La disciplina del capitale sociale e dei conferimenti nelle società per azioni
La Seconda dir. soc., eminentemente dedicata all’armonizzazione delle disposizioni in materia di capitale sociale, individua nella garanzia per i creditori la fondamentale funzione del capitale, lasciando in ombra la funzione organizzativa del capitale sociale, ossia l’essere il capitale stesso il principale termine di riferimento per la misurazione dei diritti dei soci.
Il capitale sociale, quanto meno nelle società per azioni di diritto continentale, è una posta fissa del passivo dello stato patrimoniale, che rappresenta il valore complessivo attribuito ai conferimenti nel momento in cui questi sono apportati dai soci, cioè alla costituzione della società o in occasione di aumenti di capitale c.d. reali o a pagamento. In questo senso, si parla del capitale fisso (in contrapposizione a quello variabile, tipico delle società cooperative) come posta rappresentante un valore storico: questa posta contabile non varia al variare del valore dei conferimenti apportati, che sono divenuti patrimonio della società, ma funge da parametro, perciò fisso, per verificare se, con l’esercizio dell’impresa sociale, il valore di quei beni conferiti o di ciò che con essi è stato acquistato, si sia, o meno, apprezzato. In questa luce il capitale sociale non può rappresentare garanzia dei creditori, almeno laddove per garanzia si intenda il patrimonio del debitore o singoli beni, specificamente destinati alla soddisfazione dei creditori mediante esecuzione forzata, ovvero ancora garanzie personali. I
l legislatore comunitario intende la funzione di garanzia del capitale in altro senso. Esso intende rimarcare il fatto che, nelle società nelle quali i soci godono della responsabilità limitata al conferimento promesso od effettuato, il mantenimento tendenzialmente costante di un’aliquota di patrimonio, corrispondente al valore indicato nel capitale sociale, legittima l’affidamento dei creditori a che, in ipotesi di esecuzione sul patrimonio della società, una parte dei crediti almeno corrispondente a tale cifra possa essere soddisfatta.
In questo senso, la garanzia dei creditori è data dal fatto che, fin tanto che detta porzione di patrimonio esiste, essi si soddisfano sulla stessa con priorità rispetto ai soci: maggiore è il valore di tale quota di patrimonio rispetto alla quantità di patrimonio acquisita mediante prestiti, più elevata sarà la probabilità che essi possano soddisfare il proprio credito per intero.
Il legislatore comunitario, nell’assicurare la funzione di garanzia del capitale sociale, intende predisporre una serie di regole con le quali gli ordinamenti nazionali assicurino l’effettiva persistenza di tale porzione di patrimonio: si parla di tutela dell’integrità e dell’effettività del capitale sociale. Secondo la dottrina, la garanzia dei creditori non è in realtà costituita dalla possibilità di aggredire il patrimonio corrispondente al valore del capitale. Il capitale è più esattamente quella dotazione di mezzi che consente alla società di esercitare l’impresa che ha come oggetto: è l’esercizio dell’impresa che assicura i flussi di ricavi in grado di sostenere i costi, e quindi l’adempimento delle obbligazioni, non già la sola presenza di beni aggredibili. In questo senso, il capitale assume una nozione produttiva.
Capitale sottoscritto, versato e autorizzato
Nelle direttive che trattano del capitale sociale, il legislatore comunitario si riferisce a quest’ultimo con differenti specificazioni, parlando di capitale sottoscritto, di capitale versato e di capitale autorizzato. Per capitale sottoscritto si intende quanto i soci si sono complessivamente impegnati a corrispondere alla società mediante i conferimenti: è questo il capitale sociale che va indicato nel passivo dello stato patrimoniale. La sottoscrizione è l’atto giuridico con il quale il fondatore, nella costituzione, un socio o un terzo, nell’aumento del capitale, assumono l’obbligazione a conferire per un certo ammontare. C
on l’espressione capitale versato ci si riferisce a quella parte del capitale sociale sottoscritto, per la quale i soci hanno provveduto ad effettuare i conferimenti promessi, in tutto o in parte. Il capitale versato corrisponde ai conferimenti effettuati, che possono dirsi liberati; parimenti, le azioni si dicono interamente o non interamente liberate quando i relativi conferimenti sono stati effettuati integralmente o solo in parte. Il versamento o la liberazione è l’atto con cui il socio provvede a far acquisire alla società la disponibilità non solo giuridica, ma materiale dei conferimenti promessi. Quanto all’espressione capitale autorizzato, essa riporta alla distinzione fra sistemi giuridici a capitale autorizzato e a capitale fisso.
Nei sistemi giuridici a capitale autorizzato, l’atto costitutivo o lo statuto si limitano a stabilire ex ante la misura massima che il capitale sociale potrà assumere. Ciò significa che i soci non si impegnano già con la fondazione della società ad effettuare conferimenti in tale misura: il capitale autorizzato è sottoscritto solo per una parte e i soci conservano il potere di aderire o meno alla richiesta di sottoscrivere azioni in una misura maggiore. Compete all’organo amministrativo della società decidere quale sia il momento più opportuno per emettere ulteriori azioni, rispetto a quelle assegnate ai fondatori, sino alla misura massima predetta, offrendole per la relativa sottoscrizione. In questi sistemi si distingue il capitale autorizzato dallo statuto, dal capitale effettivamente sottoscritto e versato, e si potrà avere l’ipotesi in cui il capitale autorizzato sia superiore al capitale sottoscritto e, ulteriormente, al capitale versato.
La Seconda dir. soc., all’art. 2, impone di indicare nell’atto costitutivo l’importo del capitale sottoscritto ovvero quando la società abbia un capitale autorizzato, l’importo di quest’ultimo e l’importo del capitale sottoscritto al momento della costituzione della società o dell’ottenimento dell’atto autorizzante l’inizio delle attività nonché in occasione di ogni modifica del capitale autorizzato stesso.
Una prima misura con la quale il legislatore comunitario intende assicurare l’esistenza di una quantità di mezzi propri, rischiati dai soci che intendano costituire una società per azioni, è quella del capitale sociale minimo. L’art. 6 della Seconda dir. soc. impone agli Stati membri di stabilire per la costituzione della società l’obbligo di sottoscrizione di un capitale minimo, che non può essere determinato in misura inferiore a 25.000 Euro. Nell’imporre una determinata soglia minima di capitale sociale, il legislatore comunitario non ha fatto propria la soluzione secondo la quale la società dovrebbe essere costituita con un capitale adeguato o non palesemente inadeguato rispetto all’oggetto sociale. La misura iniziale del capitale sociale non costituisce indice esclusivo per valutare la possibilità di conseguire l’oggetto sociale; non può essere trascurato che la società, nel conseguimento dell’oggetto sociale, potrà fare ricorso, oltre che ai mezzi propri, ai mezzi di terzi.
Il legislatore comunitario esclude di poter accogliere la soluzione proposta oltreoceano, secondo cui meglio del vincolo alla costituzione di un capitale sociale minimo, potrebbe adempiere alla funzione di garanzia dei creditori la previsione dell’obbligo di stipulare polizze di assicurazione: si ritiene che, assegnando agli assicuratori il ruolo di vigilare sull’andamento dell’impresa sociale per la corretta valutazione del rischio, l’efficienza della società sia favorita, riducendo il margine di rischio per la massa dei creditori.
In riferimento all’esperienza italiana, l’art. 2464 c.c., in materia di società a responsabilità limitata, dispone che il versamento del 25% dei conferimenti in denaro (più eventuale sovrapprezzo) può essere sostituito dalla stipula di una polizza assicurativa o da una fideiussione bancaria di un importo almeno corrispondente. Si è parlato al proposito di capitale assicurato. La norma, risalente al 2001, aveva sollevato obiezioni di compatibilità con la disciplina comunitaria della Seconda dir. soc., posto che la sottoscrizione rappresenta l’impegno a conferire e non può essere sostituito da una garanzia, la quale semmai può sostituire o garantire il versamento integrale o minimo.
Le critiche hanno indotto il legislatore italiano a confinare le ipotesi di capitale assicurato alle sole s.r.l. (e non a tutte le società di capitali) cui la Seconda dir. soc. non è applicabile, precisando che l’assicurazione copre il rischio di inattuazione del conferimento ma non sostituisce la sottoscrizione. È da sottolineare come la Seconda dir. soc. sia rivolta esclusivamente alle società per azioni. Alcuni ordinamenti escludono del tutto la necessità di un capitale sociale minimo per le private companies, quelle società di capitali che non ricorrono alla raccolta tra il pubblico, ma solo tra un circoscritto numero di soci.
Il legislatore comunitario si preoccupa di garantire la presenza del capitale minimo solo al momento della costituzione della società. Infatti, l’art. 17 della Seconda dir. soc., avente ad oggetto le conseguenze derivanti da gravi perdite del capitale sottoscritto non prevede che, qualora il capitale sottoscritto scenda al di sotto della predetta soglia minima, tale capitale minimo debba essere ricostituito; tale articolo si limita a disporre che in questi casi (identificati in una perdita che non può essere comunque indicata dagli Stati membri come superiore alla metà del capitale sociale) deve essere necessariamente convocata l’assemblea dei soci (secondo il termine previsto da ciascuno Stato) per esaminare se sia necessario sciogliere la società o prendere altri provvedimenti. Non essendo disposto nulla di specifico circa la necessità di ricostituire il capitale minimo iniziale, gli Stati membri appaiono liberi di scegliere le soluzioni più varie.
Il divieto di emissione sotto la pari
A garanzia dell’effettività del capitale sociale, l’art. 8 della Seconda dir. soc. dispone che le azioni non possano essere emesse per un valore inferiore al loro valore nominale o, in mancanza di questo, al loro valore contabile: si parla al riguardo di divieto di emissione sotto la pari. Premesso che il valore nominale delle azioni indica la parte di capitale sociale da ciascuna di esse rappresentata (ed è insensibile alle vicende patrimoniali della società, potendo essere modificato solo attraverso una modifica dell’atto costitutivo), le azioni emesse non potranno essere attribuite ai sottoscrittori a fronte di un conferimento avente valore inferiore all’importo stabilito quale valore nominale dell’azione.
Infatti, qualora si consentisse ai soci di conferire beni per le azioni sottoscritte per un valore inferiore al complessivo valore nominale di dette azioni, si avrebbe per la differenza la formazione di capitale sociale solo apparente, ossia la società non disporrebbe di quei mezzi propri che dal passivo risulterebbero essere presenti in società. È viceversa pacificamente permesso che i soci si obblighino ad apportare conferimenti in misura maggiore al valore nominale complessivo delle azioni dagli stessi sottoscritte: si parla al riguardo di sovrapprezzo. In alcuni casi, come quello di esclusione del diritto di opzione, il sovrapprezzo è obbligatorio.
Un’unica eccezione al divieto di emissione delle azioni al di sotto del valore nominale è prevista dal par. 2, dell’art. 8, laddove è disposto che gli Stati membri possono permettere che le persone che, professionalmente, collocano azioni, corrispondano un importo inferiore all’importo totale delle azioni da essi sottoscritte nel corso di tale operazione. La disposizione va interpretata collocandola nell’ambito dell’obiettivo di tutelare l’effettività del capitale sociale, nel senso che la differenza di valore non corrisposta dai predetti soggetti professionali è pari al prezzo del servizio prestato da quest’ultimi alla società ed ha rappresentato la loro remunerazione; con il che non si avrebbe formazione di capitale inesistente.
Con riferimento alla disciplina italiana, il legislatore della riforma del 2003 ha interpretato il divieto di emissione sotto la pari in chiave evolutiva, sostenendo che non già il valore dei conferimenti di ciascun socio deve corrispondere al meno al valore nominale complessivo delle azioni dallo stesso sottoscritte, ma che tale corrispondenza debba sussistere tra l’ammontare complessivo dei conferimenti e quello del capitale sociale. In questo modo è stato introdotto l’istituto del conferimento non proporzionale (od assegnazione non proporzionale di azioni). Non sembra che la soluzione italiana sia in contrasto con i principî del diritto comunitario, seppure sotto il profilo letterale non vi sia corrispondenza al testo dell’art. 8 Seconda dir. soc.
I conferimenti
Come previsto dall’art. 7 della Seconda dir. soc., il capitale sociale è costituito mediante i conferimenti che i sottoscrittori si impegnano ad eseguire a favore della società in cambio delle azioni di nuova emissione. La disciplina comunitaria prevede espressamente che possono costituire oggetto di conferimento solo elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica, ossia suscettibili di essere valutati in termini monetari, così da poter essere raffrontati con il valore nominale delle azioni. È anche espressamente previsto che non possono costituire oggetto di conferimento né gli impegni di esecuzione di lavori né la prestazione di servizi, in ragione della circostanza che sarebbe difficile darne una valutazione oggettiva e attendibile e del fatto che l’elevata aleatorietà delle medesime mal si concilia con l’esigenza di garantire la veridicità del valore di tali conferimenti nonché l’effettiva acquisizione degli stessi da parte della società e l’effettiva formazione del capitale.
La Seconda dir. soc. distingue (art. 9) fra:
- conferimenti in contanti (si parla di conferimenti in denaro all’art. 29), con i quali i soci sottoscrittori si impegnano al versamento alla società di una somma di denaro per riceverne in cambio le azioni di nuova emissione;
- conferimenti non in contanti, con i quali i soci sottoscrittori si impegnano a trasferire alla società, per ricevere in cambio le azioni di nuova emissione, beni suscettibili di valutazione economica (quali un bene immobile, un bene mobile, o un diritto di credito).
La distinzione fra le due tipologie di conferimenti rileva sotto un duplice profilo: il termine per la liberazione delle azioni emesse a fronte dei rispettivi conferimenti e la necessità di procedere alla valutazione dei beni conferiti.
La liberazione delle azioni
La disciplina della liberazione delle azioni è dettata dall’art. 9 della Seconda dir. soc. (ed analogamente dall’art. 26 per l’aumento di capitale) che distingue fra liberazione di azioni emesse a fronte di conferimenti in contanti e liberazione di azioni emesse a fronte di conferimenti non in contanti. Per le azioni che devono essere liberate mediante conferimento in contanti, la Seconda dir. soc. impone l’immediata liberazione per un importo non inferiore al 25% del valore nominale delle azioni o del valore contabile delle medesime. Non è imposto un obbligo di richiamare la restante parte del conferimento entro una data fissa, ragione per cui sarà rimesso alla discrezionalità degli amministratori richiamare i centesimi residui quando ciò sia utile per le necessità gestionali. Le legislazioni dei Paesi membri possono disporre in materia, restringendo la discrezionalità degli amministratori.
Il legislatore comunitario non prende espressamente posizione sulla questione, molto discussa nel diritto nazionale della consensualità o realità della sottoscrizione, e quindi sugli effetti dell’omissione dell’obbligo di versare immediatamente il 25% dei conferimenti in denaro: gli indici normativi che possono trarsi dalle direttive comunitarie si lasciano tuttavia meglio interpretare nel senso della consensualità, con la conseguenza che l’obbligo di apportare immediatamente una parte dei conferimenti in denaro valga da garanzia della serietà dell’impegno, senza incidere sulla validità della sottoscrizione.
Per quanto concerne le azioni che devono essere liberate mediante conferimenti non in contanti, la norma comunitaria prevede un differimento massimo di cinque anni dal momento della costituzione della società o dal momento in cui la società ottiene l’atto autorizzante l’inizio della propria attività. Al proposito si rendono opportuni due rilievi. Il primo riguarda il dubbio per l’aumento di capitale, se anche per l’esecuzione differita dei conferimenti in natura il legislatore comunitario prescriva l’obbligo di liberazione immediata di almeno un quarto.
Questa interpretazione, applicabile ai soli conferimenti in natura la cui esecuzione possa essere frazionata, appare errata, giacché la soluzione avversata non viola la parità di trattamento tra chi conferisce in denaro e chi conferisce in natura, né lede minimamente il principio di integrità del capitale. Il secondo rilievo riguarda il concetto di integrale liberazione del conferimento in natura: per integrale liberazione deve intendersi il trasferimento del diritto di godimento.
La valutazione dei conferimenti “non in contanti”
In ragione della natura dei conferimenti non in contanti, considerata rischiosa sotto il profilo della garanzia dell’effettività e integrità del capitale sociale, l’art. 10 della Seconda dir. soc. prevede che detti conferimenti devono formare oggetto di una relazione da parte di esperti indipendenti designati o autorizzati da un’autorità amministrativa o giudiziaria, da redigere prima della costituzione della società o prima che essa ottenga l’atto autorizzante l’esercizio della propria attività. La relazione di detti esperti deve contenere almeno:
- la descrizione dei singoli conferimenti;
- i criteri di valutazione adottati per determinare il valore del conferimento non in contanti;
- l’indicazione se il valore del conferimento oggetto di valutazione risultante dall’applicazione dei predetti criteri corrisponda almeno al numero e al valore nominale delle azioni emesse a fronte del conferimento, oltre all’eventuale sovrapprezzo delle azioni.
La relazione deve formare oggetto degli adempimenti pubblicitari previsti conformemente a quanto disposto dall’art. 3 della Prima dir. soc. È prevista un’unica eccezione all’obbligo di redazione e pubblicazione della predetta relazione degli esperti. Si tratta dell’ipotesi disciplinata dal par. 4 dell’art. 10 della Seconda dir. soc., il quale consente che gli Stati membri prevedano una disciplina che non richiede la relazione degli esperti qualora non più del 90% del valore nominale (o contabile) delle azioni liberate viene emesso a fronte di conferimenti non in contanti effettuati da società qualora siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
- la società beneficiaria dei conferimenti e le persone (fisiche o giuridiche) che hanno sottoscritto l’atto costitutivo e lo statuto o, se la costituzione della società non è simultanea, le persone che hanno sottoscritto il progetto di statuto e atto costitutivo, hanno rinunciato alla redazione della relazione degli esperti;
- tale rinuncia è stata adeguatamente pubblicizzata, secondo il disposto dell’art. 3 della Prima dir. soc.;
- le società che hanno effettuato i conferimenti non assistiti dalla relazione degli esperti dispongono di riserve non distribuibili di importo pari ad almeno il valore nominale (o il valore contabile) delle azioni emesse a fronte di tali conferimenti;
- d) le società che hanno effettuato i conferimenti in questione si impegnano a garantire, sino a un importo pari al valore nominale delle azioni emesse a fronte di detti conferimenti, i debiti della società conferitaria sorti nel periodo compreso fra l’emissione delle relative azioni e un anno dopo la pubblicazione del bilancio annuale relativo all’esercizio durante il quale sono stati effettuati i conferimenti; durante questo periodo è vietato qualsiasi trasferimento delle azioni in questione;
- la garanzia di cui alla precedente lett. d) dovrà essere pubblicizzata secondo quanto disposto dall’art. 3 della Prima dir. soc.;
- le società che hanno effettuato i conferimenti incorporano un importo pari al valore nominale (contabile) delle azioni emesse a fronte dei conferimenti in questione, in una riserva distribuibile solo alla scadenza di un periodo di tre anni a decorrere dalla pubblicazione del bilancio della società conferitaria relativo all’esercizio durante il quale sono stati effettuati i conferimenti o successivamente, se del caso, dal momento in cui tutti i reclami relativi alla garanzia predetta siano stati risolti.