Il collocamento dei lavoratori disabili
La disciplina di riferimento, prima della riforma, riguardava un numero più ampio di destinatari: a fianco degli invalidi, ciechi sordomuti etc. trovavamo altri soggetti non disabili ma con altri problemi (orfani, profughi, vittime del terrorismo etc.).
Era la legge del ’68 n° 482 (superata nel ’99) ad essere costruita intorno al principio del “collocamento obbligatorio”. Esso funzionava attraverso apposite strutture di collocamento, parallele alle ordinarie, mediante richieste numeriche e graduatorie, attraverso una percentuale minima (quote) di assunzioni obbligatorie per le categorie protette.
Le aziende con più di 35 dipendenti, dovevano avere almeno un 15% di lavoratori di questa categoria. Essi dovevano essere equiparati completamente ai lavoratori normali (vi era parità di trattamento tra categorie protette e altri lavoratori). I limiti pratici erano di questa legislazione erano:
- Garanzia di un posto di lavoro qualunque e non un’effettiva introduzione nel mondo del lavoro;
- Restava il fatto di non poter scegliere il soggetto;
- Non vi era distinzione, per i portatori di handicap, tra dipendenti e operai;
- Ineffettività: era difficile dire se, a fronte di un inadempimento d’assunzioni da parte delle imprese, il soggetto pubblico potesse o non potesse inviare coattivamente lavoratori fino a coprire l’aliquota;
- Difficoltà di concepire un rapporto di lavoro autoritario, privo di volontà del datore;
- Il lavoratore non assunto aveva diritto ad un risarcimento per “perdita di chance lavorative”;
- Il lavoratore disabile, nel corso del rapporto di lavoro, poteva vedersi ridurre la propria capacità lavorativa, fino al di sotto della capacità proficua per il datore; entrambi (lavoratore e datore), a questo punto, potevano far verificare che la presenza di quel lavoratore potesse essere di pericolo (per sé, per gli altri o per la sicurezza degli impianti).
- In assenza della professionalità richiesta, poteva essere scelto un lavoratore con professionalità analoghe
Questa legge, del ’68 n° 482, è stata superata con la legge del ’99 n° 68 (occhio a non confondere anno e n°!) La prima differenza è già nel titolo: “diritto al lavoro dei disabili” (pagina 18 dell’appendice normativa). La logica della legge è quella di superare i limiti segnalati, tentando un’effettiva integrazione nel mondo del lavoro. La scelta del legislatore è stata quella di mantenere in parte il sistema del collocamento obbligatorio, alleggerendolo (flessibilità) e adattandolo meglio al datore di lavoro.
Il primo modo per ridurre l’aliquota di assunzioni obbligatorie, era quella di allargare il campo dei destinatari (oggi anche aziende più piccole sono tenute a riservare almeno alcuni posti per i disabili). Se per i disabili ordinari il grado di invalidità/inabilità è considerato pari al 45%, questa percentuale si riduce al 33% per le persone che hanno contratto un’invalidità per infortunio sul lavoro o per malattia professionale (es.: amianto). Non viene più chiamata “invalidità”, ma “ridotta capacità lavorativa”.
Apriamo una parentesi sui disabili psichici: la legge del ’68 faceva riferimento soltanto ad invalidità fisiche, poiché, per ovvie ragioni tecniche, era più difficile, in passato, inserire un disabile psichico. Oggi, a seguito della legge n° 68 del ’99, i disabili psichici sono compresi nelle categorie protette (non è più richiesta la sana e robusta costituzione fisica, principio risalente ancora da prima dell’emanazione della Costituzione).
La legge ’99 n° 68 rimanda alle commissioni mediche regolate dalla legge del ’92 n° 104. Pur restando il principio dell’assunzione obbligatoria, nella prassi spesso si stipulano apposite convenzioni con istituti specifici. Ma quali modifiche troviamo nel sistema delle assunzioni obbligatorie? Restano le quote in percentuale e viene ridisegnata la categoria dei destinatari: mentre prima avevamo aliquota del 15%, per aziende con più di 35 operai, oggi le % sono le seguenti (è una graduazione che riguarda anche le modalità, non solo le percentuali):
- N° dipendenti (grandezza impresa) percentuale/n d’assunzioni obbligatorie Possibilità di richiesta nominativa Note
- Più di 50 dipendenti 7% 60% del 7%
- Tra 35 e 50 dipendenti 2 lavoratori 50% (cioè 1 su 2)
- Tra 15 e 35 dipendenti 1 lavoratore 100% solo in caso di nuove assunzioni (evita inadempimenti nelle piccole aziende)
La legge del ’99, come notiamo dalla tabella, prevede anche assunzioni nominative. Questo ha dei pro e dei contro:
- Pro: può consentire di scegliere il lavoratore più adatto;
- Contro: può essere un modo per consentire alle aziende di scegliere i meno disabili.
In sintesi, la graduazione, ad oggi, è molto meno pesante, sia per le quote, sia per le modalità. Gli uffici devono tenere e compilare apposite schede per ogni lavoratore. I datori devono indicare caratteristiche e contesti in cui il lavoratore dovrà essere inserito. Ulteriore precisazione per i disabili psichici: vengono avviati su richiesta nominativa e tramite apposite convenzioni.
Per far funzionare questo meccanismo, si è provveduto anche sul versante sanzionatorio: è stato sostenuto l’obbligo di inviare alle strutture competenti un rapporto informativo sullo stato dell’adempimento della legge. Un’ulteriore agevolazione è data dalla possibilità di ottenere un rimborso parziale per le spese necessarie ad adattare il posto di lavoro al disabile (per quelli incapaci al più del 50%). In passato, se il lavoratore non era più utile ad una determinata mansione, il datore aveva la possibilità di recedere dal rapporto. Oggi questo può avvenire solo dopo che sono stati attesi i tempi necessari per un ricollocamento.
“In caso di aggravamento delle condizioni di salute, oppure cambio dell’organizzazione dell’azienda, che non rendano più utilizzabili il disabile, il disabile ed il datore possono chiedere che venga accertata la sua compatibilità.”. Il disabile ha diritto alla sospensione non retribuita fino a che la situazione non cambi, oppure è possibile riqualificare il lavoratore facendogli provare i meccanismi nuovi. “Il rapporto di lavoro può essere risolto quando, anche attuando i possibili adattamenti, la commissione accerti la definitiva impossibilità di reinserire il disabile all’interno dell’azienda”.
Quando viene risolto il rapporto, il disabile riceve degli assegni dall’INPS, mentre il datore deve assumere un altro disabile che sia più compatibile col nuovo lavoro. Anche quando i disabili si licenziano bisogna sempre rientrare (con nuove riassunzioni) dentro le aliquote. La stessa legge del ’99 fa riferimento alle cooperative sociali: per tutti i soggetti non profit, o che operano per la promozione sociale, nonché per i partiti politici, le assunzioni obbligatorie si applicano solo in caso di nuove assunzioni, e solo per funzioni amministrative e tecniche.
La legge 381 del ’91 riserva una posizione alle cooperative sociali, così come definite dal legislatore:
- “Tipo A: gestione di servizi socio-sanitari ed educativi
- Tipo B: svolgimento di attività varie finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate”
Ci interessano le cooperative del tipo B: esse sono caratterizzate da statuti che possono prevedere il volontariato, con soci che rappresentano un’ipotesi di lavoro gratuito (che abbiamo già incontrato). Il legislatore afferma chiaramente che ai soci volontari non si applicano i contratti collettivi, tranne le norme in materia di assicurazioni e infortuni. I soci volontari non possono, quindi, essere retribuiti, ma ricevono solo un rimborso per le spese documentate. Per persone svantaggiate “si considerano gli invalidi fisici, psichici e sensoriali” ma anche altri soggetti: “ex degenti di istituti psichiatrici, soggetti in trattamento psichiatrico, tossicodipendenti, alcolisti, minori in situazioni di difficoltà familiare, i condannati a misure alternative alla detenzione, etc.”.
Come avviene l’inserimento delle persone svantaggiate nelle cooperative? Esso è garantito attraverso un meccanismo di quote: deve comprendere almeno il 30% dei lavoratori della cooperativa sociale, che devono essere soci.
Le cooperative sociali possono stipulare convenzioni (anche con soggetti pubblici) per lo svolgimento di determinati servizi sociali. La legge del ’99 prevede che, nelle convenzioni per l’assunzione diretta dei disabili, sia espressa la possibile alternativa, invece di assumere in proprio, di impegnarsi ad offrire una certa quantità di lavoro a determinate cooperative sociali. Col decreto 216 del Luglio 2003 (che dà attuazione alle direttive 78 e 43 del 2000) si è allargato il principio di non discriminazione (oltre a sesso, razza, religione etc. si aggiungono opinioni, età, handicap e tendenza sessuale, tutti contemplati all’art.15 dello Statuto dei Lavoratori).