Le teorie del commercio internazionali
Il commercio basato sui vantaggi assoluti: Adam Smith
Smith partì da una verità molto semplice: affinché due paesi commercino fra di loro volontariamente, entrambi devono guadagnarci. Se un paese non guadagnasse nulla o ci perdesse rifiuterebbe di commerciare. Si ipotizza che sia possibile lo scambio, due Paesi che hanno funzioni di produzione in cui si utilizza un solo input, il lavoro, e funzioni di produzione lineari (non ci sono economie o diseconomie di scala) in quanto ogni unità di prodotto richiede sempre per unità di lavoro.
Secondo Smith il commercio fra due paesi è basato su vantaggi assoluti: poniamo che un paese sia più efficiente di un altro nel produrre un determinato bene (che abbia cioè un vantaggio assoluto nella produzione di quel bene) e sia invece meno efficiente nella produzione di un secondo bene (abbia cioè uno svantaggio assoluto nella produzione di questo secondo bene); in una simile situazione tutti e due i paesi possono guadagnare se ciascuno di essi si specializza nella produzione del bene in cui gode di un vantaggio assoluto e ne cambia poi una parte con l’altro paese ottenere il bene nella cui produzione ha uno svantaggio assoluto.
Operando in questo modo, le risorse vengono utilizzate nella maniera più efficiente, e di conseguenza cresce la produzione di entrambi i beni. L’aumento nella produzione di entrambi i beni dà la misura dei guadagni derivanti dalla specializzazione nella produzione, che i due paesi si dividono attraverso il commercio. Ad esempio il Canada è efficace nella produrre il frumento ma non altrettanto per quanto riguarda le banane, esattamente in una situazione opposta si trova il Nicaragua; in questa situazione, entrambi i paesi si avvantaggerebbero specializzandosi nella produzione del bene in cui hanno un vantaggio assoluto e scambiandone una parte poi con l’altro paese. Per effetto di tutto ciò si avrebbe una maggiore produzione e un maggior consumo sia di frumento sia di banane, e ne guadagnerebbero sia il Canada che il Nicaragua.
Sotto questo aspetto, un paese non si comporta in maniera diversa da un individuo, il quale si dedica solo alla produzione del bene che può in maniera più efficiente e poi scambia parte del suo prodotto con altri beni di cui ha bisogno: in questo modo, il prodotto totale e il benessere di tutti gli individui viene massimizzato. Adam Smith riteneva che tutti i paesi potessero guadagnare dal libero scambio e sosteneva con forza la politica del laissez-faire, cioè ridurre al minimo l’interferenza governativa sul sistema economico. Il libero scambio porterebbe a una utilizzazione ottimale delle risorse mondiali e massimizzerebbe il benessere di tutte.
Questa semplificazione conduce ad una totale specializzazione tra Paesi. Questo problema è stato risolto dalla dottrina successiva: nella realtà., infatti, non esiste completa specializzazione produttiva. La specializzazione si afferma quando si realizza lo scambio e ciascun soggetto si specializza in ciò che è in grado di produrre meglio.
Nel 1815 l’economista David Ricardo propose questo modello: vantaggi comparati. Ci muoviamo in un modello ipotizzando regime di concorrenza perfetta, dove ciascun paese partecipando allo scambio sfrutta al meglio la dotazione iniziale, sono possibili solo scambi qualitativamente superiori, che portano a situazioni di ottimo Parietano che si raggiunge quando non sono più disponibili situazioni superiori, cioè che portano benessere ad almeno una parte senza svantaggiare l’altra.
La spiegazione dello scambio è offerta dalla specializzazione. Se guardiamo la situazione mondiale possiamo trovare per ciascun paese una produzione per cui è più abile. Da questo dovrebbe discendere osservando le diverse competenze e tra queste individuando la tecnologia come mix di capitale e lavoro la possibilità di individuare il modello Ricardiano nella realtà, ma il problema è che non abbiamo una specializzazione completa. Questo avviene perché Ricardo ipotizza l’utilizzo d tecnologie lineari.
Non esiste un solo prodotto per ogni categoria merceologica, perché i consumatori richiedono differenziazione. Questo rende difficile quasi impossibile, per un paese di specializzarsi in una produzione di un prodotto. Oggi dunque la commercializzazione è diventata così complessa per cui è impossibile avere specializzazione completa. Tecniche lineari: funzione di produzione lineare; ha rendimenti di scala costanti: quando parliamo di tecnologie lineari potremmo anche non parlare di rendimenti di scala, perché non abbiamo nemmeno la scala, in quanto abbiamo solo un fattore produttivo (lavoro). Quindi non siamo di fronte a rendimenti di scala.
Questa proposta conduce a un’ipotesi di specializzazione completa, ma nella realtà è solo parziale. E possibile eliminare alcune semplificazioni dal modello. La presenza di scambi internazionali e spiegata in termini di vantaggi produttivi. Il passaggio successivo della teoria prende in considerazione i vantaggi comparati. Infatti esistono Paesi avanzati che sono abili nella produzione di diversi prodotti. Ad esempio, il Paese sarà abile sia nella produzione di prodotti tecnologici che nella produzione di prodotti tessili.
Al contrario i Paesi arretrati (ad esempio il Paese A) sono meno abili in tutte le produzioni. Esiste un vantaggio per il Paese avanzato per entrambi i prodotti. Normalmente i vantaggi nelle due produzioni non sono esattamente identici. Teoricamente il Paese avanzato dovrebbe produrre tutto e l’altro Paese nulla, ma ciò non è possibile in quanto il Paese meno avanzato, non producendo, non potrebbe comprare nulla. Si dimostra che spontaneamente il Paese meno avanzato si specializzerà nella produzione in cui il suo svantaggio, di cui si fa carico, è minore.
Questo permette lo scambio a condizioni vantaggiose per entrambi i Paesi, in termini di maggiori disponibilità di produzione e di consumo e di riduzione del differenziale salariale. In questa seconda ipotesi in cui il Paese avanzato è abile in entrambe le produzioni, esso gode di un vantaggio assoluto in entrambi le produzioni e il Paese in via di sviluppo è relativamente meno incapace su una delle due produzioni.
Facendo un confronto, il Paese in via di sviluppo è relativamente più abile in una produzione, anche se subisce uno svantaggio assoluto nelle due produzioni: il Paese ha un vantaggio comparato in quella determinata produzione. Nell’esempio, il Paese A ha due svantaggi assoluti mentre il Paese B ha due vantaggi assoluti. Dove lo svantaggio è meno forte si può dire che il Paese possiede un vantaggio relativo in quella produzione. L’altro paese con due vantaggi assoluti ha un vantaggio relativo nella produzione in cui il divario è più forte. Si parla in questo caso di vantaggi comparati. E sufficiente un divario nei vantaggi assoluti, ossia la presenza di vantaggi comparati, affinché avvenga lo scambio. Se i vantaggi assoluti fossero uguali il paese meno abile non produrrebbe nulla.
Esiste una specializzazione relativa, nella produzione di un bene, indipendentemente dai vantaggi assoluti, che possono entrambi far capo ad un solo Paese. E necessario imporre al modello un’ulteriore condizione: la ragione di scambio internazionale deve essere contenuta nelle ragioni di scambio autarchiche o interne. Il prezzo relativo (la ragione di scambio) dei due beni all’interno dei Paesi è dato dal rapporto tra le produttività marginali, in condizioni di equilibrio. Gli input vanno distribuiti in modo che il loro prezzo sia pari al prodotto marginale dell’input stesso.
Nel modello la produttività marginale costante in quanto la funzione è lineare. Se si ipotizza di pagare il lavoro lo si pagherebbe in base al valore del bene, ossia in base al suo prodotto marginale. Il lavoro è la misura del valore delle cose: è possibile una sorta di baratto, in quanto non c’è moneta ed esiste un solo input. È necessario porre attenzione al tasso di cambio, ossia il prezzo relativo della valuta di due Paesi. Il modello presentato in precedenza vale se il tasso di cambio è irrilevante (rapporto 1:1); il lavoro nei due Paesi e perfettamente omogeneo.
Nel momento in cui ci si sofferma sul tasso di cambio si può dimostrare che lo scambio può avvenire a condizione che la ragione di scambio internazionale tra i due Paesi sia compresa tra le ragioni di scambio autarchiche. Nel modello Ricardiano lo scambio internazionale è effettivamente conveniente laddove la ragione di scambio internazionale sia compresa tra le ragioni di scambio autarchiche dei due Paesi. Il modello riduce le problematiche produttive alle caratteristiche di una sola variabile, il lavoro, in cui sono incorporate tutte le risorse necessarie per la produzione e le eventuali problematiche relative alla produzione stessa. La differenza risiede nel modo di produrre: lo scambio internazionale è spiegato dal possesso di tecnologie diverse. E utile considerare una funzione di produzione che sia almeno in due variabili, in modo da poter essere facilmente rappresentata sul piano cartesiano: si assume che il prodotto sia funzione del capitale (K) e del lavoro (L). Gli isocosti sono tutti paralleli perché il prezzo degli input (K, L) è costante. Data la tecnologia disponibile e i prezzi degli input, nel lungo periodo la via dell’espansione rappresenta il luogo geometrico dei punti del piano per cui ogni isoquanto è tangente ad un isocosto. Nel breve periodo, la via dell’espansione sarebbe costante, in quanto il capitale è costante (K dato). La via dell’espansione nel lungo periodo, disegnata sopra, significa che l’azienda nel tempo produce combinando tecnologie: al crescere della quantità prodotta l’azienda si sposterà su tecnologie capita! intensive (+ K, — L).
Tutti i punti di equilibrio si trovano su una retta uscente dall’origine: si mantiene la stessa tecnologia. La retta è la via dell’espansione ma rappresenta anche una tecnologia (si varia la quantità di input mantenendo la stessa tecnologia nelle medesime proporzioni). Questa seconda via dell’espansione discende da una funzione in due variabili (K,L) e tiene conto di un’espansione che passa attraverso i rendimenti di scala. La via dell’espansione in rendimenti di scala passa attraverso l’adozione di un’unica tecnologia che non si abbandona, aumentando nelle stesse proporzioni i due input, mentre nella via dell’espansione classica (rappresentata nei primo grafico) si passa attraverso diverse tecnologie. Esistono tre tipi di rendimenti di scala: crescenti; costanti; decrescenti. Si hanno rendimenti di scala costanti quando, data una funzione di produzione Q = Q (K, L) e λ > O, moltiplicando per λ sia K che L il risultato è λ . moltiplicato per Q. In altri termini:λ Q = Q (λ.L, λ K). Si avranno rendimenti di scala crescenti se: λQ>Q (λ.L, λ K) e rendimenti di scala decrescenti se: λ Q > Q (λ.L, λ K). Questo modello permette l’evoluzione nel modello di Heckscher Ohlin. Il modello di Ricardo è cmq importante xkè dice k lo scambio è vantaggioso anche per i paesi meno abili ed è un’ ipotesi k vale anche per i modelli successivi: specializzazione; livellamento dei salari tra paesi.
Modello di Heckscher Ohlin
Caratteristica fondamentale: prende in considerazione 2 input produttivi (capitale e lavoro) e assume k la produzione di un bene (ci sono 2 beni producibili) ha una funzione di produzione in cui intervengono i 2 fattori. I 2 beni si distinguono per il fatto k uno viene prodotto con tecnologia ad alta densità di capitale e l’altro bene con una tecnologia ad alta densità di lavoro. Ne discende che il paese che ha più capitale tenderà a specializzarsi nella produzione del bene che richiede un’alta densità di capitale. Viceversa il paese che ha più lavoro, si specializzerà nella produzione del bene ad alta ad alta densità di lavoro. L’alta densità di lavoro e di capitale è espressa in termini relativi, per cui è possibile k un paese abbia una forte presenza di tutti e due gli input ed è possibile che i 2 beni si producano con la stessa necessità di risorse. Però non è ragionevole ipotizzare la superiorità del paese su tutti e due gli input Modello 2×2 : (2 paesi, 2 beni output, 2 fattori input). Quindi funzione di produzione a 2 variabili: ipotesi di concorrenza perfetta del mercato del prodotto, il che indica omogeneità del prodotto (cioè è uguale per il paese A e per il paese B, quindi vale dire che viene usata la tecnologia uguale per entrambi i paesi : prodotto omogeneo). H-O ha riadattato la funzione di produzione di Ricardo (lineare ad una variabile) alla presenza di 2 fattori, quindi è una funzione di produzione sempre lineare. Quindi aumentando l’impiego degli input, il prodotto aumenta esattamente nella stessa proporzione. I 2 input hanno produttività marginali identiche; la 1°, 2° ,3° quantità di input danno sempre la stessa produttività. Questo implica, con prezzi input costanti, che il costo di produzione medio marginale è lo stesso. Quindi se voglio raddoppiare la produzione devo raddoppiare gli input impiegati.
Funzione di produzione lineare à rendimenti di scala costanti
Altra ipotesi è che la funzione oltre ad avere rendimenti di scala costanti è regolare: se nel lungo periodo interviene una modifica nella tecnologia dettata dal know-how, passiamo ad una tecnologia che comunque si mantiene ad alta densità dell’input prevalente. Sulla bisettrice ho la stessa quantità di capitale e lavoro; nel momento in cui nel lungo periodo modifico la mia tecnologia, questa sicuramente si manterrà nello stesso versante della bisettrice in cui era posizionata la vecchia tecnologia.
Ipotesi à fattori di produzione mobili all’interno del paese e immobili sul mercato internazionale, questo significa che un input può essere istantaneamente trasferito alla produzione dell’altro bene, senza costi di conversione, transazione eccetera, purché ci si mantenga nel paese. Nel paese c’è mobilità perfetta. A livello internazionale non c’è mobilità perciò non si hanno spostamenti di macchinari, attrezzi eccetera, né ci sono migrazioni della forza lavoro. Non c’è mobilità degli input. In particolare per il lavoro non c’è mobilità perché si ipotizza che il mercato del lavoro è omogeneo. La migrazione è un fenomeno economico nasce se la popolazione ritiene k altrove possa trovare una migliore condizione lavorativa e di vita. Se non c’è questa disponibilità all’accoglienza da parte dell’altro paese questa migrazione non può avvenire (non c’è domanda).
In sostanza non c’è mobilità xkè c’è sufficiente disponibilità di forza lavoro in entrambi i paesi. Se c’è mobilità è xkè c’è disomogeneità dei mercati del lavoro. Assumere che ci sia mobilità interna e immobilità internazionale, significa che c’è un solo tipo di capitale e che anche il lavoro sia omogeneo, cioè idoneo a produrre entrambi i beni (quindi non ci sarebbe convenienza economica a dar luogo a flussi migratori). Si assume che le situazioni non mettono nessun tipo di ostacolo al commercio internazionale (altrimenti non sarebbe più concorrenza perfetta).
Dette tutte queste ipotesi il modello afferma che un paese esporta un bene nella cui produzione è impiegato in modo relativamente più intensivo l’input di cui il paese è relativamente più dotato. Da qui si deduce che l’altro paese esporta l’altro bene di cui ha più vantaggio a produrre, e da qui nasce lo scambio internazionale, se non si raggiunge la specializzazione perfetta. Il fatto che il Paese si specializzi nella produzione in cui è più agevolato, perché ha più input, ci fa ipotizzare che entrambi i paesi abbiano vantaggio a scambiare i beni. C’è la possibilità di raggiungere la specializzazione perfetta (completa) ma non è detto che il prezzo di input sia uguale in entrambi i paesi.
Se nello scambio internazionale (dove i prodotti raggiungono un prezzo internazionale a cui vengono scambiati) un paese è fortemente specializzato non avremmo più la possibilità di fare degli aggiustamenti a livello internazionale per quel paese il quale non potrà più affrontare azioni di abbandonare il bene X per il bene Y e quindi non potrà aumentare la sua produzione.
Specializzazione = aumenta la domanda internazionale di quel bene, si aumenta la produzione che aumenta la domanda interna degli input per la produzione, in particolare la domanda dell’input più densamente utilizzato. Quindi c’è trasferimento di input da una produzione ad un’altra e si tende a una maggiore specializzazione. Questo non è possibile in un paese totalmente specializzato perché già utilizza tutti i suoi input per la produzione di quel bene. Viceversa, se assumiamo un prezzo del bene che non può variare un eventuale aumento della quantità dell’input implica il fatto che l’input viene offerto ad un prezzo più basso, quindi ci sarà la possibilità di un aumento della produzione di quel bene.
E’ importante valutare il peso dell’economia di un paese. Se l’economia è grande rispetto al resto del mondo, un eventuale ondata di scioperi per aumentare i salari può essere soddisfatta dalle imprese perché l’aumento dei salari può essere trasferito sul prezzo del prodotto. Gli aggiustamenti di prezzo degli input vengono trasferiti sul prezzo internazionale del prodotto. Se invece l’economia è piccola, questa si pone sullo scenario internazionale come un’unica impresa piccola, quindi in concorrenza perfetta in presenza di input più bassi il paese può produrre di più perché aumenta i suoi margini di profitto, ma non può giocare al rialzo dei prezzi.
Problema. Questo modello è totalmente irrealistico soprattutto nel breve periodo, perché queste ipotesi di aggiustamento non sono pensabili. In realtà nel breve periodo possiamo assumere una perfetta mobilità del lavoro, ma non un perfetta mobilità del capitale perché nel capitale è presente il denaro, ma anche i macchinari, le attrezzature, know-how e quindi il capitale rappresenta i beni che si possono acquistare (macchinari) per la produzione (capitale fisico). Quindi non può esserci perfetta mobilità di entrambi gli input. Il paese può muoversi nella specializzazione, ma incontra ostacoli nella mobilità dei fattori. Quindi il modello non funziona più nel breve periodo. Funziona nel lungo e ci saranno aggiustamenti e riconversioni.
Conclusione
Spesso si dice che questo modello non spiega bene gli scambi internazionali perché fa riferimento solo alle esportazione di fattori dei due paesi, invece bisogna spiegare lo scambio attraverso il concetto di differenza di contenuto fattoriale dei 2 beni accompagnato dalla diversa dotazione di fattori specifici. Non si dice semplicemente che lo scambio internazionale è giustificato dalle diverse dotazioni di input dei due paesi, ma è giustificato dalle diverse necessità fattoriali di produzione dei prodotti, che quindi richiedono la presenza di input specifici. Questo modello essendo così ridotto all’essenziale assume che la bilancia commerciale sia in pareggio. Si assume che K e L ci siano e quindi lo scambio internazionale è dato solo dai due beni. Per comprare un bene in sostanza pago con l’altro bene, quindi la bilancia commerciale è in pareggio.
Dunque il modello non rappresenta bene la realtà. A partire dalla metà del secolo scorso la letteratura si è impegnata a spiegare perché il modello di Hekscher-Ohlin (H-O) non funziona. Quindi ha verificato le distanze tra risultati reali e quelli del modello per capire quale variabile del modello modificare per renderlo più realistico. Un’interpretazione interessante è il Paradosso di Leontieff (1953): un paese esportava prodotti con un contenuto di fattori tali da rispecchiare l’abbondanza del fattore stesso. Studiando gli USA nel ’47 è venuto fuori che le esportazioni riguardavano prodotti ad alto contenuto di lavoro nonostante il paese fosse molto dotato di K.
Questo si è spiegato dal fatto che il lavoro era 3 volte più dotato di lavoro rispetto agli altri paesi. Poiché per ragioni di tipo tecnologico il lavoro USA è molto più produttivo che negli altri paesi, in realtà la loro dotazione relativa del lavoro è maggiore della dotazione di K. Nel 1947 le esportazioni USA confermano il modello H-O, essendo il lavoro molto più produttivo del capitale.
Per un lungo periodo gli studiosi non sono riusciti a dare delle spiegazioni a questo modello, ma poi queste sono arrivate:
1) analizzando i dati in modo diverso venivano fuori risultati un po’ meno in contraddizione rispetto al modello H-O.
2) l’altra questione forte a sostegno del modello H-O è che questo modello è stato elaborato in ipotesi di equilibrio stabile, infatti si perveniva facilmente ad un unico prezzo senza preoccuparsi delle ragioni di cambio.
Nel 1947, gran parte delle economie mondiali erano ancora in ricostruzione post seconda guerra mondiale (l’america non era stata toccata dalla guerra e quindi si poteva considerare quasi in equilibrio, mentre gli altri paesi erano tutt’altro che stabili. Il modello doveva essere applicato a condizioni ordinarie e quindi non poteva essere utilizzato in una situazione straordinaria come quella della crisi post 2° guerra mondiale. Il modello fa riferimento a mercati concorrenziali, nella realtà i mercati nazionali e internazionali non sono concorrenziali. Si raggiungono situazioni vicine alla concorrenza, ma comunque siamo in concorrenza imperfetta.