La scelta degli strumenti e la compatibilità tra le politiche ambientali e le politiche economiche
Per minimizzare i costi delle politiche ambientali occorre considerare non solo la funzione dei costi totali (depurazione + danni residui), ma anche quelli di informazione riguardanti la definizione dell’obiettivo da raggiungere e la gestione degli strumenti di politica ambientale. Ciò suggerisce un’impostazione di sub-ottimizzazione in cui gli obiettivi vengono determinati esogenamente dall’operatore pubblico, ammettendo che l’allocazione ottimale delle risorse (inquinamento ottimale) non sempre rappresenta un obiettivo realizzabile. Sono da tenere presenti anche i costi associati all’inefficienza dell’operatore pubblico. Il fattore chiave per l’implementazione di una politica ambientale efficace è perciò costituito dal modo in cui gli interessi ambientali sono rappresentati nel sistema decisionale e dalla rete delle relazione di potere che li legano agli altri interessi rilevanti in gioco. Le imprese però lamentano il fatto che le politiche ambientali comportano dei costi dovuti a effetti economici indesiderabili, come l’aumento dei prezzi dei beni inquinanti. L’azione da intraprendere deve pertanto fondarsi sulla constatazione che è possibile e necessario creare un coagulo di interessi a favore di una politica ambientale, basata sull’utilizzo di strumenti flessibili in grado di utilizzare gli incentivi del sistema di mercato. Le politiche ambientali vengono accusate del fatto che introducono nel sistema elementi di rigidità che ne riducono la competitività.
Politiche ambientali e competitività delle imprese
La diversità dei costi che le imprese devono sopportare per adeguarsi alle norme ambientali possono modificare i prezzi relativi dei prodotti e quindi la loro posizione competitiva.
- Effetto prezzo: la competitività prezzo è la capacità delle imprese di vendere i loro prodotti meno cari di quelli dei concorrenti. La politica ambientale, agendo sia sui prezzi di produzione sia indirettamente sull’innovazione modifica la competitività delle imprese.
- Effetto strutturale: è la capacità delle imprese a influire sulla domanda mediante fattori che non siano i prezzi (“non price competition”).
Le spese ambientali anche se assorbono risorse e non producono beni materiali hanno effetti sul benessere complessivo. La spesa per la protezione ambientale ha fatto sorgere in questi ultimi anni un nuovo settore industriale, quello delle tecnologie pulite, che presenta notevoli potenzialità.
Gli effetti sull’occupazione
Alcuni ritengono che le politiche ambientali favoriscano l’occupazione, altri no. È senz’altro vero che:
- L’intensità di manodopera delle politiche ambientali è fra le più elevate e in molti casi di gran lunga superiore a quella di analoghi programmi pubblici alternativi: si tratta di politiche labour intensive.
- Non esiste inconciliabilità tra politica economica antirecessiva e politica ambientale.
- Il saldo medio occupazionale di medio periodo può essere positivo.
Le politiche ambientali e l’innovazione tecnologica
Da un lato la politica ambientale può condurre le imprese ad adottare tecnologie più pulite già esistenti, dall’altro simolta la ricerca e lo sviluppo di tecnologie environmental friendly. Le tecnologie possono essere:
- di tipo aggiuntivo: non richiedono modifiche e sono di breve periodo;
- di tipo preventivo: l’opposto.
La depurazione delle sostanze inquinanti a valle del processo produttivo trasforma un tipo di inquinamento in un altro. Esistono quindi innovazioni di prodotto o di processo, organizzative e di diffusione. L’uso di nuove e/o più efficienti tecniche e/o nuovi e migliori prodotti può essere raffigurato come uno spostamento verso l’alto della funzione di produzione. Pertanto, anche se l’innovazione dovrebbe essere costituita da tutti gli interventi sul processo produttivo che determinano un suo cambiamento, occorre far riferimento anche a quelle modifiche che avvengono sulla base di processi di apprendimento o che comportano l’uso di tecnologie già esistenti.
I vincoli all’affermarsi di un paradigma tecnologico ambientale
Il sistema di mercato realizza un ammontare di investimenti in ricerca e sviluppo che non sono socialmente ottimali. Le innovazioni sono costose alle imprese che le effettuano e poco costose da imitare, per cui esistono scarsi incentivi all’innovazione. La convivenza all’introduzione delle tecnologie pulite dovrebbe esser determinata dal confronto fra costi e benefici sociali, e non quelli privati. Nei calcoli di convenienza economica l’operatore privato ha quasi sempre trascurato costi e benefici esterni. I principali vincoli alla diffusione dell’innovazione tecnologica sono costituiti dal rischio eccessivo dell’attività di ricerca e dal suo finanziamento.
- Rischio della ricerca: il processo di cambiamento tecnologico in campo ambientale implica rischi considerevoli in termini di guadagni potenziali conseguenti a un determinato investimento. È difficile prevedere l’esito della ricerca sulla base dei fattori impiegati. Le imprese concentrino un’altra percentuale della spesa di ricerca in miglioramenti tecnologici a breve termini, ad esempio, in tecnologie ambientali aggiuntive.
- Il finanziamento della ricerca: piccola impresa tende a finanziare l’innovazione con fonti interne. L’avversione al rischio delle banche, la lentezza e i pregiudizi che caratterizzano il modo di analizzare le richieste di credito, e la loro disinformazione.
Le politiche di incentivazione dell’innovazione tecnologica
L’operatore pubblico deve operare per promuovere la capacità innovativa delle imprese, mediante:
- Domanda pubblica, contratti incentivo e contratti di ricerca (green public procurement): la domanda pubblica deve rispettare alcuni requisiti per poter esercitare un ruolo positivo in relazione all’innovazione e alla qualificazione dei processi produttivi, concentrandosi nei settori dove si può ottenere una maggiore ricaduta tecnologica e sui prodotti più commerciabili. L’operatore pubblico può concludere contratti di ricerca aventi come oggetto sviluppo di specifiche tecnologie innovative, evitando così anche la duplicazione dei costi.
- Sussidi alle imprese: possono essere in conto capitale, in conto interesse o in conto spese di ricerca e sviluppo.
Secondo le stime della Commissione Europea, una tassa molto alta su tutte le fonti di energia, escluse quelle rinnovabili, raggiunge solo la metà dell’obiettivo richiesto, l’altra metà può essere raggiunta solo se una sostanziale proporzione degli introiti fiscali è investita direttamente nel risparmio energetico e nei programmi di innovazione. Esistono il FRA (fondo ricerca applicata) e il FIT (fondo innovazione tecnologica). I processi di sostituzione avvengono più spesso attraverso l’investimento e l’innovazione piuttosto che con la sostituzione degli input produttivi. Le politiche di sussidio sono più efficaci.
Politiche ambientali e commercio internazionale
Il rapporto tra politiche ambientali e commercio internazionale riguarda le possibili distorsioni che le politiche ambientali provocherebbero a livello internazionale, per cui si utilizza il “principio inquinatore pagatore”, in modo che non si realizzino barriere al commercio. Tuttavia, ciò non evita l’impatto sul commercio stesso: poiché le condizioni ambientali possono esser differenti da paese a paese, non esiste ragione a priori per cui le politiche ambientali debbano essere identiche. Le differenze negli standard ambientali o nelle aliquote delle tasse per l’ambiente sarebbero di per sé lecite purché rispondano al principio del vantaggio comparato che si viene a determinare nell’ambito di un’economia nazionale (Johnstone, ’95). Quando un paese ha un vantaggio comparato in capacità assimilativa dell’ambiente, esporterà merci e prodotti delle proprie industrie la cui produzione presenta processi di inquinamento più elevati.
- Obiettivi: essi devono riflettere la dotazione di risorse di un paese, le sue strutture e le preferenze sociali. Non dappertutto sono uguali.
- Strumenti: per aumentare il potere di mercato delle imprese nazionali l’operatore pubblico può dar vita a un sistema di sussidi indiretti costituiti, ad esempio, dall’applicazione di standard meno restrittivi o da aliquote delle tasse più basse rispetto a quelle che sarebbero richieste per fare fronte ai problemi ambientali. Questi sussidi danno vita al dumping ecologico, cioè la tendenza a mantenere in relazione ai problemi ambientali una bassa pressione legislativa sulle imprese. Esso deriva dall’attività dell’operatore pubblico e influenza i fattori produttivi. Differisce dal dumping economico dove un produttore approfitta di barriere tra i mercati per vendere a prezzi inferiori. L’eco dumping causa l’emigrazione delle imprese verso i paesi dove le normative ambientali sono ininfluenti. Occorre, quindi, che vengano rispettati i principi di non discriminazione (stesse regolamentazioni) e di trattamento nazionale (stesso regime per prodotti interni o importati), previsti negli accordi quali il GATT della WTO.
- Modalità di finanziamento: i trasferimenti alle imprese sono il fattore determinante delle distorsioni commerciali. Se un paese sovvenziona l’acquisto di tecnologie di disinquinamento l’industria trarrà notevoli vantaggi, e ciò in contrasto con il “principio pagatore inquinatore”.
Processi di liberalizzazione e globalizzazione dell’economia e beni ambientali
Occorrerebbe distinguere tra beni ambientali nazionali e beni ambientali globali o, comunque, tra inquinamento locale, transfrontaliero e globale (Majocchi, 1995), perché con la globalizzazione si ha a che fare con un mercato unico:
- nessun paese ha diritto di stabilire la politica ambientale ottimale per tutto il mondo;
- nel caso di beni mondiali, si deve ammettere che non appartengono a nessun paese o alla generazione presente.
Nella dichiarazione di Rio de Janeiro del 1992 si sottolinea la necessità di evitare azioni unilaterali riguardanti sfide ambientali al di fuori della giurisdizione del paese importatore: “Nessun paese può decidere da solo a nome del mondo intero, ma allo stesso tempo nessun paese può ostacolare l’utilizzo di decisioni prese sulla base di un contesto multilaterale”. Aspetti di interindipendenza:
- Free riding: se un paese effettua unilateralmente delle politiche ambientali volte al controllo delle emissioni, avvantaggia gli altri paesi. Per questo beneficio non riceve nessun compenso. Mi ricorda il free-ridership dell’e-commerce: tu dai informazioni e assistenza che ti costano e poi i clienti vanno ad acquistare da altri che fanno pagare meno, ma non danno assistenza tecnica.
- Leakage: adottando politiche ambientali restrittive si verificherebbe l’aumento dei prezzi interni, con perdite di quote di mercato a vantaggio degli altri paesi.
Politiche ambientali e sviluppo economico
Uno dei problemi riguardanti la globalizzazione dei sistemi economici è dato dal rapporto tra sviluppo economico e ambiente. Il coefficiente di sfruttamento dell’ambiente per unità di prodotto potrebbe decrescere nel tempo, per cui non sarebbe corretto ipotizzare l’esistenza di un valore fisso. La liberalizzazione degli scambi ha un impatto positivo sull’ambiente. Maggiori livelli di reddito permettono processi produttivi meno inquinanti e un minore sfruttamento dell’ambiente. Nel lungo periodo, tra inquinamento e reddito pro capite c’è dapprima una relazione positiva e poi negativa. Meadows invece evidenzia una conflittualità tra crescita economica e protezione dell’ambiente, ipotizzando solo effetti negativi.