Le successioni
Il fenomeno successorio lo abbiamo già considerato quando abbiamo studiato il diritto privato. Ricorderete la successione nel credito, nel debito, nel contratto. Il fenomeno successorio indica il passaggio di determinate situazioni attive da un soggetto ad un altro. Ora nei casi che abbiamo perso in considerazione in diritto privato occupandoci di persone fisiche (non ci siamo occupati di società), abbiamo considerato ipotesi di successione in un singolo rapporto. La successione di cui parliamo adesso, la successione per antonomasia, riguarda una generalità di rapporti. Tutti i rapporti che facevano capo al de cuius.
Quindi è non una successione a titolo particolare (che riguarda un singolo particolare rapporto), ma una successione a titolo universale, tendenzialmente abbraccia l’universalità dei rapporti facenti capo a colui della cui successione andiamo a parlare, colui della cui successione si tratta, il de cuius. È una successione a titolo universale, nell’ambito di rapporti fra vivi voi incontrate nel caso di società, fusioni, incorporazioni, situazione di questo genere. È una successione mortis causa perché la morte è l’evento determinante, da cui scaturisce tutto il fenomeno successorio.
La successione è destinata a regolare non rapporti fra vivi, ma rapporti che hanno la loro giustificazione, la loro causa, nella morte di una persona fisica. Il fenomeno successorio è dopo la famiglia. Le regole della successione si legano strettamente al fenomeno familiare. La successione tendenzialmente, ex lege esclusivamente, avviene nell’ambito dei rapporti parentali. È lo strumento attraverso cui si realizza il passaggio della ricchezza da un soggetto alle nuove generazioni, ai suoi discendenti. Da un lato i rapporti familiari sono presupposto per capire le regole della successione, è evidente che le trasformazioni della famiglia influiscono sulle situazioni successorie.
Se andiamo a guardare al il passato, sappiamo che il codice attuale è figlio del codice del 1865 che a sua volta è figlio del codice napoleonico. Prima della rivoluzione francese, nell’ancien régime, quando la società era intrisa di rapporti di natura feudale, c’erano nel diritto delle successioni di allora, due regole fondamentali poi scomparse col passaggio ad una nuova famiglia ed economia. Erano il maggiorascato e il fedecommesso. Maggiorascato era la regola secondo la quale il patrimonio andava devoluto al maggiore dei figli. E gli altri? I cadetti erano sacrificati a cosa? All’ideale della conservazione dell’unità del patrimonio.
La forza economica ma anche politica della famiglia era data dalla consistenza del patrimonio soprattutto fondiario, la terra, il potere, non bisognava dividere il patrimonio, perché ne sarebbe andata in discussione la potenza del ceppo familiare. Gli altri figli? Le donne o andavano in convento o ricevevano la dote. La dote aveva questa funzione: dare alle figlie un tot che sarebbe servito per contribuire al mantenimento della nuova famiglia che andavano a costituire (gestito dal marito), ma anche al convento bisognava dare una dote. Per diventare badessa (Manzoni), bisogna darla anche al convento. I maschi? I cadetti andavano avviati o alla carriera ecclesiastica o finivano per essere capitani di ventura od altre destinazioni.
Il fedecommesso serviva a garantire questa unità nei successivi passaggi generazionali. Oggi il fedecommesso è previsto nel codice ma ha una finalità diversa, finalità assistenziale. In passato, commettere = attribuire, sulla base di un vincolo fiduciario. L’erede riceveva ma aveva un patto fiduciario, un obbligo di conservare il patrimonio e di trasferirlo ai propri discendenti. L’erede non era libero di gestire il proprio patrimonio, ma sulla base del fedecommesso doveva conservarlo e trasferirlo al successivo erede. Si garantiva l’integrità del patrimonio alla prima e seconda generazione.
Queste regole successorie scompaiano col passaggio ad una nuova famiglia ed economia basata non più sulla proprietà fondiaria ma sull’impresa, famiglia ristretta sul numero dei componenti. Già nel codice napoleonico la famiglia è la famiglia coniugale, la famiglia allargata al nucleo più ampio è lo sfondo. L’unità della famiglia non è più centrata sul patrimonio ma sull’autorità del capo famiglia. Ancora nel 1942 la famiglia è basata sul capo famiglia, è l’autorità che ne cementa l’unità, non più il patrimonio. Già nel passato vediamo come le regole successorie risentano delle trasformazioni economiche e della famiglia.
Ancor più nel presente, nel passaggio dal codice 1942 alla riforma del 1975 sono cambiate le regole successorie relative alla successione del coniuge, il coniuge non è più quella figura di secondo piano (moglie) alla quale si dava una dote. Scompare anche l’usufrutto della moglie. In passato la moglie aveva come diritti ereditari non quello di succedere nella piena proprietà, ma solo in una quota in usufrutto. Il principio del passaggio della ricchezza era dal padre al figlio e al nipote. Un passaggio in linea retta. Il passaggio alla moglie era una sorta di mossa del cavallo, mossa laterale, mossa molto parziale. La moglie poteva solo utilizzare, avere l’usufrutto sul patrimonio del marito. Alla sua morte tutto sarebbe rientrato nell’alveo, perché estinguendosi l’usufrutto, veniva a consolidarsi con la nuda proprietà che spettava ai discendenti.
Ora invece la moglie succede nella piena proprietà. Possiamo chiederci se questo è sempre giustificato anche nel caso di secondi matrimoni ecc. Il passaggio da una famiglia gerarchica a quella paritaria ha avuto riflessi nella successione del coniuge, nella successione dei figli, laddove non essendo più i figli naturali messi da parte, quindi soggetti discriminati, anche i figli naturali succedono a pari titolo nella stessa posizione. Dal 1975 ad ora la famiglia è ancora cambiata. C’è una maggiore fragilità nelle famiglie, c’è un maggiore incremento delle seconde nozze. Non sono più quelle del vedovo, ma anche del divorziato. Abbiamo quel fenomeno della ricomposizione familiare per cui i nuclei nascono su ceneri di precedenti esperienze e spesso si intrecciano: rapporti fra fratelli che hanno genitori, nonni.
Ci sono poi le famiglie non fondate sul matrimonio, coppie dello stesso sesso. Tutto questo determina problemi in campo successorio per quel che riguarda i figli naturali c’è il problema della successione collaterale (fratelli, cugini). Tutto questo porta a riflessioni su norme attuali, sulla possibilità di una riforma, se ne discute. Da un lato la successione del coniuge, quanto la legittima sia ancora giustificata. L’altra grande trasformazione riguarda la durata della vita media. Molto allungata. Cambia la funzione della successione.
Originariamente, quando la vita media era 45, 50 anni, la successione serviva alla nuova generazione per dare quelle risorse che avrebbero consentito di affermarsi nel campo sociale. Se ora i vecchi muoiono a 80 90 anni, la successione del figlio non serve più a questo scopo. I figli ne hanno 70, se si volevano affermare nel campo della società l’hanno già fatto. I vecchi se possono aiutare i figli lo fanno in vita. Può servire semmai ad aiutare la generazione dopo, i nipoti, non più i figli. Questo porta a riflettere sulla funzione della successione e quanto sia giustificato ancora una quota di legittima così tutelata come è quella nostra.
C’è tutto un ripensamento da un lato della validità della legittima, su cui poi ci torneremo. La nostra legittima, la riserva di una quota indisponibile a favore dei figli e del codice è molto rigida. Vedremo che è presidiata da tutta una serie di regole che attribuiscono una tutela molto forte. Un problema di discussione attuale è questo, riguarda la quota di legittima. L’altro problema attuale rispetto ad un altro elemento. La successione si lega al fenomeno dell’autonomia privata, più ancora del contratto. Nel contratto devo contrattare, nel testamento faccio quello che voglio. È uno strumento straordinario di autonomia privata. Quello che voglio ma due limiti: quota di riserva e divieto di patti successori. Io posso fare testamento e disporre dei miei beni salvo che non leda la quota di legittima. Questo posso farlo solo col testamento non con un atto fra vivi.
Finché sono vivo, non posso fare patti che sono già vincolanti in vita. La caratteristica del testamento è la revocabilità fino alla fine, preservata col divieto dei patti successori. Col divieto di stabilire in vita con effetti già vincolanti, assetti successori fissi. Cosa che può essere molto utile quando si voglia già in vita predisporre una situazione chiara e soprattutto il problema riguarda, quello del passaggio generazionale della ricchezza, nell’ambito dell’attività da parte dell’imprenditore. Chi esercita l’attività di impresa ha il compito di garantire la continuità dell’impresa anche dopo la morte e verificare in vita un assetto di organizzazione in modo da poter vedere se funziona.
Ad esempio al figlio più portato per le attività di impresa gestionali dare l’impresa, agli altri dare altre possibilità. Assetto che poi non generi situazioni di confitto. Per venire incontro a questa esigenza è stata, qualche anno, fa introdotta la disciplina dei patti di famiglia. Viene concepita, poi ci torneremo, come una deroga al divieto dei patti successori. È l’idea per cui mettendo attorno ad un tavolo tutti coloro che avrebbero diritto sulla successione (dell’impresa), si può fare un accordo per cui quello/i prescelti o interessati a proseguire l’attività di impresa, prendono questo cespite e liquidano agli altri quello che a loro spetterebbe, evitando che alla morte questi possano far valere diritti come legittimari e quindi rimettere in discussione questo assetto.
Questo patto fra l’imprenditore e i discendenti (legittimari) ha la funzione di evitare che al momento della morte possa esserci una rimessa in discussione e quindi delle azioni di riduzione a tutela dei legittimari. La successione ha molto a che fare con l’autonomia privata. Il punto critico è proprio questo: la possibilità di predisporre in vita già con effetti obbligatori. Il testamento finché non c’è l’apertura della successione può essere sempre modificato, mentre il contratto ha forza di legge fra le parti, vincola dal momento in cui è fatto.
Altro punto da sottolineare è i rapporti fra successione e proprietà. Nella costituzione abbiamo l’art.42 che afferma all’ultimo comma “La legge stabilisce le norme e i limiti della successione legittima e testamentaria”. Da un lato prevede come forme la successione ex lege e che eventuali limiti possono essere disposte con leggi. C’è una riserva di legge per la fissazione. Continua “e i diritti dello Stato sulle eredità”. Quali sono i diritti dello Stato sulle eredità? Sappiamo che nella successione legittima se non ci sono parenti entro il sesto grado la successione viene devoluta allo Stato.
Ma non sono questi. I diritti dello Stato sono legati alla leva fiscale. Lo Stato ha la possibilità di imporre delle imposte sulle successioni. Questo è un punto molto delicato. Sono oltre la imposta successoria, le imposte ipotecarie e catastali. Punto delicato. Voi sapete che le imposte successorie sono state modificate di recente. Siamo passati da una situazione, prima degli anni ‘90 in cui l’imposizione fiscale era molto pesante ad una situazione in cui sono state ridotte significativamente, poi abolite, poi ripristinate ma con una quota di esonero sia a favore dei parenti più stretti sia in relazione all’asse ereditario complessivo (valore del patrimonio ereditario).
Al di sotto di un certo ammontare elevato e fra parenti stretti l’imposta ereditaria attualmente non c’è. Questo meccanismo fiscale ha delle conseguenze molto importanti. Se ne sono ben accorti i notai. Considerate che il trattamento fiscale riguarda sempre a pari titolo le successioni e le donazioni, perché? La donazione costituisce lo strumento per anticipare in vita le liberalità che altrimenti vengono poi rinviate al momento della morte. Le donazioni vengono considerate al pari dei lasciti testamentari come strumento di lesione dei diritti dei legittimari.
La legge dice che a mio figlio devo lasciare la metà del patrimonio ma io voglio lasciarla al mio fidanzato, posso fare una donazione in vita. Ma se non considerassi le donazioni come possibile strumento di lesione dei diritti dei legittimari sarebbe facile aggirare la legge. Da un lato le donazioni vengono computate nel conto che si fa, e lo vedremo, che si fa per vedere se c’è stata lesione della legittima. Dall’altro il trattamento fiscale delle donazioni è lo stesso, sennò sulla base di un giudizio di convenienza uno sfrutterebbe la situazione.
Questo trattamento fiscale più favorevole che c’è nei confronti delle donazioni e dei lasciti testamentari ha provocato un ritorno di fiamma del testamento. Se ne sono accorti i notai che fanno più testamenti e anche più donazioni. Donazioni proprie. Quando le imposte sulle donazioni erano forti, le persone trovano le strade traverse. È un po’ come un fiume. Se c’è uno sbarramento di li non passa e passa da un’altra parte, esonda. Lo stesso se si incontrano ostacoli si prendono altre strade. Quali sono le altre strade? Sono le donazioni indirette.
Se voglio beneficiare un figlio, posso donargli una casa di cui sono proprietario (donazione per atto pubblico, forma solenne, due testimoni, tasse per le donazioni), adesso può convenire farlo, le tasse per le donazioni tra genitori e figli non sono forti. Prima si preferiva, anziché donargli l’immobile del nonno gli si danno i soldi per comprarne uno nuovo. L’atto del notaio era una compravendita. A questa compravendita sotto in realtà cosa c’era? Una liberalità con cui il genitore attribuisce quel che occorre: risorse, soldi per fare l’acquisto. Questo atto da genitore a figlio è una liberalità attuata in modo diverso rispetto alla donazione vera e propria, quindi donazione indiretta. Può essere fatta in tanti modi: accendendo un mutuo, può anche essere la remissione di un debito.
Tutte le volte in cui questi atti hanno come causa, sono giustificati non da ragioni economiche e sociali, ma la liberalità, si parla di donazioni indirette. Nella situazione in cui le imposte sulle donazioni vere e proprie sono forti, donazioni vere e proprie se ne fanno poche. Se le imposte sulla donazione o sulle successioni sono più contenute può diventare più conveniente fare vere e proprie donazioni. Finché le imposte sulle successioni sono molto forti, di testamenti se ne fanno pochi. Si cerca in vita di realizzare un fenomeno successorio attraverso che cosa? Le donazioni no, non se ne possono fare, o attraverso donazioni indirette o attraverso altri congegni negoziali, societari, allo scopo di evitare l’imposizione fiscale al momento della morte.
Laddove l’imposizione fiscale al momento della morte è contenuta, c’è meno la ragione economica di fare queste operazioni in vita si fanno ancora operazioni economiche in senso lato, passaggio di assetti successori in vita, ma se ne fanno meno rispetto al passato. I diritti dello Stato influiscono sulla decisione dei privati di utilizzare il testamento e le donazioni per realizzare il passaggio generazionale della ricchezza oppure non utilizzarlo. Se farete i commercialisti, vi renderete conto che vi chiederanno qual è il regime fiscale? Se è in un certo modo fate una scelta, sennò delle altre, sempre che siano lecite e non elusive, non costituiscano dal punto di vista fiscale un abuso del diritto.