I licenziamenti collettivi
I licenziamenti collettivi per riduzione di personale. La disciplina collettiva e l’elaborazione giurisprudenziale.
Sono strettamente collegati con l’abolizione del recesso ad nutum nei licenziamenti individuali.
Nell’accordo del 1947 la disciplina sostanziale dei licenziamenti individuali si fondava sul vincolo di giustificare il licenziamento. A fronte di tale obbligo, la nozione di licenziamento collettivo veniva identificata da esigenze di riduzione o trasformazione di attività o di lavoro.
Tale caratteristica è stata mantenuta anche nei successivi accordi del 21 aprile 1950 e del 5 maggio 1965 che imponevano l’obbligo di consultare i sindacati e di esperire un tentativo di conciliazione.
La ragione della differenziazione così introdotta va ravvisata nella considerazione che anche l’autonomia collettiva riconosceva il diritto alla libertà di iniziativa economica tanto da farlo prevalere sull’interesse dei singoli alla conservazione del posto di lavoro.
Il quadro era destinato a mutare per effetto della Legge numero 604 del 1966, con la quale venivano introdotti limiti al potere di recesso del datore di lavoro. Infatti, il legislatore del 1966 aveva escluso la materia dei licenziamenti collettivi dalla disciplina di quelli individuali. Di conseguenza non era corrisposto un accrescimento della tutela dell’interesse collettivo alla conservazione dei livelli occupazionali.
Per lungo tempo, l’assenza di una specifica disciplina legislativa in materia di licenziamenti collettivi ha così attribuito alla giurisprudenza il compito di precisare la nozione del licenziamento collettivo e le forme di tutela al singolo lavoratore. La giurisprudenza era giunta ad alcune conclusioni, soprattutto affermando il principio secondo cui il giudice non può valutare il merito delle scelte tecniche addotte dall’imprenditore a giustificazione della riduzione del personale, giacché esse rientrano nella libertà di iniziativa economica garantita dall’articolo 41, comma 1, Costituzione.
La funzione suppletiva della giurisprudenza e le sue contraddizioni. La disciplina comunitaria.
La Corte di cassazione, dopo una lunga elaborazione giurisprudenziale, era giunta ad affermare che l’osservanza delle procedure di consultazione sindacale costituivano essenziale requisito formale del licenziamento collettivo, in mancanza si trasformava in una somma di licenziamenti individuali (cosiddetti licenziamenti individuali plurimi). Analoghe conseguenze dalla mancata sussistenza del requisito della riduzione o trasformazione di attività o lavoro ovvero nel caso in cui mancasse il nesso di causalità tra la scelta di riduzione e il licenziamento stesso. Viceversa, nel caso in cui non fossero stati rispettati i criteri di scelta fissati dagli accordi interconfederali, il lavoratore avrebbe avuto diritto solo ad una tutela risarcitoria per il danno subito.
Più specificamente, la Corte di cassazione aveva affermato che l’elemento fondamentale andava ravvisato “nel motivo, consistente nel ridimensionamento dell’azienda” (nozione ontologica del licenziamento collettivo) inteso come ridimensionamento strutturale dell’impresa.
A fronte dei cosiddetti licenziamenti tecnologici (indotti dall’introduzione di tecnologie labour saving) la Corte ha riconosciuto la configurabilità del licenziamento collettivo. Essa aveva invece escluso la ricorrenza di un licenziamento collettivo nel caso di licenziamento di tutti i dipendenti per cessazione totale dell’attività produttiva.
Nel 1991 è stata emanata (nell’ambito della Legge 23 luglio 1991, numero 223) una disciplina legale dei licenziamenti collettivi che ha inteso dare attuazione alla Direttiva del 1975 che non era stata attuata dallo Stato italiano.
Di recente sia la Direttiva del 1975 sia quella del 1991 sono state abrogate dalla Direttiva 98/59 del 20 luglio 1998 che ha riprodotto alla lettera le disposizioni sostanziali della Direttiva del 1975, come modificate ed integrate da quella del 1992, solo con una diversa numerazione.
La disciplina delle riduzioni di personale introdotta dalla Legge numero 223 del 1991.
La Legge numero 223 del 1991 è comprensiva di tutte le situazioni di eccedenza di personale sia di carattere temporaneo che definitivo.
Il legislatore ha delineato due differenti ipotesi di trattamento delle eccedenze definitive di personale delle imprese distinguendo a seconda che l’eccedenza si manifesti in un processo di ristrutturazione ossia “collocamento in mobilità” o in crisi aziendale ossia “licenziamento collettivo per riduzione del personale”.
Vanno subito precisati alcuni aspetti di rilievo:
- La disciplina sul licenziamento collettivo per riduzione di personale ha una portata generale e riguarda le imprese che rientrano e che non rientrano nel campo della CIGS;
- La normativa si applica alle imprese con più di 15 dipendenti;
- La disciplina dei licenziamenti collettivi per riduzione di personale rinvia in buona parte a quella dettata per il collocamento in mobilità, in effetti si configurano finalizzati alla immediata e definitiva espulsione dall’impresa dei lavoratori eccedenti.
La procedura di collocamento in mobilità.
Qualora un’impresa ammessa al trattamento d’integrazione straordinaria, “nel corso di attuazione del programma…ritenga di non essere in grado di garantire il reimpiego di tutti i lavoratori sospesi e di non poter ricorrere a misure alternative”, deve avviare una procedura di collocamento in mobilità (o procedura di mobilità tout court); qualunque sia il numero dei lavoratori da collocare in mobilità esclusi i dirigenti.
Dal punto di vista della procedura, all’impresa grava l’obbligo d’informazione dei sindacati e della pubblica autorità competente. La legge sollecita la ricerca di soluzioni alternative all’espulsione di personale; è anzi previsto il riassorbimento anche parziale dei lavoratori eccedenti a mansioni non equivalenti o presso un’altra impresa, per una durata temporanea.
In conclusione, in attuazione degli obblighi comunitari imposti dalla Direttiva numero 92/56 del 26 giugno 1992, il legislatore italiano è dovuto intervenire ad integrare la normativa del 1991, stabilendo la possibilità di ricorrere a veri e propri piani sociali rivolti a facilitare la riqualificazione e la riconversione dei lavoratori eccedenti.
Il collocamento in mobilità dei lavoratori eccedenti. Le sanzioni per il licenziamento illegittimo.
Esaurita la procedura di mobilità l’imprenditore può procedere al collocamento in mobilità e cioè alla risoluzione del rapporto di lavoro (recesso).
La legge ha dettato alcuni criteri di scelta ovvero: i carichi di famiglia, l’anzianità e le esigenze tecnico – produttive ed organizzative.
Per il licenziamento dei singoli lavoratori è poi imposta la comunicazione individuale in forma scritta, nonché l’obbligo del preavviso. Inoltre vanno comunicati alla Direzione regionale del lavoro, alla Commissione regionale per le politiche del lavoro ed ai sindacati di categoria i dati anagrafici e professionali, nonché le modalità di applicazione dei criteri di scelta.
La Legge numero 223 stabilisce che i licenziamenti senza forma scritta sono inefficaci, dichiara annullabili quelli in violazione dei criteri di scelta. E’ prevista la reintegrazione nel posto di lavoro.
Nel caso di reintegrazione, la legge consente il licenziamento di un numero pari di lavoratori, nel rispetto dei criteri di scelta dandone comunicazione alle r.s.a: la norma riguarda solo i licenziamenti annullati per inosservanza dei criteri di scelta.
Salvo il caso di assenza di forma scritta il licenziamento deve essere impugnato, a pena di scadenza, anche in forma stragiudiziale, entro il termine di 60 giorni.
Il cosiddetto statuto dei lavoratori in mobilità:
- L’indennità di mobilità: i lavoratori collocati in mobilità ai sensi dell’articolo 4, i quali possano far valere un’anzianità di almeno 12 mesi di cui almeno 6 di lavoro effettivo, hanno diritto ad un’indennità di mobilità. La misura dell’indennità è pari per i primi 12 mesi a quella del trattamento di integrazione salariale goduto immediatamente prima del licenziamento, mentre nei mesi successivi si riduce al 80% dello stesso trattamento. L’indennità di mobilità è sostitutiva di ogni altra prestazione di disoccupazione ed i periodi di godimento sono utili ai fini pensionistici; inoltre, è incompatibile con trattamenti pensionistici diretti a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità e la vecchiaia.
- L’iscrizione nelle liste di mobilità: ai lavoratori collocati in mobilità ai sensi dell’articolo 4, Legge numero 223 è prevista la loro iscrizione in una lista di mobilità.
La legge assicura l’iscrizione anche ai lavoratori che non abbiano il requisito dell’anzianità aziendale di 12 mesi.
La cancellazione dei lavoratori dalle liste di mobilità avviene alla scadenza dei periodi di percezione dell’indennità di mobilità e nei casi in cui essi non percepiscono tale indennità avverrà alle medesime scadenze.
La legge prevede la cancellazione dalla lista anche quando venga meno lo stato di disoccupazione.
Il licenziamento collettivo per riduzione di personale: l’estensione delle norme sulla procedura, sull’indennità e sull’iscrizione nelle liste di mobilità.
L’imprenditore in una situazione di crisi non ha alcun obbligo di ricorrere alla Cassa integrazione guadagni potendo decidere di procedere ad una riduzione di personale.
L’eccedenza di personale con caratteri di definitività può manifestarsi dopo l’attuazione di un programma di trasformazione aziendale per il quale sia stato concesso l’intervento straordinario della CIG, anche nei confronti di imprese che non rientrino nel campo della CIG.
L’articolo 24, Legge numero 223 del 1991 ha dettato una specifica disciplina in materia, la nozione di licenziamento collettivo per riduzione di personale.
Esso fa riferimento all’imprenditore che occupi più di 15 dipendenti, il quale intenda procedere ad almeno 5 licenziamenti in un arco di 120 giorni. Nell’ambito del licenziamento collettivo per riduzione di personale viene ricompreso anche il licenziamento dall’imprenditore che intenda cessare totalmente l’attività.
L’articolo 24 pone a fondamento del licenziamento collettivo per riduzione di personale “una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro” aggiungendo in conformità con la previsione della Direttiva comunitaria del 1975, i requisiti numerici, temporali e spaziali di cui si è detto in precedenza.
In presenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, l’attivazione della procedura da parte dell’imprenditore comporta automaticamente la natura collettiva del licenziamento.
Sembra, dunque, che si debba riconfermare la possibilità di un controllo giudiziario sull’effettiva sussistenza di questo requisito ed il controllo del giudice deve ritenersi estendibile al nesso di causalità tra la scelta imprenditoriale ed il singolo licenziamento, anche in considerazione dell’esplicita previsione secondo la quale i licenziamenti devono essere tutti “riconducibili alla medesima riduzione o trasformazione”.
L’articolo 24, Legge numero 223 prevede che si applichino tutte le disposizioni procedurali dettate per il collocamento in mobilità dei lavoratori. L’imprenditore è dunque tenuto al rispetto delle procedure e degli adempimenti amministrativi previsti dall’articolo 4, oltre che al rispetto dei criteri di scelta, del preavviso e dei vincoli formali. Comune alle due ipotesi è anche il regime dell’inefficacia e dell’annullabilità del licenziamento intimato senza l’osservanza dei requisiti procedurali e formali con applicazione dell’articolo 18, Legge numero 300, nonché l’applicazione del termine di impugnazione.
Il licenziamento ex art. 24 deve avvenire entro 120 giorni dalla conclusione della procedura di mobilità.
La Legge numero 223 ha poi esteso ai lavoratori, ai sensi dell’articolo 24, il diritto all’indennità di mobilità ed all’iscrizione nelle liste di mobilità, alle stesse condizioni per il collocamento in mobilità. In questo caso è stata assicurata l’iscrizione nelle liste di mobilità ai lavoratori che, licenziati ai sensi dell’art. 24 da imprese soggette alla CIGS, non abbiano diritto all’indennità di mobilità a causa della mancanza dell’anzianità aziendale di 12 mesi, nonché ai lavoratori non soggetti alla CIGS.
Gli oneri economici posti a carico delle imprese.
La Legge numero 223 del 1991 a posto a carico dell’imprenditore soggetto alla disciplina della CIGS oneri economici di un certo peso (cosiddetto contributo di mobilità), soprattutto quando i lavoratori licenziati gravano sulla spesa previdenziale.
L’articolo 5, comma 6, Legge numero 223 del 1991 ha previsto un aggravio qualora il collocamento in mobilità avvenga tra la fine del 12° mese dalla concessione della CIG e la fine del 12° mese successivo al completamento del programma di risanamento. La ratio della norma è di evitare che il costo dell’intervento straordinario si cumuli con quello dell’indennità di mobilità, inducendo le imprese a rendere le eccedenze definitive.
Procedure concorsuali, collocamento in mobilità e licenziamento per riduzione di personale.
L’introduzione di una specifica causa di intervento straordinario della CIG collegata ad una procedura concorsuale nel corso della quale non sia stata disposta la continuazione provvisoria dell’attività non esclude la possibilità del ricorso a licenziamenti per riduzione di personale ai sensi degli articoli 4 e 24, Legge numero 223 del 1991.
Il licenziamento dei lavoratori nell’ambito di una procedura concorsuale deve sottostare anche ai limiti da quella stabilita, ferma restando la libertà di dimissioni con preavviso del lavoratore ex articolo 2118 codice civile. L’apertura della procedura concorsuale non costituisce giustificato motivo oggettivo di licenziamento, né i presupposti per il collocamento in mobilità o per il licenziamento collettivo per riduzione di personale.
L’articolo 3, comma 3, Legge numero 223 del 1991 prevede che, allorché non sia possibile la continuazione dell’attività ovvero quando i livelli occupazionali possano essere salvaguardati solo in parte, il curatore, il liquidatore o il commissario hanno facoltà di collocare in mobilità i lavoratori ai sensi dell’articolo 4 della Legge numero 223 del 1991 se sia stato concesso l’intervento straordinario della CIG, oppure di licenziare collettivamente ai sensi dell’articolo 24 della stessa legge.
Nell’ipotesi in cui sia stata disposta la continuazione dell’attività, essi si trovano ad operare come un qualunque imprenditore e hanno facoltà di decidere l’immediato ricorso ai licenziamenti collettivi ex articolo 24.
Qualora, invece, non sia stata disposta essi possono egualmente decidere l’immediato ricorso al licenziamento collettivo.
La legge riconosce le peculiarità della situazione di crisi in cui versa l’impresa sottoposta a procedura concorsuale, prevedendo oltre ad una riduzione del termine per l’espletamento della consultazione sindacale, l’esonero dal contributo dovuto per il collocamento in mobilità.
Nel corso della procedura concorsuale, si può giungere al trasferimento dell’azienda: di cui all’articolo 2112 codice civile e all’articolo 47, Legge 29 dicembre 1990, numero 428, non costituisce motivo legittimo di licenziamento; dopo la cessione si può procedere ad eventuali licenziamenti secondo la disciplina generale.
La residua area di operatività della disciplina interconfederale del 1965.
Gli accordi interconfederali applicabili alle imprese con più di 10 dipendenti, sembrano assicurare una tutela di tipo procedurale nei casi di licenziamenti derivanti da “riduzione o trasformazione di attività o di lavoro”, collettivi sul piano sindacali ma individuali dal punto di vista legale e non configurabili come collocamento in mobilità ai sensi dell’articolo 4.
Sui licenziamenti individuali, spetta alla giurisprudenza determinare le conseguenze da connettere al mancato rispetto delle procedure di consultazione sindacale con ricorrenza di una ipotesi d’inefficacia del licenziamento.
Gli interventi di carattere transitorio ed eccezionale in materia di mobilità. I prepensionamenti e la cosiddetta mobilità lunga.
Al pari della disciplina della CIGS anche quelli in materia di iscrizione nelle liste di mobilità e di corresponsione della relativa indennità ha conosciuto una lunga serie d’integrazioni in senso estensivo o di proroga nel tempo.
Si è trattato di interventi destinati a lavoratori anziani, di difficile ricollocazione nel mercato del lavoro, che attraverso il prolungamento del diritto a percepire l’indennità (cosiddetta mobilità lunga) sono stati “accompagnati” fino al compimento dell’età pensionabile.
Tra questi provvedimenti va sottolineata la mobilità lunga, la quale ha svolto in realtà la funzione di surrogato dei cosiddetti prepensionamenti.
La mobilità lunga ha consentito l’impiego di questi lavoratori nei lavori socialmente utili e ne ha ritardato il passaggio a carico del sistema previdenziale.