa madre. Secondo Kogut (’87) la loro integrazione è un fattore cruciale del successo. Ghoshal e Nohria, inoltre, vogliono spostare le funzioni chiave verso le filiali collocate più favorevolmente. Bartlett nell’86 prevede un modello di rete integrata, in cui a ciascuna unità deve essere riconosciuta la capacità di essere fonte di idee, risorse e vantaggio competitivo, da utilizzare a vantaggio di tutta l’organizzazione.

I limiti progettuali

Secondo Lawrence e Lorsch (’67) la predisposizione di una macro-struttura organizzativa che stimoli l’imprenditorialità indipendente favorisce la differenziazione delle unità. Porter (’85) vede in questo una conseguente difficoltà di integrazione e di sfruttare le interrelazioni fra le unità business. Spesso le reti interne sono, per questo, incomplete nella predisposizione di coerenti sistemi operativi e sono poco attente alle relazioni interpersonali.

Le reti interpersonali

Esse sono sistemi di persone legate da una pluralità di relazioni. Hanno come dimensione prevalente quella verticale e si sviluppano essenzialmente con riferimento all’organizzazione interna. Esistono reti interpersonali:

  • formali (la struttura formale identifica le reti interpersonali fissando rapporti gerarchici e canali di reporting, disegnando gruppi di lavoro e comitati)
  • informali (o emergenti = sviluppate in anni recenti)
    • si sviluppano seguendo prevalentemente la dimensione orizzontale
    • interessano individui non sempre collocati all’interno dell’organizzazione

Lawrence e Lorsch, come Galbraith, si sono soffermati soprattutto sulle formali. Recentemente, invece, si sono sviluppate le seconde. Secondo Kaneko e Imai (’87) le informazioni necessarie per innovare hanno origine nell’interazione tra le persone, prescindendo dalla loro posizione, infatti Mueller sostiene che sia più importante intervenire direttamente sulle capacità delle persone, piuttosto che sulla struttura. Per Bartlett e Ghoshal l’esigenza di favorire le reti emergenti è data dalla sfida competitiva globale. È soprattutto riguardo al flusso di informazioni che risulta più difficile il ricorso ai canali formali. Nonaka conferma quest’ipotesi con riferimento soprattutto alle imprese di servizi del tipo “knowledge intensive” (tecnologiche, che impediscono previsioni sistematiche di tutti i canali), per la necessità di non compromettere la capacità di adattamento. I problemi delle reti interpersonali sono 3 (riguardano quando e come formalizzare):

  1. quali compiti formalizzare e quali reti progettare
  2. quando favorire le reti informali
  3. come svilupparle

Per quanto riguarda il terzo punto, analizzeremo le imprese knowledge intensive, non prima di aver specificato che:

  • gli interventi non manifestano innovazioni (ciò che è innovativo è il fine)
  • le imprese che descriveremo ne fanno un utilizzo deliberato e sistematico

1. Un primo caso è quello delle trading company giapponesi (analizzate da Yoshino e Lifson nell’86). Innanzitutto hanno creato unità minime di base (sezioni), con elevata autonomia. A queste si è affiancato il ricorso ai team e alle taskforce. Sono state formalizzate solo per operazioni di m/l periodo. Si favoriva un pieno utilizzo delle reti informali da parte dei manager, nonché un impiego intenso di trasferimenti laterali del personale per favorire il coordinamento. Persino la tendenza ad assumere presso le stesse università aumenta l’informalità delle reti. La cultura di queste organizzazioni promuove sia lo spirito di iniziativa, sia di collaborazione. Si cercano di eliminare sul nascere le formazioni di reti informali non funzionali, grazie ad un forte decentramento, promozioni e trasferimenti.

2. Un secondo caso è quello (analizzato da Eccles e Crane nell’88) delle banche di investimento americane: anch’esse elaborano volumi consistenti di informazioni e sono a stretto contatto con le imprese clienti. Essendo per loro controproducente l’istituzionalizzazione di legami interpersonali, si sono orientate, da un lato, all’utilizzo massiccio di team che seguono più imprese-clienti e alla sovrapposizione e alla condivisione di responsabilità (reporting doppio); dall’altro lato, non si sono definiti fermamente tutti i ruoli, favorendo le iniziative e l’utilizzazione di canali alternativi di volta in volta. Anche per queste banche bisogna prevenire la formazione di reti interpersonali disfunzionali, mediante la riorganizzazione di posizioni individuali e macro-strutturali.

Gli interventi progettuali

Dopo aver analizzato questi due casi, è ora possibile disegnare una mappa degli interventi, che sono 2 e riguardano sostanzialmente la gestione delle risorse umane:

  1. sviluppo delle reti interpersonali (anche mediante rotazione del personale)
  2. creazione di un contesto ad esse favorevole:
    1. spingere gli individui a usufruirne ogni volta che le informazioni siano insufficienti
    2. orientare gli individui alla collaborazione
    3. incentivi
    4. criteri di selezione delle risorse umane
    5. interventi sulle reti disfunzionali:
    • ricorso alla duplicazione delle risorse per poter liberarsi della rete disfunzionale superflua
    • allentamento fisico, mediante trasferimenti e promozioni
      1. riprogettare il sistema informativo (sia verticalmente sia orizzontalmente) creando reti informatiche

    Conclusioni

    I tre tipi di rete devono essere analizzate insieme, nelle loro interdipendenze reciproche. Hanno in comune gli obiettivi di innovare e de-burocratizzare. Network interno ed esterno compongono un disegno quindi comune, anche se spesso non percepito come tale dagli stessi soggetti che lo realizzano. Il loro limite sta nelle poche possibilità adottabili. Le reti sotto il profilo formale si presentano come un insieme di imprese non come una struttura gerarchica. La non prevedibilità dei compiti è scaricata sulle persone, per cui la rete interpersonale acquisisce un ruolo fondamentale. Per essere analizzata una rete non può essere vista soltanto dal punto di vista delle singole imprese o dell’impresa-guida, ma deve essere presa per intero (Thompson, Pfeffer, Salancik). Le singole imprese sono dipendenti dal task environment, cioè, secondo Thompson, dalla rete di imprese in cui opera l’impresa focale. Per questo, la capacità di governo del sistema esterno deve essere sostenuta dall’intervento dei vari soggetti nel processo decisionale.