Garanzie dei diritti dei lavoratori
Per garanzia si intende il rafforzamento (sostanziale: es.: retribuzione; e giurisdizionale: es.: esecuzione di sentenze) della tutela di un interesse giuridicamente protetto. Accanto alle garanzie di tipo satisfattivo (funzione alimentare della retribuzione come da art. 36 Cost.) troviamo anche la tutela del contraente debole (il concetto di “debolezza” è basilare, perché vi si fa sempre riferimento: è la ratio di moltissimi articoli) e dell’effettiva godibilità della retribuzione stessa.
- Le garanzie del credito e dei diritti del lavoratore
- Garanzia del TFR e degli altri crediti nelle procedure concorsuali
- I vincoli alla destinazione del credito
- Tutela dei crediti nel trasferimento d’azienda
- Le rinunzie e le transazioni
- Inderogabilità delle norme di legge e dei contratti collettivi e limiti all’autonomia dispositiva del lavoratore
- Le quietanze a saldo e la rinuncia tacita
- La prescrizione dei diritti dei lavoratori
- La decadenza: le clausole dei contratti collettivi
- In materia di prescrizione: l’intervento della Corte costituzionale
- In materia di prescrizione: la giurisprudenza dal 1966
- La composizione stragiudiziale delle controversie di lavoro
- La conciliazione
- L’arbitrato
- La disciplina processuale delle controversie di lavoro
- La depenalizzazione delle sanzioni previste per la violazione di norme protettive del lavoro
Le garanzie del credito e dei diritti del lavoratore
Una prima garanzia è quella dei normali diritti di credito, che rafforza la comune responsabilità patrimoniale (art. 2740). Più specificamente la legge attribuisce al prestatore la speciale tutela del privilegio: essa è la più antica garanzia della retribuzione che si rifà al principio del sostentamento dell’art. 36 Cost. Ha valenza generale anche la prelazione del prestatore sui beni del datore (art. 2751), per mancate indennità, contributi previdenziali e assicurativi etc., nell’ordine:
- Crediti per TFR e indennità di mancato preavviso
- Crediti di lavoro
- Crediti dello Stato
- Crediti chirografari
L’azione diretta di rivalsa (art. 1676) prevede che il prestatore possa rivalersi anche sul committente e l’appaltatore.
Garanzia del TFR e degli altri crediti nelle procedure concorsuali
I privilegi si applicano anche in caso di fallimento. I crediti maturati durante l’esercizio provvisorio, in quanto “crediti della massa”, sono al primo posto tra i diritti sulla liquidazione dell’attivo patrimoniale. Poiché spesso in caso di fallimento l’attivo è inconsistente, e stante la funzione alimentare della retribuzione, la CE ha emanato la direttiva n° 987 del 1980, attuata in due tempi (l’Italia era stata, infatti, condannata per mancata attuazione):
- Legge 297 del 1982: istituzione, presso l’INPS, di un fondo, a carico delle imprese, per la garanzia del TFR nei casi di disoccupazione, di insolvenza e di inadempienza del pagamento del TFR.
- 2° intervento: la garanzia di tutti i crediti diversi dal TFR è stata addossata allo stesso fondo di cui sopra dal D.Lgs. 809 del ’92, ma copre solo i crediti degli ultimi 3 mesi di rapporto ed entro un certo massimale.
Il lavoratore può rifarsi al fondo nei casi di fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta e amministrazione straordinaria. Negli altri casi potrà usufruirne solo dopo che sia apparsa chiara l’insufficienza del patrimonio aziendale. La direttiva n° 74 del 2002, infine, modifica la n° 80, ma deve ancora essere attuata.
I vincoli alla destinazione del credito
La legge stabilisce l’assoluta indisponibilità degli assegni familiari, mentre i crediti per stipendio, salario, anzianità e indennità sono pignorabili. Secondo l’art. 2117 i fondi speciali di previdenza, costituiti a livello aziendale e accantonati dall’imprenditore a beneficio dei dipendenti, sono vincolati.
Tutela dei crediti nel trasferimento d’azienda
In generale, l’art. 2112 regola il mantenimento dei diritti dei lavoratori nel caso di trasferimenti d’azienda. Si è poi evoluta la disciplina comunitaria in materia:
- Direttiva n° 187 del 1977
- Direttiva n° 50 del 1998: ha modificato molto la 187 adeguandosi alle sentenze della Corte di Giustizia
- Direttiva n° 23 del 2001: modifica le precedenti e codifica la disciplina.
L’art. 2112 originariamente trascurava la conservazione dell’occupazione e la consultazione sindacale. Si è, quindi, proceduto all’adeguamento mediante l’art. 47 della legge del ’90 n° 428, riscrivendo i primi tre commi del 2112. Per eliminare gli ultimi contrasti con la direttiva il Governo ha emanato il D.Lgs. n° 18 del 2001, che ha modificato l’intero art. 2112 c.c. ed i primi 4 commi del 47.
Le rinunzie e le transazioni
Rinunzia: atto tendente alla dismissione di un diritto soggettivo da parte del titolare. Transazione: contratto mediante il quale le parti, facendosi reciproche concessioni, rimuovono o prevengono una lite. Nell’art. 2113 c.c. esse si trovano insieme perché:
- la seconda può mascherare la prima;
- si ha una situazione di incertezza soggettiva (solitamente causa della lite);
- il prestatore è soggetto debole;
- il titolare del diritto è soggetto ad inerzia.
In pratica nello scambio reciproco di concessioni si può verificare una transazione assai più favorevole per il datore. L’art. 2113 stabilisce l’invalidità delle rinunzie e transazioni (aventi ad oggetto diritti derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti collettivi) del lavoratore (sia gli autonomi sia per i subordinati o associati), in quanto tendenti ad eludere i limiti imposti all’autonomia negoziale. L’invalidità deve farsi valere mediante impugnazione, anche per atto scritto extragiudiziale, entro 6 mesi dalla data della rinunzia o transazione. L’annullabilità deve essere dichiarata dal giudice con sentenza di accertamento costitutivo.
Inderogabilità delle norme di legge e dei contratti collettivi e limiti all’autonomia dispositiva del lavoratore
Il 2113 fondamentalmente riprende il principio dell’inderogabilità dei contratti collettivi. Non potendo rinunciare a propri diritti, il lavoratore vede rafforzato un suo interesse, rappresentato da un minimo inderogabile di trattamento. (Le disposizioni degli artt. 1418-1419-2113 non hanno fondamento, tuttavia, nell’incapacità di agire del prestatore.) Sono valide transazioni e rinunce in sede di conciliazione delle controversie individuali. Le transazioni collettive, concluse dal sindacato per più lavoratori in assenza di un mandato, necessitano dell’adesione individuale.
Le quietanze a saldo e la rinuncia tacita
Quietanze a saldo o quietanze liberatorie: dichiarazione di non aver ricevuto nulla e di aver rinunciato a pretese future. L’art. 2730 nega ogni rilevanza di tali atti, circoscrivendone l’efficacia al solo caso di “avvenuto pagamento”. Rinunzia tacita: possibilità di ravvisare nel comportamento del lavoratore una manifestazione indiretta della volontà di rinunciare ad un proprio diritto. Sono vietate anch’esse dall’art. 2113. Concludendo, si ravvisa nel 2113 la norma cardine della disciplina delle controversie stragiudiziali di lavoro.
La prescrizione dei diritti dei lavoratori
Ai diritti dei lavoratori si applica la prescrizione quinquennale (art. 2948 c.c.), che racchiude tutti i pagamenti periodici. La normale prescrizione decennale (2946) è valida solo per diritti diversi dalla retribuzione, quali: eventuali penali, retribuzioni non periodiche, diritti di qualifica, contributi assicurativi e previdenziali. Ricordiamo dal diritto privato che la prescrizione estintiva non può riguardare diritti indisponibili. La prescrizione presuntiva per la confessione giudiziale (2955) e il risarcimento decisorio (2956) è di un anno per i diritti sulle retribuzioni di periodi inferiori ad un mese e di 3 anni per quelli superiori. Il regime della prescrizione è inderogabile ed irrinunciabile (2936-7-8): da ciò si desume che il tempo previsto per legge sia condizione necessaria e sufficiente perché il debitore acquisisca il diritto del creditore.
La decadenza: le clausole dei contratti collettivi
L’art. 2964 sostiene che l’esercizio di un diritto è sottoposto ad un termine perentorio: diversamente dalla prescrizione, non si ha la perdita del diritto, ma l’impossibilità di esercitarlo, sia per diritti potestativi sia facoltativi. Di qui la funzione di certezza soggettiva propria della decadenza. La decadenza può essere legale o contrattuale. L’art. 2946 ha superato il giudizio di legittimità costituzionale (dopo il 1966) della Corte Cost.
In materia di prescrizione: l’intervento della Corte costituzionale
Secondo alcune opinioni l’art. 2113 prevede anche l’indisponibilità e l’imprescrittibilità dei diritti del lavoratore. La Corte Cost. ha esplicitato tale principio anche in materia di prescrizione e decadenza, dichiarando incostituzionali gli artt. 2948, 2955 e 2956 dove consentano la prescrizione del diritto alla retribuzione durante il rapporto di lavoro: la Corte ha differito il termine della prescrizione e della decadenza alla fine del rapporto di lavoro (sentenza manipolativa).
In materia di prescrizione: la giurisprudenza dal 1966
I giudici di merito, tuttavia, si sono distaccati, a volte, dall’orientamento di cui sopra, rimandando nuovamente la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2948 alla Corte Cost., per la parte in cui consente la decorrenza del temine di prescrizione nei rapporti di lavoro stabili. La Corte si è sempre pronunciata, comunque, con sentenze di rigetto, pertanto la disciplina impeditiva del decorso delle prescrizioni durante il rapporto si ritiene oggi applicabile. L’introduzione dell’art. 18 dello Statuto, infine, chiarifica la decorrenza della prescrizione nei rapporti di lavoro stabili: prevede la reintegrazione come rimedio al licenziamento ingiustificato.
La composizione stragiudiziale delle controversie di lavoro
La conciliazione
La composizione delle controversie individuali di lavoro è prevista in forma giudiziale, ma anche stragiudiziale. La conciliazione e l’arbitrato cono collegati a rinunzie e transazioni: sono finalizzate all’auto-composizione della lite. La conciliazione giudiziale avviene su iniziativa del giudice, quella stragiudiziale in sede sindacale (contratti collettivi) o amministrativa (di fronte ad apposite commissioni presso le Direzioni provinciali del Lavoro).
Fino ad epoca recente la legge non prevedeva l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione: l’art. 5 della legge 108 del 1990 regola, per la prima volta, limitatamente alla tutela obbligatoria, il tentativo di conciliazione. Lo spostamento di competenza dal giudice amministrativo a quello ordinario, tuttavia, creò un sovraccarico dei contenziosi di fronte a quest’ultimo, quindi nel ’98 è stato introdotto l’obbligo, per tutte le controversie di lavoro, di un tentativo di conciliazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale: “ovvero, prima di andare dal giudice cerca di metterti d’accordo!”.
L’arbitrato
Esso è un istituto per mezzo del quale le parti pervengono alla composizione di una controversia attraverso il deferimento ad un terzo del potere decisionale. Trova la sua fonte:
- nel compromesso, se la controversia è già insorta (art. 806 c.p.c.)
- nella clausola compromissoria, inserita nei contratti, con cui le parti si impegnano al deferimento (808 c.p.c.). La clausola compromissoria è nulla qualora autorizzi la pronuncia degli arbitri secondo equità, ovvero escluda l’impugnabilità del lodo.
Distinguiamo tra:
- arbitrato rituale: si svolge come un vero e proprio giudizio e conduce alla formazione di un atto che acquista autorità di sentenza mediante un decreto di omologazione del giudice (impugnabile in Appello). Per le controversie di lavoro, il ricorso ad arbitri deve essere consentito da contratti collettivi: è inderogabilmente facoltativo e non alternativo alla giurisdizione: si deve comunque permettere di adire al giudice.
- arbitrato irrituale (c.d. libero): viene deferito al terzo l’accertamento convenzionale delle situazioni soggettive litigiose. L’atto ha natura negoziale ed effetti contrattuali. È di regola nelle controversie di lavoro.
In entrambi i casi l’atto formato si chiama lodo. A 30 giorni dal lodo esso è depositato presso la cancelleria del giudice. La riforma del ’98 modifica l’art. 412 c.p.c. ter e quater, che stabilisce che, esperito il tentativo di conciliazione e qualora gli accordi contrattuali lo prevedano, le parti possano rivolgersi agli arbitri affinché decidano in via negoziale. In materia di licenziamenti individuali, invece, è possibile anche l’arbitrato irrituale legalmente nominato, cioè consentito anche qualora non previsto da contratti ed accordi collettivi.
La disciplina processuale delle controversie di lavoro
Per tutelare i diritti del “debole” lavoratore, il legislatore ha cercato di rafforzarne la tutela giurisdizionale con speciali disposizioni sulle discipline processuali delle controversie individuali di lavoro: è la tutela differenziata per i prestatori. Essa è stata estesa sia per gli associati nei contratti agricoli (nuovo art. 409 c.p.c.), sia agli autonomi ed ai co.co.co. (per scoraggiare fenomeni elusivi). Il primo grado si svolge presso il giudice del lavoro, con principi processuali di “immediatezza, concentrazione e oralità”: i termini sono abbreviati per costringere le parti ad assumere difese precise e ad indicare i mezzi di prova sin dall’inizio. È, infine, prevista una sola udienza.
Riguardo alle garanzie attinenti al “petitum”, cioè l’oggetto della domanda, vi sono 3 garanzie fondamentali:
- La valutazione equitativa del giudice dell’ammontare della prestazione (432 c.p.c.);
- La necessità della clausola provvisoria di esecuzione per le sentenze di condanna per crediti da lavoro: 423,431;
- Il risarcimento del maggiore danno dovuto all’inflazione ed al ritardo nel pagamento (salario reale; 429 c.p.c.).
La depenalizzazione delle sanzioni previste per la violazione di norme protettive del lavoro
Vista la scarsa efficacia delle sanzioni penali ed il loro macchinoso procedimento, nel 1993 si è conferito al governo la delega per trasformare in illeciti amministrativi alcuni illeciti penali non particolarmente gravi. La sanzione penale è rimasta per i comportamenti pericolosi per la salute del lavoratore, per l’integrità psico-fisica ed il lavoro minorile.