Modello OCSE
Il primo modello OCSE che tenta di risolvere la doppia imposizione è del 1965. E’ stato poi oggetto di revisione nei seguenti anni: 1967, 1995, 2000, 2005 ed infine nel 2008. Il processo di revisione è un processo continuo. Di solito non si rivoluziona o stravolge il modello con una revisione ma si modificano solo alcune clausole. Non è detto che il trattato segua per forza la versione più aggiornata del modello. Tutti i trattati stipulati dall’Italia sono trattati stipulati nel corso degli anni 80 – 90 e 2000. Sono quindi trattati abbastanza recenti. La ragione di questo è che negli anni 70 vi è stata una riforma tributaria molto importante. Una riforma avvenuta in ritardo rispetto agli altri paesi con questa è stata introdotta un’imposta personale e complessiva sul reddito. Questa imposta incide sulle clausole del contratto perché può creare doppia imposizione. Prima infatti della riforma negli anni ’70 vi erano solo imposte a carattere reale e non personale e quindi venivano solo tassati i redditi prodotti nello stato italiano. Con la riforma si introduce l’IRPEF che colpisce tutti i redditi ovunque prodotti ma nel contempo si è creato anche il credito di imposta per cercare di eliminare la doppia imposizione come rimedio contro questa tassazione a scala internazionale dell’IRPEF. Lo stato italiano accredita un credito di imposta se il soggetto è già stato tassato all’estero. Il modello OCSE ha un suo commentario. Questo raccoglie i commenti alle singole disposizioni. È’ elaborato dal Comitato degli Affari Fiscali dell’OCSE. Essenzialmente quindi serve come strumento di lettura ma è più importate un’analisi approfondita del trattato stesso. Il modello OCSE ha una sua particolare struttura. È diviso in articoli: L’articoli 1 e 2 definiscono l’ambito di applicazione del trattato quanto alla persona del contribuente (articolo 1) e quanto al tipo di imposte considerate (articolo 2). L’articolo 3 si occupa delle definizioni ricorrenti. L’articolo 4 definisce in particolare la residenza. L’articolo 5 definisce la stabile organizzazione. Dall’articolo 6 a quello 22 abbiamo le cosiddette norme distributive perché viene distribuito, assegnato il potere impositivo fra i 2 stati. Ogni stato ha sempre e comunque il suo potere legislativo che non gli deriva da questi trattati ma possiamo dire che con il trattato si limita la loro sfera impositiva. Gli articoli dal 6 al 21 riguardano i criteri di collegamento per le imposte sul reddito; l’articolo 22 riguarda invece i criteri di collegamento per le imposte sul patrimonio. L’articolo 23 nei punti a e b contiene i metodi per eliminare la doppia imposizione. Dall’articolo 1 fino all’articolo 23 abbiamo gli articoli quindi che disciplinano i trattati per eliminare la doppia imposizione. L’articolo 24 indica invece la normativa sul principio di non discriminazione. Principio diverso da quello comunitario visto in diritto del lavoro. L’articolo 25 disciplina le procedure amichevoli. Infatti quando il trattato non riesce a risolvere la doppia imposizione per alcuni casi specifici, in questo caso i ministeri dei 2 paesi dovranno parlarsi e se neanche così si riesce a risolvere il caso è previsto la procedura dell’arbitrato, come strumento di risoluzione di doppia imposizione in casi particolari. L’articolo 26 indica che lo scopo la funzione dei trattati non è solo quella di eliminare la doppia imposizione ma anche quella di combattere l’evasione fiscale internazionale. Si possono infatti effettuare indagini fiscali all’estero solo se abbiamo un accordo con lo stato estero in questione altrimenti non è possibile, perché il potere procedimentale e amministrativo subisce il limite territoriale. L’articolo 27 riguarda l’assistenza sulla riscossione delle imposte. L’articolo 28 è dedicato alle figure dei diplomatici consolari. L’articolo 29 disciplina l’estensione territoriale. L’articolo 30 disciplina l’entrata in vigore del trattato. L’articolo 31 invece si occupa della cessazione della validità del trattato. In coda abbiamo un ultimo articolo presente solo nei trattati e non nel modello. Si tratta di un articolo dove viene indicato il numero dei trattati in cui lo stesso è redatto e viene specificato quale versione in lingua prevalga sull’altra in caso di dubbio interpretativo. Di solito prevale l’inglese, ma sarà il singolo trattato a indicare questa affermazione.