L’evoluzione storica dell’impresa
Come sostenuto da Max Weber, la rivoluzione industriale è figlia della riforma protestante: tutto ciò che si fa in impresa ha a che fare con un dovere professionale; si ha un’idea del lavoro come missione, svolta con metodo (un’evoluzione della riforma protestante, infatti, fu il metodismo). Il dovere professionale è direttamente ispirato da Dio. Le radici della grande impresa e dell’economia moderna (≠ contemporanea) risalgono intorno al 1750, quando nacque la produzione con organizzazione scientifica, ovvero con razionalismo economico.
Si eliminano, in questo modo, i limiti dell’artigianato e della persona fisica, permettendo l’esplosione del fabbisogno e della domanda di beni di consumo e d’investimento. Chi produce deve farlo anche sulla base della conoscenza dei Prezzi di mercato e delle quantità disponibili. Max Weber sosteneva anche che non fosse il lucro a stimolare il capitalismo, bensì la distinzione tra capitali e persone: “persino la casa deve essere lontana dalla fabbrica” egli asseriva.
Riassumiamo, quindi, le premesse dell’impresa e del management:
- calcolo economico,
- contabilità,
- organizzazione scientifica del lavoro,
- separazione tra il patrimonio familiare e aziendale
Charles Dickens presenta nei suoi romanzi un’impresa grande, ma non organizzata, mentre Taylor e Weber la vedono come una struttura razionale. Chester Barnard, invece, scoprì che il metodo scientifico di per sé non comportasse sufficiente consapevolezza, da parte di chi lavora, del progetto nel suo intero: chi lavora non capisce nemmeno perché deve svolgere quella mansione. Egli, in sostanza, riteneva che fossero da chiarire gli obiettivi, esaltando la conoscenza e la moralità del mestiere, per sopperire alla ripetitività della produzione ed evitare le perdite di tempo dovute alla disumanizzazione. La parola chiave diventa “cooperazione”; il metodo scientifico non è più sufficiente, in quanto troppo formale.
Il processo produttivo fordista è centrale anche oggi, nel mondo del terziario, ma non basta un buon prodotto, sono necessarie tante altre aree funzionali che prima non erano necessarie.
Il management rimane, tuttavia, centrale, ancora così, come inteso nella sua organizzazione e strutturazione scientifica e metodologica, altresì nella pubblica amministrazione e nelle imprese di servizi. Tutto questo inizia con l’industria.
Esempio: in banca, 20 anni fa, prevaleva il mestiere del cassiere, dietro la quale front-line vi erano altri livelli di controllo e di direzione. Oggi lo sportello (l’operatore) è unico, ma si è arrivati a questo punto sulla base della precedente sperimentazione. Si può affermare, dunque, che sia la centralità del processo produttivo, sia nell’industria sia nei servizi, a restare un elemento funzionale necessario. Appare allora lo strato dirigenziale intermedio (il manager come figura professionale di coordinamento e controllo), che nelle grandi fabbriche d’inizio secolo non esistevano: è l’impresa stessa che domanda, vista la sua espansione, una delega di autorità (decentramento delle cariche), per rispettare il principio della separazione tra proprietà e funzione manageriale (tutt’oggi presente).
Verso la fine del secondo conflitto mondiale, emerge con chiarezza la realtà della ricostruzione dell’economia mondiale: cominciano ad imporsi le teorie che intravedeva Barnard negli anni ’30; si afferma il concetto delle relazioni umane (la persona umana è vista come elemento decisivo). George Homans, uno studioso di Harvard, aveva studiato in particolare l’informalità barnardiana: il modo in cui si formavano i piccoli gruppi informali trasversali all’interno dell’impresa.
Di fatto, senza scardinare la formalità del reparto e dell’ufficio, persone si univano per interessi comuni ed interazioni reciproche; l’ufficio del personale assume importanza crescente, secondo il triangolo di Homans stesso.
Dagli anni ’60 in poi, si afferma il concetto che associa alla razionalità meccanica un carattere estrinseco alle capacità umane. L’impresa alla Simon, attualizzandola, è un’impresa in cui l’automatizzazione assiste il processo di produzione e sovviene ai limiti della razionalità, aiutando l’uomo a prendere delle decisioni, spesso solo intenzionalmente razionali.