Leve della politica della raccolta
Varie leve a disposizione delle banche per incentivare la raccolta
Innanzitutto, individuiamo la politica di prodotto, sia a livello di innovazione che di differenziazione. La politica di prodotto ha rappresentato una variabile estremamente importante per rispondere al fenomeno di disintermediazione che ha investito le banche dalla fine degli anni Settanta. In questi anni, venivano offerti titoli di debito pubblico con tassi di rendimento elevatissimi, perciò i clienti delle banche preferivano i titoli di stato ai depositi a risparmio. Si parla di disintermediazione perché il denaro che i clienti concedevano alle banche non era più detenuto in depositi, ma doveva essere investito per conto della clientela. In questo modo la banca aveva perso raccolta diretta e il tasso annuo di sviluppo dei depositi a risparmio era crollato.
Per rispondere a questa situazione, le banche hanno cominciato a cercare di guadagnare sulle commissioni relative a queste operazioni, ossia incrementando la propria raccolta indiretta. Inoltre, le banche hanno dato vita a processi di innovazione e differenziazione di prodotto:
– per quanto riguarda le innovazioni, sono stati introdotti i certificati di deposito (CD), i pronti contro termine (PCT) e, dal 1993, le obbligazioni bancarie. Tuttavia non si può parlare di vera e propria innovazione, dal momento che si tratta comunque di prodotti standardizzati e facilmente imitabili: in particolare, la facilità di imitazione ha fatto sì che questi non fossero sufficienti a far recuperare raccolta diretta alle banche;
– per quanto riguarda la differenziazione, sono stati introdotti i pacchetti di prodotti (package) e alcune varianti del conto corrente, che rimane un prodotto standard, ma viene vestito in maniera personalizzata su ogni cliente: tra i conti correnti differenziati ricordiamo, ad esempio, il c/c target, offerto dal punto di vista commerciale come se fosse stato pensato per una particolare categoria di soggetti, i c/c leggeri, pensati per i soggetti che movimentano il proprio conto in modo leggero, o il c/c di liquidità, che viene agganciato a un fondo comune di investimento, ossia troviamo un conto corrente di base, mentre il saldo in surplus viene automaticamente investito in un fondo comune di investimento.
La seconda leva a disposizione delle banche per incentivare la raccolta è la politica di prezzo. Ne esistono di vari tipi.
In primo luogo, ricordiamo la politica analitica dei prezzi, che consiste in una presentazione separata e analitica di tutti i prezzi di tutti i prodotti e servizi offerti. Si tratta tuttavia di una politica poco utilizzata, perché poco utile dal punto di vista commerciale: un cliente che si vede recapitare un informativa relativa a tutti i prezzi dei prodotti e servizi che la banca offre, e magari nemmeno sa con precisione quali prodotti e servizi abbia agganciati al proprio conto corrente, non è in grado di valutare correttamente quale costo abbia per lui la banca.
Una seconda politica di prezzo è la politica dei prezzi correlati. Si parla, in questo caso, di sussidio incrociato tra i prezzi, che le banche utilizzano per cercare di guadagnare grazie a un rapporto a tutto tondo con il cliente: per fare un esempio, la banca può proporre al cliente di ridurre il tasso di interesse sul conto corrente in cambio di un’erogazione gratuita di servizi ad esso legati. Si tratta di una politica molto efficace nei confronti di clienti più sensibili alla gratuità dei servizi che al rendimento del proprio conto corrente.
Una terza politica di prezzo è la politica condizionale, in cui i prezzi dei prodotti bancari, in particolare del conto corrente, sono legati ad alcuni parametri. Ad esempio, il tasso di interesse sul conto corrente può essere differenziato a seconda della giacenza media: più alta sarà la giacenza media, più alto sarà il tasso di rendimento. Si tratta, tuttavia, di un fatto molto relativo, dato che sul conto corrente non viene mai concesso un tasso di rendimento particolarmente elevato.
Troviamo poi una politica relazionale (cross selling), in cui i prezzi sono legati al grado di utilizzo di altri servizi bancari. Per fare un esempio, la banca può vendere allo stesso cliente un conto corrente e un deposito di titoli e stabilire che, se il deposito viene movimentato con una cera frequenza, cresca il rendimento sul conto corrente. Una ricerca condotta dalla Banca d’Italia ha dimostrato che il tasso di fidelizzazione del cliente può arrivare a toccare il 96% se questi possiede cinque o sei prodotti della stessa banca.
Infine, troviamo varie politiche ibride: vengono offerti pacchetti, appositamente studiati per rispondere alle esigenze di un determinato segmento o sottosegmento di clienti.
Una terza politica su cui le banche possono far leva è la politica di distribuzione, che consiste nella scelta del mix dei canali di vendita dei prodotti e servizi bancari. Infatti, anche dopo l’avvento di internet, il canale virtuale di offerta dei prodotti bancari non è particolarmente diffuso. Questo perché manca la fiducia dei clienti, ma soprattutto manca la visibilità del marchio, che invece è immediatamente riconoscibile nelle insegne delle filiali fisiche che si incontrano nelle città. A seguito delle nuove norme di vigilanza strutturale in materia di apertura degli sportelli, introdotte nel 1990 e confermate nel Testo Unico Bancario (TUB), l’espansione della rete territoriale ha rappresentato il fattore determinante per la crescita dei depositi: fino al 1990, le banche non potevano aprire nuovi sportelli senza aver prima ricevuto l’autorizzazione della Banca d’Italia; a partire da questa data, invece, alle banche è sufficiente comunicare alla Banca d’Italia l’intenzione di aprire un nuovo sportello, e possono cominciare ad operare dopo 60 giorni dalla ricezione di tale comunicazione, a meno che la Banca d’Italia non sospenda tale operazione a causa di motivi particolari.
Forme tecniche di raccolta diretta
Passività con funzione di investimento
Deposito a risparmio: consiste in un contratto che prevede il deposito di una somma di denaro presso una banca, a fronte della quale la banca corrisponde al risparmiatore un interesse, proporzionato alle somme depositate e al tempo di permanenza delle stesse sul deposito. Il cliente può scegliere tra depositi liberi, il cui tasso di rendimento sarà molto basso, e depositi vincolati, il cui tasso di rendimento sarà più consistente e crescerà in maniera proporzionale alla crescita del tempo di giacenza.
Certificato di deposito: all’apparenza è molto simile al deposito a risparmio vincolato, ma in realtà presenta alcune differenze. Innanzitutto, il certificato di deposito è un valore mobiliare, un titolo negoziabile, rappresentativo di un deposito a risparmio vincolato sottostante. Essendo un titolo, la banca può emetterlo a fronte di una platea di investitori, perciò non si viene a creare un rapporto bilaterale tra la banca e il cliente. La durata del certificato di deposito può oscillare tra un mese e cinque anni e, a differenza del deposito a risparmio, questo strumento non prevede la possibilità di effettuare versamenti o prelevamenti successivi alla sottoscrizione. La liquidabilità è inferiore rispetto ai depositi a risparmio: il certificato di deposito non prevede il rimborso anticipato, ma, in caso si manifesti la necessità di recuperare la somma, può essere ceduto a terzi. Tuttavia, questa possibilità non incrementa in maniera significativa il livello di liquidabilità dei certificati di deposito: considerando le scadenze a breve termine la liquidabilità naturale sarà piuttosto buona, ma, nel caso in cui il cliente decida di recuperare la somma anticipatamente, avrebbe difficoltà a vendere questo tipo di titoli, dal momento che non c’è un mercato finanziario che li negozi con continuità. Per quanto riguarda il rendimento si distingue tra i certificati di deposito senza cedola e con cedola: nel primo caso, il rendimento sarà dato dalla differenza tra il prezzo di acquisto e il prezzo di vendita; nel secondo caso il rendimento dipenderà anche dalla cedola, che può essere fissa o variabile.
Pronti contro termine (passivi per la banca): dal punto di vista giuridico vengono definiti anche operazioni di vendita con patto di riacquisto. Attraverso questo strumento, la banca raccoglie risorse finanziarie da un cliente cedendogli, in cambio, alcuni titoli. In pratica, in cambio del denaro fornito dal cliente, la banca concede in garanzia il valore dei titoli a pronti, o meglio il cliente diventa a tutti gli effetti proprietario di questi titoli. Alla scadenza, la banca si impegna a restituire al cliente il valore del prezzo a termine, superiore rispetto al prezzo a pronti, e il cliente restituirà alla banca non gli stessi titoli ottenuti inizialmente, ma una quantità di titoli della stessa specie. La durata dei pronti contro termine può essere di 1, 2 o 3 mesi; non è ammessa l’estinzione anticipata, ma i titoli possono essere ceduti a terzi. I titoli tradizionalmente scambiati sono titoli di Stato (a bassissimo rischio), titoli della stessa banca o titoli di mercato monetario. All’apparenza si tratta di un’operazione molto attraente, ma è opportuno ricordare che il rischio di insolvenza è a carico del cliente.
Passività con funzione monetaria
Conto corrente passivo: si tratta di uno strumento con funzione monetaria, in quanto permette al cliente di accedere al sistema dei pagamenti e dare mandato alla banca di eseguire operazioni a valere sul proprio conto. Esso rende tecnicamente possibile il regolamento degli scambi, prescindendo dal trasferimento di moneta legale e impiegando, in sua sostituzione, scritture contabili, ossia moneta scritturale. Affinché possa assolvere questa funzione, è fondamentale che il conto corrente passivo sia uno strumento a vista, che può essere movimentato in qualsiasi momento. La remunerazione per il cliente sarà minima: ciò che più interessa di questo strumento non è il suo rendimento ma la sua economicità.
Le comunicazioni alla clientela
Esistono due tipologie principali di comunicazione alla clientela: l’estratto conto e il conto scalare.
Estratto conto: si tratta di un documento riepilogativo, che riporta le operazioni transitate sul c/c in base alla data di effettuazione (in ordine cronologico). Il cliente viene quindi messo in grado di verificare l’esattezza delle singole operazioni, confrontando l’estratto conto con i documenti in suo possesso. A partire da sinistra, nelle colonne dell’estratto conto troviamo: data (la data di effettuazione dell’operazione); causale (la descrizione dell’operazione); movimenti in dare e in avere (gli importi a debito e a credito); valuta (attribuita dalla banca a ogni singola operazione). La valuta è molto importante perché indica il giorno a partire dal quale le somme depositate cominciano a produrre interessi, mentre le somme ritirate cessano di produrre interessi.
Conto scalare: si tratta di un documento riepilogativo che riporta le operazioni transitate sul c/c in base alla valuta attribuita dalla banca. In tal modo si è in grado di determinare l’importo e la durata dei saldi per valuta che si formano per effetto delle valute. Su tali saldi per valuta si calcolano gli interessi dare o avere. A partire da sinistra, nelle colonne del conto scalare troviamo: valuta; giorni (conteggiati come periodo intercorrente tra la valuta di un’operazione e la valuta di quella successiva); causale; movimenti in dare e in avere; saldo per valuta, o saldo disponibile (la somma di tutte le operazioni, che rappresenta, sostanzialmente, ciò che è presente sul contro e che posso movimentare, che non necessariamente coincide con il saldo contabile); numeri debitori e numeri creditori (prodotto dei saldi per valuta per i giorni, su cui si calcolano gli interessi a debito o a credito).
Operazioni di impiego
I finanziamenti a breve termine
Apertura di credito in conto corrente: si tratta di un contratto in base al quale la banca, previa valutazione dell’affidabilità dell’impresa, si impegna a mettere a disposizione del cliente una somma di denaro, che egli può utilizzare con ampia discrezionalità, per un periodo di tempo determinato o a tempo in determinato. In pratica, la banca mette a disposizione un conto corrente sul quale il cliente è autorizzato ad andare in rosso e che, generalmente, viene utilizzato per coprire fabbisogni finanziari di breve termine. Tipicamente, le imprese utilizzano questa linea di credito per coprire il fabbisogno finanziario legato al cosiddetto ciclo del circolante: infatti, all’interno di ogni impresa vi è un certo arco temporale tra il momento in cui l’impresa incassa i ricavi di vendita e il momento in cui deve pagare i fornitori, durante il quale il fabbisogno finanziario dovrà essere coperto dall’utilizzo della linea di credito.
Dal momento che la banca eroga questa operazione con la finalità di coprire gli scompensi di cassa, vigilerà affinché la linea di credito sia utilizzata in modo coerente con le sue finalità. La banca perciò richiede:
– che ai prelevamenti si alternino versamenti;
– che prelevamenti e versamenti si alternino con elevata frequenza;
– che il saldo del conto sia periodicamente in avere.
In generale, la banca controllerà che la linea di fido sia effettivamente utilizzata, ossia che il credito non diventi un’immobilizzazione e vigilerà sulla capacità di rientro dell’impresa.
Sulle aperture di credito in conto corrente è nato un acceso dibattito: proprio in questo periodo, il governo sta valutando se eliminare o meno le cosiddette commissioni di massimo scoperto. Le commissioni di massimo scoperto sono interessi aggiuntivi rispetto agli interessi che le banche applicano sugli scoperti, e che vengono calcolati sulla base della massima posizione a debito che i clienti raggiungono in un trimestre. Già con le disposizioni dei decreti Bersani del 2006, era stata prevista l’abolizione di queste commissioni, che in realtà non erano poi state abolite, ma avevano semplicemente mutato il proprio nome in commissioni per la messa a disposizione dei conti. Adesso il governo ha nuovamente proposto di eliminare queste commissioni e le banche, ovviamente, si sono ribellate.
I finanziamenti a medio – lungo termine
Sale and Leasback (contratti particolari di leasing): questa operazione è una variante del leasing perché viene applicata a un bene che è già di proprietà dell’azienda, e che questa decide di cedere a una società di leasing, incassando un ammontare pari al prezzo di mercato del bene. Nella seconda fase, l’azienda venditrice diventa utilizzatrice del bene, perché la società di leasing glielo concede sulla base di un contratto di locazione, che prevede il pagamento di canoni periodici. Al termine, l’azienda potrà decidere se riscattare il bene, pagando il prezzo di riscatto, oppure lasciarlo nella disponibilità della società di leasing. Il vantaggio della cessione, per l’impresa, è quella di mobilizzare un bene che compare interamente nel suo attivo patrimoniale: il bene non comparirà più nell’attivo patrimoniale, ma comparirà il prezzo di mercato sotto forma di cassa, di liquidità, che potrà essere utilizzata per coprire debiti pregressi.