Il credito per le imposte assolte all’estero
Il credito per imposte estere (articolo 23 B OCSE, Italia legge delega numero 80/2003 e articolo 165 TUIR). L’articolo 165 del nuovo TUIR rende applicabile questa disciplina ai soggetti passivi IRPEF e IRES. Per l’applicazione del credito di imposta, è necessario un reddito prodotto all’estero, ivi assoggettato ad imposizione definitiva, che concorra alla formazione del reddito tassabile in Italia. Le imposte pagate all’estero e accreditabili in dichiarazione vanno determinate in ragione della quota di imposta italiana corrispondente al rapporto tra redditi prodotti all’estero e reddito complessivo. Questa definizione è rinvenibile nell’articolo 23 B OCSE. Un altro elemento strutturale del meccanismo di determinazione è il “country limitation”, cioè il limite generale di accreditamento delle imposte estere. Il limite generale dei diversi e contemporanei crediti di imposta continua ad essere la quota di imposta italiana lorda riferibile al reddito estero, che va calcolata in base al peso dei singoli redditi esteri sul reddito complessivo.
Assetto strutturale, finalità dell’istituto e “capital export neutrality”. Il credito per le imposte estere è destinato ad eliminare o attenuare la doppia imposizione giuridica internazionale. Secondo la definizione più diffusa, l’espressione sopra citata designa l’applicazione ad uno stesso contribuente di imposte comparabili, da parte di 2 o più Stati, sul medesimo presupposto e con riferimento allo stesso periodo di imposta. La fattispecie viene evidenziata dall’articolo 165 TUIR, il quale prevede che, al fine di poter utilizzare la disciplina del credito di imposta sia necessario un prelievo in via definitiva nello Stato della fonte, sempre che non sia già stata eliminata con l’esenzione. Sempre lo stesso articolo, inoltre, limita il credito di imposta al minor ammontare tra le imposte assolte all’estero e la quota di imposta italiana riferibile ai redditi prodotti all’estero in ragione del loro peso sul reddito complessivo: è stato quindi confermato il credito di imposta “ordinario” (credito di imposta integrale che implica assenza di limiti). Secondo un’opinione diffusa, il credito di imposta ordinario lascia un’area di doppia imposizione internazionale nei casi in cui il livello di tassazione nello Stato della fonte sia superiore all’aliquota media che grava nel ns. Paese sui redditi esteri. Il maggior tributo estero non è accreditabile per effetto del limite generale, quindi l’articolo 165 impedisce la concreta realizzazione del principio della “neutralità interna”. Il problema si pone anche nel caso opposto. La ratio del limite generale è di evitare un finanziamento, da parte dello Stato di residenza, delle maggiori imposte pagate dal contribuente nello Stato della fonte, che si tradurrebbe in un’agevolazione fiscale.
La nozione di reddito prodotto all’estero (articolo 165 comma 2 TUIR). L’articolo definisce che: “i redditi si considerano prodotti sulla base di criteri reciproci a quelli previsti dall’articolo 23 OCSE, per individuare quelli prodotti nel territorio dello Stato”. In caso contrario, l’imposta assolta all’estero dal contribuente residente non sarà detraibile. Il criterio non desta problemi nel caso di individui o enti residenti che non esercitano un’attività di impresa, ma altrettanto non può dirsi in presenza di soggetti non residenti che svolgono un’attività commerciale in Italia mediante una stabile organizzazione. Un reddito di impresa realizzato in un Paese estero si configura quale reddito di fonte estera agli effetti dell’art. 165, solo se è stato prodotto mediante una stabile organizzazione, in assenza della quale non sussiste il credito di imposta. Le problematiche si pongono specialmente per le esclusioni individuate nel primo comma dell’articolo 23, le quali si traducono in una presunzione assoluta di extra-territorialità. Es.: deposito e conti correnti bancari detenuti presso istituti esteri, plusvalenza derivanti dalla cessione di partecipazioni non qualificate in società non residenti. In tutti questi casi, il contribuente subisce un doppio prelievo. Il problema è legato ai redditi di impresa, che si considerano prodotti in un Paese estero se l’attività è qui svolta con una stabile organizzazione, la cui sussistenza è disciplinata dalla normativa interna e/o convenzionale. I problemi interpretativi e le distorsioni applicative vengono meno in presenza di una Convenzione contro la doppia imposizione. Come emerge dall’articolo 23 B del modello OCSE, la clausola pattizia non definisce il reddito prodotto all’estero, ma si limita a richiedere che esso sia stato effettivamente tassato in conformità alle disposizioni internazionali, perciò la norma sul credito consente l’accreditamento in Italia anche delle imposte straniere assolte sui redditi che, pur avendo origine estera, non possono essere qualificati come redditi prodotti all’estero ai sensi del comma 2 articolo 165 TUIR corrispondente all’articolo 23 OCSE. Articolo 23 OCSE:
Metodo dell’esenzione
- Qualora un residente di uno Stato contraente ricavi redditi o possieda un patrimonio che siano imponibili nell’altro Stato contraente, il primo Stato esenta da tassazione tale reddito o patrimonio;
- Quando un residente di uno Stato contraente derivi elementi di redditi che possono essere tassati nell’altro Stato contraente, il primo Stato deve concedere una deduzione dall’imposta sui redditi di detto residente per importo uguale all’imposta pagata nell’altro Stato. Non deve eccedere quella parte dell’imposta, calcolata prima di effettuare la deduzione.
- Qualora i redditi o il patrimonio posseduti da un residente siano esenti da imposta in uno Stato contraente, quest’ultimo può, nel calcolare l’imposta sui restanti redditi o patrimonio, considerare i redditi o il patrimonio esentati.
- Qualora un residente di uno Stato contraente ricavi redditi o possieda un patrimonio che sono imponibili nell’altro Stato, il primo concede:
- quale deduzione dall’imposta sul reddito di detto residente un ammontare pari all’imposta sul reddito pagata nell’altro Stato;
- quale deduzione dall’imposta sul patrimonio, un ammontare pari all’imposta sul patrimonio pagata nell’altro Stato;
Credito di imposta. In entrambi i casi, la deduzione non può eccedere la quota di imposta sul reddito o sul patrimonio calcolata prima di effettuare la deduzione.
Il reddito complessivo rilevante. L’articolo 161 comma 1 costituisce il limite generale di imposta estera accreditabile e viene calcolato prendendo il reddito complessivo al netto delle perdite di precedenti periodi di imposta ammesse in diminuzione. In sostanza, i redditi esteri sono gli ultimi ad essere intaccati dai costi e dai risultati negativi che incidono sul reddito complessivo imponibile. L’imposta italiana lorda, calcolata sul totale aggregato, si considera determinata, in via esclusiva o prioritaria, dai redditi di fonte estera. I redditi esteri possono essere impiegati per compensare le imposte estere. Nel nuovo contesto normativo, le eccedenze di imposta estera non vanno perdute, ma possono trasformarsi secondo il 6° comma dell’articolo 165, in crediti di imposta attuali (riporto all’indietro) o futuri (riporto in avanti). Per essere rilevante ai fini della determinazione del credito, il reddito complessivo va considerato, come precisa il 1° comma, al netto delle perdite pregresse. Nel nuovo sistema, quindi, l’effettiva misura del credito per le imposte estere è legata all’ammontare delle imposte italiane dovute per il medesimo reddito estero, nell’arco di più periodi di imposta (quello di riferimento, gli 8 precedenti e gli 8 successivi), potendosi determinare, in uno o più periodi, eccedenze di imposta italiana che comportano la trasformazione delle eccedenze di imposta estera in un nuovo credito che va ad aggiungersi a quello ordinario, già detratto nei periodi di imposta di competenza. Se le perdite correnti (che incidono sempre e direttamente sul reddito complessivo) sono uguali o più elevate dei redditi imponibili (compreso il reddito estero tassato nello Stato della fonte), l’intero ammontare delle imposte estere (non accreditabile per difetto di imposta italiana lorda) si configura quale eccedenza di imposta estera riportabile e, dunque, suscettibile di trasformarsi in un credito di imposta da portare in detrazione (immediatamente in caso di riporto all’indietro o nei periodi successivi in caso di riporti in avanti). Ciò potrebbe anche non accadere se non vi sono eccedenze di segno opposto (quelle di imposta italiana), da utilizzare in compensazione. La detrazione non spetta nel caso di omessa o tardiva presentazione della dichiarazione o di omessa o tardiva indicazione dei redditi prodotti all’estero nella dichiarazione.
Le modalità di determinazione del rapporto: “per country limitation” e metodo “overall”. Il rapporto tra redditi esteri e complessivo rilevante che, moltiplicato per l’imposta italiana lorda, porta alla fissazione del tetto massimo di imposta estera accreditabile, va calcolato, come regola generale, secondo il criterio per country: Credito di imposta = reddito estero * imposta lorda / (reddito complessivo – perdite pregresse). Il 3° comma dell’articolo 165 TUIR statuisce che: “se concorrono redditi prodotti in più Stati esteri, la detrazione si applica separatamente per ciascun Stato estero”. Nel caso di società di persone e di capitali, in regime di trasparenza fiscale, l’applicazione del criterio comporta l’aggregazione ad un “doppio livello” dei redditi prodotti nello stesso Paese estero. Questi ultimi e le relative imposte vanno, infatti, selezionati e aggregati innanzitutto presso la società trasparente, imputando pro quota ai soci residenti i redditi esteri e i tributi correlati (distinti per Paese di origine); poi, nel calcolo del credito di imposta di ciascun socio, e da questo secondo livello, i redditi esteri e i relativi tributi vanno ulteriormente aggregati a quelli prodotti nello stesso Paese estero e alle imposte ivi assolte direttamente dal socio. Con il per country method, si evita che le perdite realizzate in uno Stato estero (esempio: Germania) influenzino negativamente la misura della detrazione spettante in Italia per le imposte assolte sui redditi prodotti in un altro Stato estero (esempio: Francia). In linea di principio, questo metodo è ritenuto vantaggioso in presenza di gestioni estere dello stesso contribuente in perdita, ma non nel caso di redditi provenienti da Paesi esteri diversi, con forti differenziali di imposizione, in via generale, o su singoli cespiti reddituali. In questo caso, la detrazione potrebbe essere massimizzata in presenza del metodo overall, che comporta l’aggregazione in un’unica voce della totalità dei redditi di fonte estera e delle imposte assolte all’estero come se il “resto del Mondo” fosse un unico Paese, determinando un livello medio di tassazione che consente il recupero anche delle imposte più elevate di quelle interne. La dottrina aveva prospettato la facoltà di optare per il regime overall con la vecchia disciplina, dato che le imposte estere non coperte dall’imposta italiana andavano perse. Il metodo di calcolo per country si traduce nella determinazione di tanti rapporti frazionari quanti sono i Paesi esteri in cui sono prodotti i redditi imponibili e di altrettanti foreign tax credit per i tributi ivi assolti. L’ammontare detraibile dei tributi esteri è costituito dalla somma dei singoli crediti di imposta determinati per country, ma l’importo così calcolato non può superare l’imposta italiana lorda, che costituisce il limite generale di accreditamento e, in seconda battuta, l’imposta netta dovuta, che assurge invece a “limite assoluto”. Ai sensi del 6° comma dell’articolo 165 TUIR, le eccedenze di imposta estere sono recuperabili mediante il riporto e il maggior credito di imposta complessivo rispetto all’imposta italiana netta è un’eccedenza di imposta estera. Pertanto, il nuovo contesto normativo impone non solo di ricondurre il credito di imposta complessivo entro il limite assoluto di detraibilità di imposte estere, ma anche di ripartire la predetta eccedenza globale fra i redditi esteri prodotti nei vari Paesi.
L’imposta netta dovuta quale limite assoluto ai fini della determinazione del credito di imposta complessivo. La quota di imposta italiana lorda segna il confine delle imposte assolte all’estero accreditabili in Italia. L’imposta italiana lorda calcolata sul reddito complessivo dovrebbe costituire il limite assoluto di accreditamento delle imposte estere. L’amministrazione finanziaria afferma che il credito di imposta determinato ai sensi dell’articolo 165 comma 1 quale minor ammontare fra imposte estere e quote di imposta italiana lorda, va ricondotto, se eccedente, entro il limite dell’imposta netta. In questo modo, si evita che lo Stato italiano finanzi le imposte estere. L’imposta italiana netta quale limite assoluto si concretizza con l’articolo 22 1° comma TUIR, infatti per passare dall’imposta netta all’importo da versare a conguaglio, si scomputano nell’ordine:
- l’ammontare dei crediti per le imposte pagate all’estero, secondo l’articolo 165 TUIR;
- i versamenti eseguiti dal contribuente in acconto dell’imposta;
- le ritenute alla fonte a titolo di acconto operate.
Il credito per le imposte estere in eccesso rispetto all’imposta netta dovuta può formare oggetto di restituzione solo se sia coperto da un corrispondente pagamento di imposte italiane già effettuato dal contribuente. Ciò, nel contesto dell’articolo 165, si verifica in 2 casi:
- in presenza del credito da riliquidazione ex comma 7
- credito da compensazione ex comma 6
Nel primo caso, è possibile che le imposte estere detraibili entro il limite assoluto dell’imposta netta di quel periodo determinino un differenziale di imposta estera accreditabile, da scomputare, nella dichiarazione dei redditi, del periodo di riliquidazione, che risulta superiore all’imposta netta dovuta di quest’ultimo periodo. Nel secondo caso, l’eccedenza di imposta italiana che trasforma l’eccedenza di imposta estera in un importo accreditabile nel periodo di compensazione è costituita dall’imposta netta dovuta nel periodo di origine dopo lo scomputo del foreign tax credit relativo allo stesso periodo. Ciascuno dei 2 crediti rappresenta un maggior credito “coperto” da imposte italiane versate dal contribuente nei rispettivi periodi di competenza e, dunque, un credito equiparabile a quelli spettanti al contribuente per gli acconti versati e le ritenute alla fonte subite.
Il riporto all’indietro e in avanti delle eccedenze di imposta estera. Con il riporto all’indietro si rapporta l’eccedenza di imposta estera ai saldi imponibili, relativi allo stesso reddito estero, che sono emersi negli 8 periodi di imposta anteriori a quello di competenza. Se si riscontrano delle eccedenze di imposta italiana, l’eccedenza di imposta estera dà vita a un credito di imposta attuale, quindi immediatamente detraibile. Il funzionamento della compensazione storica è il seguente: le eccedenze di imposta italiane pregresse si sommano, in tutto o in parte, alla quota di imposta emersa nel periodo di competenza, aumentando così la capienza e incrementando in misura corrispondente il credito di imposta detraibile. Con il riporto in avanti, che opera solo quando le eccedenze di imposta italiana pregresse non esistono o sono inferiori all’ammontare dell’eccedenza di imposta estera riportata all’indietro, si rinvia la compensazione (residua) agli 8 periodi di imposta successivi a quello di competenza. La base di questa compensazione è la seguente: in ciascun periodo di imposta successivo, quando le imposte estere risultano inferiori a quella italiana, le eccedenze di imposta estera si sommano alle imposte estere di periodo, già detraibili, fino a concorrenza della (più elevata) quota di imposta italiana, generando così un credito di imposta addizionale. I riporti si applicano nei casi di:
- redditi di impresa prodotti da imprese residenti nello stesso Paese estero;
- redditi di impresa prodotti all’estero dalle singole società partecipanti al consolidato nazionale e mondiale, anche se residenti nello stesso Paese.
Quanto al profilo soggettivo, il riporto non è consentito agli altri contribuenti. Una posizione sui generis, in cui è consentito il riporto, è occupata dai soggetti passivi IRPEF o IRES non residenti, che esercitano un’attività commerciale in Italia:
- se mediante una stabile organizzazione, i contribuenti rivestono la qualifica di imprenditori, in ragione della presenza della stabile organizzazione nel territorio dello Stato (materiale).
- se detengono una partecipazione in una società residente in regime di trasparenza fiscale, la società trasparente è un’impresa residente, ma è come se si trattasse di un’impresa esercitata dai singoli soci, configurandosi per i non residenti come una stabile organizzazione posseduta “pro quota” (personale).
Quanto al profilo oggettivo, il riporto delle eccedenze di imposta estera è ammesso solo quando il reddito prodotto all’estero dall’impresa residente sia un reddito di impresa. Nel caso delle persone fisiche degli enti non commerciali, il riporto dell’eccedenza di imposta estera e la compensazione con le eccedenze di imposta italiana, spetteranno solo per i tributi applicati sui redditi di fonte estera conseguiti nell’esercizio dell’impresa.