Lavori atipici
1) Il lavoro atipico nella Carta dei diritti sociali: Se ne parlò nella Carta Comunitaria dei diritti sociali fondamentali dell’uomo del 1992. Però non è tardiva in quanto se ne era già parlato negli anni ’70 con la risoluzione del Consiglio sulla ristrutturazione del tempo di lavoro che fu la base per la proposta di due direttive nel 1982 sul lavoro volontario a tempo parziale e sul lavoro temporaneo, che però non ebbero buon esito perché si scontrarono con alcuni settori del Parlamento Europeo e con il Governo Britannico. Nella Carta sociale c’è una sollecitazione della Commissione ad intervenire sulla disciplina del lavoro e nel 1990 ci fu la proposta di 3direttive: la prima relativa a determinati rapporti di lavoro per quanto riguarda le condizioni lavorative; la seconda per quanto riguarda la concorrenza; la terza volta a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori temporanei. Di queste 3direttive solo la terza è giunta in porto mentre le altre si sono bloccate a fronte dell’impossibilità di raggiungere il consenso necessario alla loro approvazione da parte del Consiglio. In seguito ad alcuni sforzi la Commissione decise di sperimentare le possibilità a fronte dall’accordo sulla politica sociale allegato al Trattato di Maastricht, promuovendo un accordo tra le parti sociali a livello Comunitario, questo diede vita a: 1) un accordo quadro in materia di part-time, poi allegato alla direttiva 97/81/CE; 2) un accordo quadro in materia di assunzioni a tempo determinato allegato alla direttiva 99/70/CE; 3) un intesa sulla disciplina del telelavoro, su questo non è stata assunta nessuna direttiva comunitaria. 2) Il lavoro a tempo parziale: direttiva 97/81: In base agli accordi sulla politica sociale di Maastricht il contenuto della direttiva ha un preambolo di ben 26Considerando. L’accordo si compone di 3parti: preambolo e considerazioni generali e 6clausole. Però è a tutti gli effetti una direttiva Comunitaria e assume grande sensibilità verso il lavoro part-time, sempre più diffuso e che si usa per accrescere i livelli occupazionali e esso ha nessi molto stretti con l’occupazione femminile. L’obbiettivo è quello di equiparare i lavoratori part-time e dargli parità di trattamento rispetto al lavoratore a tempo pieno. Campo di applicazione: il lavoratore a tempo parziale è il lavoratore il cui orario di lavoro normale, calcolato su base settimanale o in media su un periodo d’impiego che può andare fino ad un anno, è inferiore a quello di un lavoratore a tempo pieno comparabile. Il lavoratore a tempo pieno comparabile che costituisce la base d’indagine è il lavoratore a tempo pieno dello stesso stabilimento che svolge un’attività identica o simile. La comparazione si basa sull’anzianità di servizio o sulle qualifiche; essa è stata criticata perché sono criteri soggettivi, inoltre la differenza è solo in base all’orario. La direttiva comprende il part-time verticale (se la riduzione di orario viene effettuata nell’ambito di periodi concordati (settimana, mese, anno). Ad esempio si concordano 3 giorni pieni a settimana); quello orizzontale (se la riduzione di orario viene effettuata all’interno dell’orario giornaliero (ad es. 4 ore anziché 8, tutti i giorni)) e quello misto (è una combinazione delle due tipologie sopra descritte. Ad esempio, in alcuni periodi dell’anno si può concordare una riduzione dell’orario di lavoro del 50%, in altri del 20%). Però è a discrezione degli Stati di escludere in tutto o in parte i lavoratori part-time occasionali anche se c’è il rischio che nascano discipline diverse e difficilmente controllabili fra i vari ordinamenti. Obbiettivi e contenuti della direttiva: 1) promuovere lo sviluppo del lavoro a tempo parziale volontario; 2) contribuire all’organizzazione flex dell’orario di lavoro sia pure attraverso misure atte a bilanciare le esigenze di datore e lavoratore. La volontarietà del lavoro a tempo parziale è oggi considerata come un obbiettivo da assicurare nella scelta dei lavoratori non soltanto al momento dell’instaurazione del rapporto, ma anche in costanza dello stesso. Non può essere valido motivo di licenziamento il rifiuto di un lavoratore di essere trasferito da un lavoro a tempo pieno ad uno a tempo parziale o viceversa. Quasi tutta la clausola 5 dell’accordo quadro appare scritta in relazione all’obbiettivo di facilitare lo sviluppo di lavoro a tempo parziale e a migliorare la qualità del lavoro a tempo parziale. Il decreto che ha trasposto la direttiva non contiene clausole di facilitazione del lavoro part-time riguardo ai più elevati livelli professionali. Però gli Stati Membri possono identificare e eliminare gli ostacoli di natura giuridica o amministrativa che possano limitare la possibilità di lavoro a tempo parziale. L’accordo quadro consente di mantenere o introdurre clausole più formali a livello nazionale, però non si può giustificare un regresso rispetto alla normativa vigente e nemmeno entrare nella discriminazione. La tutela anti-discrminatoria: assicura la soppressione delle discriminazione nei confronti dei lavoratori a tempo parziale e migliora la qualità del lavoro part-time. I lavoratori part-time non possono essere trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno per il solo motivo di lavorare a tempo parziale. Il diritto di discriminazione riguarda l’insieme delle condizioni dei rapporti di lavoro ma non ai trattamenti previdenziali pubblici perché rinviano alle decisioni degli Stati Membri, però anche per le condizioni di lavoro ci possono essere trattamenti diversi tra part-time e tempo pieno. Se sussistono ragioni obbiettive in quanto l’accesso a certe condizioni d’impiego particolari potrebbe essere subordinato ad una certa anzianità di servizio, alla durata della prestazione lavorativa o all’ammontare dell’attribuzione. Non ci possono essere discriminazioni dirette di sesso o di nazionalità per le quali non sono ammesse cause di giustificazione. La Corte ha basato la sua giurisprudenza sulle in discriminazioni indirette perché la maggior parte dei lavoratori part-time è donna e quindi c’è il divieto di discriminazione dirette e indiretta. La giurisprudenza della Corte di giustizia: ha contribuito a eliminare trattamenti meno favorevoli per le lavoratrici femminili. Esistono molte discriminazioni indirette e cerca di tutelare le lavoratrici assunte a tempo parziale e poi discriminate indirettamente. La Corte si è pronunciata su discriminazioni salariali o quando ai lavoratori part-time non venivano pagati per esteso i giorni di malattia. Caso “Kowalska” in base all’art.141 TCE la Corte si oppose all’applicazione di una clausola collettiva che circoscrive ai lavoratori a tempo pieno l’attribuzione di una forma di trattamento di fine rapporto nel caso in cui risulti che di fatto lavora a orario ridotto una certa percentuale di uomini più bassa rispetto a quella femminile e che il datore di lavoro non riesca a dimostrare che questa disposizione è giustificata da fattori obbiettivi totalmente estranei a una discriminazione basata sul sesso. Sentenza “Ninz” la Corte ha sostenuto che è discriminatorio indirettamente il contratto collettivo che stabilisce promozioni in base all’anzianità aziendale con criteri penalizzanti i lavoratori part-time perché la differenziazione è solo in base all’orario di lavoro. Sentenza “Deutsche Telekom” discriminazioni indirette sui lavoratori part-time che non potevano essere iscritti ad un regime professionale di pensione integrativa. Sentenza “Kruger” divieto di discriminazione retributiva perché è un principio fondamentale del diritto comunitario, e le norme nazionali non possono smentirla di sostanza come si è cercato di fare in Germania con i lavoratori minori con un lavoro di meno di 15ore a settimana. 3) Il lavoro temporaneo la direttiva in materia di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori temporanei, direttiva 91/383: adottata perché ha un carattere limitato e circoscritto a questioni rispetto alle quali è più difficile proporre opposizioni di principio anche da parte degli Stati Membri più restii nei confronti dei contenuti sociali dell’integrazione europea. Essa riguarda i lavoratori temporanei assunti con contratto a tempo determinato e il lavoratore interinale. È fatta per tutelare i lavoratori temporanei che sono quelli esposti a più infortuni sul lavoro. Determina le condizioni del lavoro precario: vieta che si faccia uso di lavoratori temporanei per quei lavori oggetto di una disciplina medica speciale. Nel caso in cui si opti per consentire il ricorso a lavoratori a termine o interinali ad essi dovrà essere assicurata una appropriata sorveglianza medica speciale con la facoltà che tale sorveglianza si protragga oltre il termine di scadenza del rapporto di lavoro. Bisogna formare ed informare i lavoratori temporanei dei rischi e fornirli una formazione adeguata. Per l’interinale la fornitrice deve dare informazioni sul lavoro, quali sono le caratteristiche del lavoro da occupare e quale qualifica è richiesta. Poi durante il lavoro è responsabile per la sicurezza, la salute e l’igiene l’impresa utilizzatrice. L’Ita non si è del tutto adeguata alla direttiva 91/383. 3.1) La direttiva 99/70 sul lavoro a tempo determinato: è simile come struttura alla 97/81. Si parla molto di intese fra parti sociali più che strategia europea per l’occupazione. Detta regole relative al solo lavoro a tempo determinato, quella interinale è escluso dall’ambito di applicazione. Definizione: il lavoratore a tempo determinato è una persona con contratto o rapporto di lavoro definiti direttamente fra lavoratore e datore. Obiettivi: 1) migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato attraverso il rispetto del principio di non discriminazione fra assunti a termine e lavoratori stabili; 2) creare coordinate giuridiche funzionali alla prevenzione degli abusi derivanti dalla reiterazione delle assunzioni con contratto a termine. Non si vuole diffondere il lavoro precario perché sostiene la direttiva che i contratti a tempo indeterminato sono la forma comune di rapporto di lavoro e tendono a migliorare il rendimento. Campo di applicazione: esclusione del rapporto interinale e esclusione dell’apprendistato perché il carattere temporaneo è legato alla componente formativa. Tutto il resto, tutte le assunzioni fatte dal datore a tempo determinato rientrano nello spazio applicativo della direttiva. Inoltre è da considerarsi lavoro a tempo determinato quel contratto di lavoro in cui il termine è determinato da condizioni oggettive quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico (clausola 3). L’utilizzazione dei contratti di lavoro a tempo determinato basata su ragioni oggettive è un modo di prevenire gli abusi. La direttiva ipotizza il ricorso a diverse misure atte a contenere gli abusi utilizzabili alternativamente o congiuntamente che sono: 1) previsione di ragioni obbiettive per consentire il rinnovo del contratto; 2) fissazione di una durata max totale dei contratti a tempo determinato successivi; 3) fissazione di un numero max di rinnovi di su detto contratto. Inoltre c’è l’obbligo di informazioni per i posti di lavoro a tempo indeterminato che si rendano disponibili nell’impresa e il datore deve darne annuncio pubblico in un luogo adeguato dell’impresa stessa. L’informazione è unidirezionale riguardando soltanto le possibilità di accesso ad un impiego stabile. Vige il principio della non discriminazione del lavoratore assunto a termine rispetto a quello a tempo indeterminato ossia non possono essere trattati in modo meno favorevole solo per il fatto che hanno un contratto a termine perché la parità riguarda tutte le condizioni di lavoro meno che i trattamenti previdenziali pubblici. La direttiva 99/70 prevede che i criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato che a tempo indeterminato. Non ci deve essere discriminazione indiretta e ci deve essere parità di trattamento tra lavoratore e lavoratrice. Però gli ordinamenti nazionali possono introdurre clausole favorevoli ai lavoratori e utilizzare in termini più ampi la clausola di non regresso. La direttiva riflette criteri presenti nella maggior parte dei Paesi dell’Europa a 15 e resta importante anche per i futuri ampliamenti ed evitare il dumping sociale. Corte di giustizia: ha diffidenza verso il lavoro precario. Sentenza “Adeneler” bisogna proteggere i lavoratori dall’instabilità dell’impiego, non può accadere che vengano rinnovati i contratti a tempo determinato per anni e anni a distanza di 20giorni uno dall’altro perché agendo così non si evita la precarizzazione. Sentenza “Vassallo” punire l’abuso di contratti a termine successivi non solo nel privato, ma anche nel pubblico con sanzioni diverse dalla trasformazione del contratto in uno a tempo indeterminato, però l’importante è che l’abuso venga interrotto. Una normativa nazionale che esclude in via sanzionatoria nella pubblica amministrazione il contratto a tempo indeterminato che però risarcisce chi è stato illegittimamente assunto e soltanto per fare in modo che si rispettino gli obblighi comunitari, perché spetta al giudice nazionale vietare e sanzionare le pubbliche amministrazioni che utilizzano contratti a tempo determinato in successione con un utilizzo abusivo. 4) Il telelavoro: Non c’è una vera e propria direttiva che lo disciplina però esiste una disciplina di carattere comunitario. Tutto è maturato con il dialogo sociale settoriale per raggiungere 2accordi che contenessero delle linee guida nel settore delle telecomunicazioni e del commercio. Sono molto importanti quelle del 2001 sulle telecomunicazioni: si definisce il telelavoratore che usando tecnologie dell’informazione e della comunicazione esegue il suo lavoro nella propria abitazione o ne effettua una parte nella propria abitazione e il resto nell’azienda. Il telelavoro deve introdursi su base volontaria e ci deve essere parità di trattamento tra telelavoratori e dipendenti standard. Questo è stato consolidato con l’accordo quadro del 2002 fra le organizzazioni degli imprenditori e la Confederazione europea dei Sindacati: il telelavoratore è come un normale lavoratore subordinato e l’attività lavorativa che potrebbe essere svolta nei locali dell’impresa viene svolta al di fuori della stessa e il telelavoratore fruisce dei medesimi diritti di un lavoratore comparabile, ci dev’essere parità di trattamento. 5) Modello europeo di regolazione del lavoro atipico: un modello sta prendendo forma. In primo luogo risalta una sorta di capovolgimento di ispirazione rispetto ai tentativi di regolazione dei primi anni ‘90 perché una volta si parlava di parità dei diritti per i lavoratori atipici sul piano previdenziale e non di retribuzione. Le direttive adottate in materia di part-time e di lavoro a termine contengono un ampia affermazione del principio di non discriminazione comprese quelle di carattere retributivo escludendo dalla propria sfera di operatività le questioni connesse al funzionamento dei regimi previdenziali pubblici. Le stesse considerazioni valgono per l’accordo sul telelavoro. Il secondo elemento rilevante riguarda la fonte della regolazione introdotta che è sostanzialmente negoziale e questo approccio elastico è stato dotato per mediare fra posizioni molto distinte e quindi in sede di trasposizione delle direttive il legislatore può tenere conto delle situazioni di ciascuno Stato Membro. E in terzo luogo il problema è che si tratta di “soft law” che è una normativa povera senza carattere precettivo e l’eccessivo margine di discrezionalità lasciato agli Stati Membri rischia di alimentare il dumping sociale. In quarta considerazioni la direttiva 97/81 e la 99/70 non danno alcun indicazione sulla forma del contratto di lavoro. Per il lavoro a tempo parziale la scelta delle forme di lavoro sono lasciate agli Stati Membri. Non prende una posizione nemmeno di fronte al “job on call” che è un lavoro atipico con una forte elasticità per rispondere all’esigenza organizzativa delle imprese. In quinta battuta la tutela interdisciplinatoria si sostiene che è più debole del rispetto alla previsione di specifici diritti nei confronti dei lavoratori atipici. In ultima considerazione il lavoro interinale o triangolare già affermato negli USA nel secondo dopoguerra è continuato ad essere vietato in alcuni Paesi della Comunità, e in Ita ad es. l’ammissibilità di tale lavoro è stata riconosciuta solamente nel 1997. C’è stata difficoltà ad introdurre una normativa comunitaria in materia perché nei diversi Paesi ci sono diverse tipologie. Spesso anche se si lavora per l’impresa utilizzatrice il contratto del lavoratore con l’agenzia è a tempo determinato, come accade in Fra mentre in Germania è a tempo indeterminato. Ci sono problemi anche per quanto riguarda il trattamento retributivo e non ci dovrebbe essere discriminazione. In teoria si ricorda questa forma di lavoro per il minor costo del lavoro e in Ita e Fra all’interinale non si deve corrispondere una cifra inferiore al dipendente dell’impresa utilizzatrice. Questo però non avviene in GB e in alcuni Paesi nordici. Un anno dopo il fallimento del negoziato del lavoro interinale è stato firmato l’accordo sul telelavoro anche se debole e che si esaurisce nella sfera dell’autonomia collettiva.