Il contratto collettivo
La legge del ’26 è stata incorporata nel codice civile del ‘42.
Sino agli anni ’20 i sindacati erano liberi ed autonomi, ed agivano privi di cornice legale. L’obiettivo era quello di selezionare un soggetto sindacale. In parallelo con l’affermarsi del fascismo, inizia a nascere anche il sindacato fascista (o confederazione sindacale fascista). Esso comincia a presentarsi alla controparte (confindustria) come interlocutore. Subito si afferma secondo un modello apparentemente tradizionale (mediante contratti), poi, tra il ’24 ed il ’25, vengono stipulati accordi che disciplinano i rapporti sindacali. Dopo essersi riconosciuti reciprocamente (la confindustria riconosce la confederazione fascista come unica interlocutrice), di fatto il sindacato fascista subentra agli altri.
A quel tempo, i sindacati potevano essere legalmente riconosciuti solo quando avessero determinati requisiti, che, in sostanza, corrispondevano soltanto alle caratteristiche del sindacato fascista (ad esempio, i dirigenti dovevano essere di “sicura fede nazionale” e rappresentare almeno un decimo per categoria). In Italia è stata sempre mantenuta la separazione tra la rappresentanza dei datori e dei lavoratori (in Germania, es, no).
Nel momento in cui il sindacato fascista ottenne riconoscimento giuridico acquisì anche personalità giuridica di diritto pubblico, ed altresì ottenne la rappresentanza di qualsiasi categoria produttiva del paese, che fosse, o meno, iscritta nell’ambito della circoscrizione in cui operava. Per ogni categoria poteva essere riconosciuto un solo soggetto sindacale (la confederazione). Si tratta, quindi, di un sindacato pesantemente regolato dallo Stato, che ne è parte, con, addirittura, il potere di imporre tributi ai lavoratori, del tutto equiparati ai tributi statali (non come i versamenti liberi odierni per sostenere un sindacato).
La conseguenza fu che soltanto questi soggetti potevano stipulare contratti collettivi, necessariamente per tutte le categorie esistenti, quindi con efficacia erga omnes (dove per “omnes” si intendevano tutti coloro i quali appartenevano alla categoria). Si pensava, addirittura, di creare contratti collettivi per gli artisti, persino oggi poco immaginabili. La negazione della lotta di classe (anti-marxista) passava anche attraverso quest’unicità di rappresentanza, inoltre era funzionale ad un altro obiettivo: l’inderogabilità.
Codice Civile (Libro V):
Si trovano alcune disposizioni che disciplinano i contratti collettivi ed i soggetti collettivi; è evidente che tali disposizioni traggono le loro radici nella legge sindacale del ’26 (e dalla sua successiva legge di attuazione). Si trova una sistemazione organica, frutto del legislatore di quei decenni. La sua convivenza crollò con il crollo del regime.
Ci soffermiamo su alcuni punti (riportando quanto scritto sul codice civile): art. 2067: “Soggetti: i contratti di lavoro sono stipulati dalle associazioni professionali” (descrizione ampia); art. 2068: nella rubrica si riportano i: “Rapporti di lavoro sottratti al contratto collettivo: alcuni rapporti non possono essere regolati con atti della pubblica autorità in conformità della legge” (significa che la P.A. aveva una disciplina separata). “Sono altresì sottratte prestazioni di carattere personale e domestico”.
Le disposizioni centrali, in realtà, sono: 2069, 2070, 2074, 2077. Prima di arrivarci citiamo il 2071: “Contenuto: il contratto collettivo deve contenere le disposizioni occorrenti, per dare esecuzione alle norme di questo codice concernenti la disciplina del lavoro, i diritti e gli obblighi degli imprenditori e dei prestatori di lavoro.” (per la prima volta viene regolato il lavoro subordinato). Il 2071 specifica anche che la determinazione della sua durata è un elemento essenziale del contratto (rilevante anche in quanto collegato all’articolo 2074). Precedentemente, sotto il regime fascista se un contratto scadeva, alla scadenza era previsto anche un meccanismo di denuncia del contratto collettivo, in seguito al quale si avviava una piattaforma di protesta, sino a raggiungere un accordo. In caso esso non fosse stato raggiunto avrebbe potuto intervenire la magistratura del lavoro (non accadde mai).
Passiamo all’art. 2074: “Efficacia dopo la scadenza: il contratto collettivo continua a produrre i suoi effetti dopo la scadenza, fino a che sia intervenuto un nuovo regolamento collettivo”: si tratta dell’ultrattività dei contratti collettivi, che evita un vuoto normativo. Questa caratteristica ha di fatto influenzato i rinnovi contrattuali in senso negativo: i datori non erano indotti al rinnovo, perché esso avrebbe comportato una nuova contrattazione verso l’alto dei salari (vista l’inflazione del periodo).
Questo articolo, infatti, oggi, non è più attuabile. Torniamo ai due punti essenziali: efficacia erga omnes (art.2069) ed inderogabilità (2066). Art. 2069: “il contratto collettivo deve contenere l’indicazione della categoria di imprenditori e prestatori, ovvero dell’impresa o delle imprese a cui si riferisce e dei territori dove ha efficacia; in mancanza di tali indicazioni il contratto collettivo è obbligatorio per tutti gli imprenditori e prestatori rappresentati dalle associazioni stipulanti.” Ciò significa che, già da questo 2° comma, si deduce un’efficacia erga omnes, nel senso che è obbligatorio per tutti. Art. 2070: “Criteri di applicazione: l’appartenenza ad una categoria si determina secondo la attività effettivamente esercitata dall’imprenditore; se l’imprenditore esercita distinte attività, aventi carattere autonomo, si applicano le norme corrispondenti alle singole attività.
Quando il datore di lavoro esercita non professionalmente un’attività organizzata, si applica il relativo contratto collettivo”. Ad oggi, l’individuazione del campo d’applicazione di un contratto collettivo è tipicamente oggetto dello stesso contratto collettivo. Vedi anche art. 39 Cost. La caratteristica tipica del contratto collettivo del diritto corporativo (oltre all’erga omnes) è l’inderogabilità del contratto collettivo ad opera del contratto individuale. Cito art. 2077: “Efficacia del contratto collettivo sull’individuale: “i contratti individuali di lavoro devono uniformarsi alle disposizioni del contratto collettivo”. L’autonomia individuale (contrapposta alla collettiva), subisce, quindi, una limitazione.
Questa è già una prima espressione della prevalenza del contratto collettivo, quindi il datore di lavoro non può introdurre disposizioni difformi. Ma se questo avviene, cosa accade? Troviamo già una soluzione, pochi mesi dopo la legge del ’26 (con la legge di attuazione che impone condizioni minime). 2° Comma: “le clausole difformi dei c.i., preesistenti o successive, sono sostituite di diritto dal contratto collettivo, salvo che contengano speciali condizioni più favorevoli ai prestatori di lavoro”. Questo lascia aperto un varco per la specifica disciplina “ad personam”.
Nel ‘42, cosa avviene, con la caduta del regime, nella disciplina lavoristica? Il Decreto legislativo luogotenenziale del ’44 n° 369 sopprime tutte le corporazioni e le confederazioni preesistenti, mantenendo in vita temporaneamente i contratti collettivi, per evitare un vuoto normativo. In parallelo, negli stessi anni, per quanto riguarda i sindacati, riemergono quelli precedenti, ossia quelli liberi. Quel che c’interessa è che le diverse forze sindacali, con diverse ideologie politiche, agirono in modo tuttavia solidale, soprattutto su una base unitaria, mediante la creazione di un nuovo unico sindacato (pluralista al suo interno): la cosiddetta “CGIL unitaria”, che influenzerà i padri costituenti al momento della redazione della carta costituzionale.
Si segnala il primo accordo interfederale rilevante: mentre il primo accordo tra confindustria e sindacato fascista aveva avuto ad oggetto la soppressione delle commissioni interne, ovvero forme di rappresentanza spontanee (non sindacali) all’interno delle aziende, diametralmente in opposizione al regime, dopo la sua caduta, vi fu la ripresa di queste organizzazioni.
Art. 39 della Costituzione
Tra la caduta del regime e l’entrata in vigore della Costituzione, i mutamenti sono tanti, repentini e con pesanti ricadute sulle vicende che oggi ci riguardano. Due questioni principali:
- Necessità di distaccarsi dal regime passato, riaffermando il diritto garantito delle libertà sindacali. (le commissioni interne furono, per contrasto col fascismo, immediatamente riammesse e rese libere).
- Creazione della nuova Costituzione, di fronte ad un fenomeno sindacale che si stava aggregando nella CGIL (di sinistra).
Già nel ’47 quell’unità progressivamente si sgretolerà, facendo riemergere le distinte ideologie e la volontà di costituire distinte organizzazioni sindacali: sotto la Democrazia Cristina si genera un sindacato cattolico (CISL), e la UIL repubblicana, mentre la CISNAN era l’erede del sindacato fascista. Residuavano i soliti problemi tipici di qualunque diritto sindacale (erga omnes, inderogabilità), ovviamente seguendo modelli differenti da quelli del ’26. Il dibattito, dal quale nacque proprio l’art.39, fu davvero vivace in sede costitutiva.
I suoi limiti si videro subito dopo l’entrata in vigore: la seconda parte dell’art.39 non trovò mai attuazione. Analizziamolo:
- 1° parte/1° comma (norma fondamentale come termine di paragone): “l’organizzazione sindacale è libera”.
Non si dice: “vi è libertà sindacale” o “i sindacati possono associarsi”. L’art. si afferma in questo modo perché implica che lo Stato non possa in alcuna maniera interferire sulle scelte organizzative del sindacato (contrasto col fascismo).
Questo esprime un principio d’immunità dallo Stato. Il punto dolente era il seguito dell’articolo. Qui la scelta purtroppo non si è rivelata vincente.
- 2° comma: “ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la registrazione, secondo le norme di legge”
(Vi è quindi una riserva di legge sulle modalità degli obblighi di registrazione; tuttavia la legge ordinaria non è mai intervenuta). La parola obbligo è da intendersi quale onere, in senso improprio, perché i sindacati sono obbligati a registrarsi soltanto se vogliono accedere a certi privilegi di contrattazione.
- 3° comma: “è condizione per la registrazione che gli statuti e gli ordinamenti siano sanciti a base democratica” (per differenza con la base nazionale presente nella precedente disposizione, sotto il regime fascista).
- 4° comma: “I sindacati registrati hanno personalità giuridica”. (riconoscimento)
- 5° comma: “Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi per tutte le categorie ai quali i contratti si riferiscono”.
L’efficacia erga omnes è, dunque, individuata nei contratti stessi.
Ripetiamo, quindi, il concetto secondo il quale l’individuazione del campo d’applicazione di un contratto collettivo è tipicamente oggetto dello stesso contratto collettivo. Il soggetto che avrebbe dovuto stipulare il contratto avrebbe dovuto anche essere un soggetto complesso, composto da un insieme di sindacati.
Questo non avvenne mai, ed il suddetto soggetto non si formò. Il punto dolente del sistema era proprio il fatto che, per rendere applicabile questo modello, occorreva non solo controllare gli statuti, contare gli iscritti e poi accertarne la veridicità, ma anche creare un soggetto unitario sindacale (derivante dall’idea di unico soggetto sindacale fascista). Inoltre la CGIL avrebbe sempre avuto la maggioranza.
Quali conseguenze derivano dalla scelta del legislatore di non emanare una legge seguente all’art.39 Cost.? Di fatto, essendo garantita la libertà di organizzazione (che comprende anche la libertà di scegliere la propria forma giuridica ed il proprio modello organizzativo), i sindacati hanno quasi sempre assunto la forma delle associazioni. La questione che subito si pone è: che tipo di associazioni? Riconosciute oppure non?
Le associazioni sindacali sono associazioni non riconosciute alle quali si applicano gli artt. 36-37-38 del Codice civile.
Ci si può domandare se queste associazioni abbiano convenienza a chiedere il riconoscimento. La risposta è sempre stata negativa, per due ragioni tra loro collegate:
- Se chiedessero ed ottenessero la personalità giuridica dovrebbero sottostare ad una serie di regole, subendo un’intrusione nella loro libertà di organizzazione (e una regolamentazione violerebbe l’art.39 Cost.).
- La seconda parte del 39 Cost. introduce un meccanismo unico per ottenere il riconoscimento (≠ libertà).
Ci sono stati, tuttavia, dei casi in cui è stato richiesto il riconoscimento. La Corte ha concesso all’associazione richiedente la personalità giuridica, specificando però che non poteva usufruirne per attività sindacali (quindi era come negare il riconoscimento a livello sindacale). Approfondimento: secondo Galgano, si potrebbero applicare taluni principi di democrazia interna, che il codice impone alle associazioni riconosciute. La dottrina lavoristica non è mai stata favorevole alle ipotesi di Galgano, ha comunemente prevalso una lettura dell’attività sindacale come completamente libera.
Ad oggi, il sindacato è un soggetto privato, nonché un’associazione non riconosciuta, che stipula contratti collettivi. E’ necessaria la doppia iscrizione di lavoratori e imprenditori ai sindacati relativi? Dipende da come è stato stipulato il contratto (anche da un punto di vista civilistico): qualora esso preveda espressamente di venire applicato a tutti i dipendenti degli imprenditori iscritti all’associazione, i datori di lavoro saranno sempre tenuti ad applicarlo ai propri subordinati. Questo avviene, ancora a maggior ragione, dopo il 1970, quando venne approvato.