I sindacati
Cosa ci resta da vedere, riguardo ai sindacati? 1. l’inderogabilità 2. i rapporti tra i diversi livelli dei contratti collettivi.
Il codice civile, all’art. 2077, garantisce l’inderogabilità dei contratti collettivi ad opera dei contratti individuali, la quale caratteristica (e la ratio) intrinseca è proprio quella di essere inderogabili. Per molti anni non vi è stata un’opinione comune sull’applicabilità dell’art. 2077.
Questo pone un problema di giustificazione: come può un contratto collettivo prevalere su contratti di diritto privato? Diciamo subito che, nonostante l’apparente contrasto tra il 2077 ed il regime privatistico attuale, la giurisprudenza (quasi tutti i giudici) ne ha per molti anni affermato l’applicabilità, facendo leva sulle sue finalità. La dottrina (anni ’60-’70), invece, su questo punto è sempre stata fortemente critica, considerando l’art. 39 Cost. Si sono trovate nuove giustificazioni dopo il 1973: in quell’anno è stata approvata una legge che ha modificato in alcuni punti la disciplina processuale lavoristica, ovverosia è stato introdotto uno speciale procedimento del lavoro che si applica a tutte le cause lavoristiche. In quell’occasione è stata riscritta una disposizione del codice civile: l’art. 2113, che contiene la disciplina delle “rinunce e transazioni dei lavoratori”. Citiamolo: “Le rinunzie e le transazioni che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all’art. 409, non sono valide.
L’impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro 6 mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia o della transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione medesima. Le rinunzie e le transazioni di cui ai commi precedenti possono essere impugnate con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, del lavoratore idoneo a renderne nota la volontà. Le disposizioni del presente articolo non si applicano alla conciliazione intervenuta ai sensi degli artt. 185, 410 411.” Per rinunciare ad un diritto a favore di un altro, bisogna individuarne le fonti. Le disposizioni di legge o di contratto collettivo sono accomunate dal fatto di poter essere fonti di diritti inderogabili. Il contratto collettivo può contenere diritti inderogabili: dipende da come è stipulato.
Anche la dottrina un tempo più restia ad ammetterne l’inderogabilità, è arrivata a pronunciarsi in modo quasi unanime, asserendo che tali contratti possono prevalere sui contratti individuali (cioè essere inderogabili = indisponibili in quanto irrinunciabili). Una parte della giurisprudenza ha continuato ad applicare il 2077; un’altra parte, più attenta alle giustificazioni ed alla dottrina, ha, invece, ancorato l’inderogabilità al 2113. Mediante l’applicazione del 2077 o del 2113 il risultato a cui si perviene, tuttavia, è fondamentalmente identico. Questo implica una riduzione dell’autonomia individuale, che, sebbene sia discutibile, è ormai pacificamente accolta. Un contratto è inderogabile quando è applicabile! (ovvero: se è fonte di diritti inderogabili è inderogabile).
La legge di per sé è sempre inderogabile, salvo che ne consenta essa stessa una deroga. Il collegamento tra inderogabilità ed efficacia è data dal fatto che resta sempre un contratto collettivo di diritto comune. Il 2113 afferma l’invalidità delle rinunce. Di quali rinunce si tratta? Quali atti sono invalidi? Ci sono diritti che derivano da fonti inderogabili, ma che possono essere derogati a talune condizioni. Non si può rinunciare alla retribuzione/sicurezza/ferie etc., ma si potrebbe giungere ad una transazione sui diritti secondari. (esempio: posso rinunciare agli arretrati ma non alla retribuzione futura, oppure potrei rinunciare a delle ferie accumulate in anni precedenti).
Affermata l’invalidità di una certa rinuncia, il legislatore si preoccupa tuttavia di individuare dei modi attraverso i quali le parti possano raggiungere un accordo definitivo ed inoppugnabile (“prima della decadenza, entro sei mesi”). Le sedi dove si può operare una conciliazione (rinunce o transazioni che, una volta stipulate, sono inoppugnabili) sono: 1. sede giudiziaria (giudice del lavoro) 2. sede sindacale (regolata dagli stessi contratti collettivi) 3. presso la direzione provinciale del lavoro (organismi territoriali del ministero del lavoro) Veniamo ora a quella che è la struttura della contrattazione collettiva ed i suoi livelli. Il livello principale è quello di categoria.
Nel tempo alla contrattazione di categoria si è affiancata quella aziendale. Cosa caratterizza il contratto collettivo aziendale e quali sono i suoi soggetti? Esso, innanzitutto, nasce negli anni ’60 e si sviluppa 10 anni dopo, sebbene esistesse ben da prima, ma con oggetti molto limitati, quali gli orari di lavoro. Da una parte del contratto abbiamo l’imprenditore o gruppi di imprese, dall’altra le RAS e/o le commissioni interne. Sul primo versante, se è il datore stesso a stipulare il contratto, egli si obbliga ad applicarlo. Anche nello Statuto dei Lavoratori troviamo dei riferimenti alle commissioni interne, tutelate insieme alle RAS. Lo Statuto non assegna alle RAS alcun potere di contrattazione.
La contrattazione collettiva aziendale origina dei problemi nei rapporti che si creano tra il contratto nazionale e quello aziendale. In forza di quali criteri bisogna adottare un contratto o un altro? L’assestamento definitivo si è avuto, ancora una volta, attraverso un intervento delle parti sociali all’interno dei contratti stessi. (contratto quasi come fonte). Considerato che l’imprenditore deve applicare lo stesso contratto a tutti (principio di non discriminazione), il problema dell’efficacia soggettiva si pone oppure no? Negli anni ’70-’80 tali contratti erano tipicamente migliorativi, quindi non ponevano questioni. Evidentemente la situazione cambiò, non tecnicamente ma di fatto, quando cominciarono ad essere peggiorativi rispetto ai contratti nazionali, per colpa della recessione.
Questo contratto peggiorativo si applica a tutti? Questo quesito ha suscitato differenti opinioni, soprattutto quando non firmato da tutti i lavoratori di un’azienda. Ipotesi: Ras 1 (CGIL), Ras 2 (CISL), Ras 3 (UIL). La CGIL non firma. Se sono rappresentato dalla CGIL, posso evitare di applicare il contratto peggiorativo per me? …e il principio di non discriminazione…? Negli anni ’90, sebbene non vi fosse stata una sentenza conclusiva al riguardo, vi sono state alcune sentenze della Cassazione poi imitate nei tempi a venire. La Corte di Cassazione affermò che “il contratto collettivo aziendale vincola tutti i lavoratori stante la sua attitudine a incidere su indivisibili e collettivi interessi dei lavoratori”. La Corte recupera, dunque, teorie che accompagnarono la nascita del contratto aziendale come contratto collettivo: esso si deve applicare a tutti, perché il contratto, per sua natura, tende a conformarsi sui diritti della collettività. In questa maniera il contratto aziendale appare abbastanza blindato ed inderogabile.
Esempio realmente accaduto: si vieta l’installazione di telecamere per il controllo. Come faccio ad oscurare le telecamere soltanto per alcuni impiegati? Qui si dà, nei fatti, ragione alla Cassazione. L’unanimità non è espressa per legge: non esiste un numero massimo di RAS, e nemmeno un principio di maggioranza. E poi come misuro la maggioranza? Per numero di iscritti o per numero di RAS? E’ indeterminabile ad oggi. La Corte afferma la generale efficacia nell’ambito della stessa organizzazione d’impresa, anche per non dare luogo ad una violazione dell’art. 3 Cost.
La Corte aggiunse tuttavia: “rimane in disparte il caso in cui contenga soltanto disposizioni peggiorative rispetto al contratto precedente o rispetto al contratto nazionale, ossia disposizioni peggiorative che non trovino compensazione in altri vantaggi”. Queste disposizioni non sono estendibili ai non firmatari. (≠ libertà d’associazione). Ma come si fa a considerare se è soltanto peggiorativo? Come confronto i vari contratti collettivi, magari molto eterogenei? Si analizza il contratto in totum oppure ogni singola questione? In passato ci sono stati tentativi di ibridare i contratti collettivi: i lavoratori si erano rivolti al giudice per poter scegliere le clausole per personale convenienza.
La Corte si oppose, sia per irrazionalità del “contratto fai da te”, sia per ragioni giuridiche, secondo il principio dell’inscindibilità del contratto collettivo: esso esprime la volontà delle parti, solo se riferita al complesso. Nel momento in cui ne considero soltanto una porzione violo, appunto, la volontà stessa delle parti. Per chiudere definitivamente questa disputa, le parti sociali hanno introdotto la cosiddetta clausola di inscindibilità: si afferma espressamente, all’interno del contratto, che esso debba essere applicato nella sua interezza. Torniamo al caso dei contratti totalmente peggiorativi: estenderli ad un lavoratore iscritto ad un sindacato non firmatario, sarebbe in conflitto con i principi di libertà di associazione. Cancellerebbe, inoltre, un sistema tutt’ora fondato su sistemi privatistici, e che non attribuisce, almeno formalmente, alcun potere formativo ai sindacati.
E’ una tipica soluzione di compromesso che lascia la porta aperta, di volta in volta, al giudizio di merito su ogni singolo caso. Il legislatore delega alla contrattazione collettiva una determinata materia. In quei casi il contratto collettivo, da chiunque stipulato, avrà efficacia erga omnes, tipica della fonte che ha delegato. Il problema è che il legislatore affida poteri senza espressamente individuare i soggetti stipulanti. Esempio: licenziamenti collettivi per riduzione del personale. La legge affida alla contrattazione collettiva l’individuazione di chi licenziare. Ma quale tipo di contrattazione collettiva? La Corte ha risposto che si può applicare a tutti, perché si tratta di contratti di tipo gestionale, che rappresentano qualcosa di diverso da quelli regolati dal 39 Cost., perché hanno interessi collettivi e indivisibili.
La Corte ha aggiunto che sono contratti gestionali quelli con finalità particolare, ossia contratti che incidono su un potere che diversamente potrebbe essere esercitato liberamente dal datore di lavoro. La questione ha perso drammaticità dopo l’introduzione delle regole nel Luglio ’93, quando venne stipulato un protocollo “sulla politica dei redditi, la lotta all’inflazione ed il lavoro”. Il protocollo è un accordo tra le parti sociali ed il Governo, quindi non è un contratto collettivo. Al suo interno troviamo parti interessanti, quali il paragrafo dedicato agli assetti contrattuali, dove vengono designati, per la prima volta in modo formale, tutte le regole che evitano vuoti e dubbi interpretativi (i sistemi, i livelli, i contenuti ed i rapporti tra i livelli, i limiti dei livelli, le modalità di stipulazione, la durata, il rinnovo).
Troviamo anche un’altra questione: l’individuazione delle rappresentanze sindacali unitarie (RSU), che sostituiscono, a certe condizioni, le RAS. Si arriva ad individuare questo nuovo soggetto sindacale, perché il vecchio testo era ormai superato e perché, soprattutto, tale disciplina si inserisce pienamente nel nuovo quadro degli assetti contrattuali. L’esigenza era quella di individuare un soggetto che stipulasse dei contratti collettivi aziendali correlati al contratto collettivo nazionale, ovvero devono esserci dei collegamenti (detti rinvii) tra chi stipula contratti a livello nazionale e aziendale. Anticipiamo che l’RSU è un soggetto regolato da fonti non di legge.
Traggono legittimazione dal protocollo, che è un accordo interconfederale, quindi applicabile soltanto ai firmatari dell’accordo stesso. Abbiamo un soggetto che non ha stessa fonte (quindi forza) delle RAS, quindi vi si può sostituire soltanto in alcuni casi specifici. L’RSU è eletta. E’ sia un soggetto sindacale sia una forma di rappresentanza, quindi rappresenta sia i lavoratori sia i sindacati (è pluralista). Lezione sesta Completiamo l’esame del protocollo.
La costituzione dell’RSU avviene per scrutinio segreto: – 2/3 fra liste, a suffragio universale – 1/3 è riservato per talune associazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo nazionale applicato nell’azienda. Spesso queste associazioni hanno rinunciato al loro terzo a favore dei lavoratori, quindi giungendo ad un 3/3 a suffragio universale.
E’ una riserva particolare: la sua ragione si spiega guardando alle sue competenze, cioè al fatto che l’RSU abbia un potere decentrato di contrattazione. I soggetti che possono presentare le liste sono: 1. Le associazioni che facciano capo alle confederazioni firmatarie dell’accordo e del contratto collettivo nazionale applicato. 2. Altre associazioni che: – accettino l’accordo – abbiano un proprio statuto (cioè siano formalmente costituite) – abbiano una rappresentatività minima (raccolta di firme per almeno 5% di tutti i lavoratori) Questo meccanismo garantisce il pluralismo interno ed è una delle ragioni che non ha consentito di trasformare in legge questo accordo (vincolo della seconda parte del 39 Cost.), sebbene questo non significhi che sia incostituzionale. L’art. 5 del protocollo prevede che le RSU subentrino alle RAS: i diritti garantiti per legge alle RAS si trasferiscono per normale contratto all’RSU. L’art. 8 afferma che le associazioni sindacali, dotate delle caratteristiche dell’art. 19 dello Statuto, che accettino l’accordo, rinunciano (non è un divieto, ma una rinuncia, perché il divieto sarebbe stato anticostituzionale) formalmente ed espressamente a costituire RAS. Coloro i quali non sono firmatari dell’accordo e/o non sono soci della RSU possono, tuttavia, costituire RAS alternative all’interno della stessa impresa. La disciplina dell’RSU va inquadrata nel contesto del nuovo aspetto contrattuale disegnato dal protocollo, dove gli è previsto un contratto collettivo espressamente stabilito e regolato su due livelli di contrattazione: 1. CCNL 2. a. o un contratto collettivo aziendale b. o un contratto territoriale (là dove le aziende siano di ridotte dimensioni) La durata di questi contratti è quadriennale (già peraltro diffusa in passato), alla quale si affianca una durata biennale per la parte economica. L’idea (della durata biennale) è stata introdotta in seguito ad alcune vicende passate che portarono alla cancellazione dell’incremento salariale correlato (indennità di contingenza o scala mobile), che faceva in maniera di non perdere potere d’acquisto a causa dell’inflazione (soprattutto negli anni ’70; questo meccanismo fu accusato di creare a sua volta inflazione). Questi cicli omogenei evitano anche le diverse scadenze tra i vari contratti. Visti gli obiettivi anche politici del protocollo (tra cui quello della “politica dei redditi”, ovvero l’impegno per contenere i fenomeni inflativi), le parti si sono impegnate (con successo) ad utilizzare come riferimento i tassi di inflazione programmata (TIP). Si guarderà, fra l’altro, alla comparazione tra l’inflazione programmata e quella effettiva (TIP ≠ TIE) intervenuta nel precedente biennio, anche secondo le ragioni di scambio (tasso di cambio) del paese (oggi con l’Euro non ha più senso). Le parti sono impegnate a presentare il rinnovo in tempo utile: con anticipo rispetto alla scadenza, allo scopo di auspicare ad un rinnovo prima della scadenza stessa. Nella pratica non si è mai giunti ad un accordo così tempestivo. Allora come interviene il protocollo per garantire una copertura all’inflazione? Come già accennato, ormai in tutti i contratti esistono clausole interne di ultrattività, ciò non toglie che nel frattempo si perda potere d’acquisto. Per questo motivo è stato introdotto un meccanismo per il recupero della perdita del potere d’acquisto: è un cosiddetto “elemento provvisorio” (cito protocollo) della retribuzione (aumento), che si applica dopo che il contratto è scaduto da un certo periodo (detto vacanza contrattuale; è di 3 mesi). Esso è pari al 30% del TIP, applicato ai salari già esistenti. Dopo sei mesi senza aver raggiunto il rinnovo, la percentuale diventa del 50%. Cessa con il rinnovo del contratto. Per concludere, dobbiamo ancora analizzare i rapporti e le competenze tra i livelli di contrattazione. L’idea è quella di individuare degli ambiti nei quali la contrattazione aziendale possa intervenire. Il contratto aziendale è gerarchicamente subordinato al nazionale: potrà intervenire soltanto con le procedure e nei casi previsti dal nazionale. Per quanto riguarda la parte economica, la contrattazione aziendale deve riguardare materie diverse e non ripetitive del nazionale; per quanto riguarda le erogazioni economiche, devono essere strettamente correlate a programmi che abbiano obiettivi di competitività e redditività, secondo l’andamento aziendale (quindi sono molti differenti da periodo a periodo e da azienda ad azienda).