Acquisto delle qualità di imprenditore

Imputazione dell’attività

L’articolo 2082 non richiede esplicitamente che l’attività sia svolta direttamente dall’imprenditore: egli può avvalersi di collaboratori che operano in suo nome e per suo conto. Tra questi numerosi soggetti, occorre individuare precisamente dal punto di vista giuridico chi è l’imprenditore: ci viene in aiuto il principio della spendita del nome, che identifica come imprenditore colui che spende il suo nome nell’esercizio dell’attività di impresa. Tale esercizio può avvenire:

  • In modo diretto: l’imprenditore esercita direttamente l’attività o delega a un soggetto in possesso di un mandato con rappresentanza l’esercizio/la conclusione di alcuni atti
  • In modo indiretto: in questo caso non vi è rappresentanza, il soggetto agisce per conto dell’imprenditore senza spendita del nome. Crea dissociazione tra chi è formalmente considerabile imprenditore e chi è il reale interessato in questa seconda ipotesi si può verificare il caso DELL’IMPRENDITORE OCCULTO, ovvero l’esercizio di un attività di impresa per interposta persona, detta prestanome, che opera come imprenditore apparente: egli segue le direttive dell’imprenditore occulto (colui che somministra i mezzi monetari necessari, dirige di fatto l’impresa e fa propri i guadagni corrispondendo eventualmente un compenso al prestanome) e risponde delle obbligazioni derivanti dall’esercizio dell’attività di impresa, ed è soggetto a fallimento in caso di insolvenza. Spesso il prestanome è un soggetto che non ha nulla da perdere, senza un proprio patrimonio personale da rischiare oppure è una società per azioni o a responsabilità limitata con capitale irrisorio (società di comodo): ciò comporta che il rischio venga traslato sui creditori perché non esiste un patrimonio su cui essi possono rivalersi.

È fuori dubbio che i creditori possano provocare il fallimento del prestanome, in quanto egli, attraverso la spendita del suo nome, è reputabile imprenditore. È altrettanto fuori discussione che date le esigue/inesistenti dimensioni del patrimonio del prestanome, i creditori trarranno ben poco dal fallimento di questi. Se si ammette che sia coinvolto nel fallimento esclusivamente il prestanome, il risultato sarà che il rischio di impresa sarà in realtà sopportato dai creditori (almeno quelli più deboli, non in grado di garantirsi dal dissesto del prestanome costringendo il reale interessato a garantire personalmente i debiti del primo). Quali rimedi?

Rimedio

Superamento del principio della spendita del nome: dimostrando l’esistenza dell’imprenditore occulto, è possibile coinvolgerlo nel fallimento, escludendo il principio della spendita del nome ai fini dell’imputazione della responsabilità per debiti di impresa.

Teoria del potere di impresa: avanzando l’idea dell’inscindibilità del rapporto potere – responsabilità, per cui chi esercita il potere di direzione di un impresa se ne assume il rischio e risponde delle obbligazioni relative all’attività.

Teoria di Bigiavi, dell’imprenditore occulto: partendo dal principio contenuto nella legge fallimentare per cui fallisce il socio occulto di società palese per cui estendiamo il fallimento al socio occulto possiamo applicarlo al nostro caso? Se abbiamo di fronte a un imprenditore occulto e a un prestanome, possiamo dire di avere davanti una società occulta con socio occulto? Possiamo utilizzare l’analogia perché ciò che cambia è solo il numero dei soci occulti. Ma se fallisce la società occulta fallisce anche l’imprenditore occulto e per ciò arriviamo a dire che non importa che chi appare si palesi come esclusivo titolare dell’impresa.

Teoria dell’impresa fiancheggiatrice: provando il rapporto tra impresa e prestanome si può affermare che in realtà l’imprenditore occulto è titolare di una propria attività di impresa occulta che consiste nel finanziare ed organizzare l’attività del prestanome. Di conseguenza quando il prestanome fallisce fallisce anche l’imprenditore occulto perché il prestanome è insolvente perché l’imprenditore non gli ha più fornito i mezzi finanziari perché a sua volta insolvente.

Efficacia e motivazione

Non è una soluzione praticabile perché oltre a superare un principio essenziale del nostro ordinamento crea pregiudizio ai creditori personali dell’imprenditore occulto che vedranno il patrimonio a garanzia del loro credito diviso tra i creditori dell’impresa occulta.

Non praticabile perché comunque l’imprenditore occulto non è qualificabile come imprenditore senza spendita del nome e fallisce. Inoltre è la stessa legge in alcuni casi a non ammettere questo legame.

Nel fallimento del socio occulto di società palese è fuori discussione l’esistenza di una società a responsabilità illimitata e che gli atti sono stati posti in essere nel nome della società. Il socio occulto fallisce perché fa parte della società. In caso di socio occulto di società occulta, il socio occulto è chiamato a rispondere di atti posti in essere in nome del prestanome e fallisce perché fa parte di una società di persone con soci illimitatamente responsabili. In caso invece di rapporto imprenditore occulto – prestanome siccome non esiste nessuna società tra i due per definizione, quindi la regola non può essere applicata.

In realtà il collegamento tra l’insolvenza dell’impresa apparente e quella dell’impresa occulta non è così diretto: semplicemente l’imprenditore occulto potrebbe essersi stancato di finanziare l’attività. Inoltre anche questo stratagemma non tutela i creditori del prestanome perché prenderanno parte a una procedura concorsuale distinta dal fallimento dell’imprenditore occulto visto che le imprese insolventi sono 2.

Inizio dell’attività:

a) Impresa individuale: un attività di impresa si considera iniziata quando c’è effettività dell’esercizio dell’attività di impresa. Un soggetto si considera imprenditore al compimento dell’insieme atti che servono ad organizzare l’attività d impresa: non occorre aspettare fino al termine del primo ciclo produttivo né basta una semplice manifestazione di intenti. L’effettività porta a considerare iniziata un’attività anche se esercitata in violazione di norme amministrative abilitanti

b) Società: l’attività inizia al momento della loro costituzione perché nascono finalizzate all’esercizio dell’attività di impresa. Le società di capitali sono imprenditori a partire dall’iscrizione nel registro delle imprese, le società di persone esistono a partire dalla stipula del contratto di società anche se non iscritte nel registro delle imprese, come società irregolari.

Fine dell’attività:

a) Impresa individuale: un attività di impresa si considera cessata quando c’è effettività della cessazione dell’attività di impresa. L’attività si considera cessata al momento della cancellazione dal registro delle imprese. Nel concreto l’effettiva cessazione si verifica con la disgregazione dell’apparato produttivo, la cancellazione è un punto di riferimento formale.

b) Società: l’attività cessa di esistere nel momento della cancellazione dal registro delle imprese. Il momento della cessazione è molto importante perché a partire da quel momento incomincia a decorrere un anno in cui l’impresa può essere ancora soggetta a fallimento.

Un tempo, con la vecchia disciplina, si riteneva conclusa l’attività di una società solo quando tutti i rapporti giuridici che interessano la società erano chiusi (niente più debiti, crediti, proprietà). Questo, insieme all’estensione del fallimento fino ad un anno dopo la cessazione dell’attività comportavano che, dato che fallisce l’impresa insolvente, ovvero che ha dei debiti che non riesce a saldare, l’impresa insolvente è assoggettabile al fallimento all’infinito, finché non salda i debiti aperti perché finché non sono conclusi l’attività non si reputa cessata. Dal 2007 si adotta la nuova normativa che risolve il problema.

Capacità giuridica di chi svolge l’attività di impresa

Svolgere un attività di impresa comporta lo svolgimento di una serie di attività come concludere contratti per cui è richiesta la capacità giuridica. Tuttavia l’incapace può avere la qualifica di imprenditore: il suo rappresentante legale svolgono le attività in suo nome e per suo conto e all’incapace spetta la qualifica di imprenditore.

  • In casi di attività agricola non ci sono regole precise. L’impresa agricola viene trattata alla stregua di tutti i beni dell’incapace/inabilitato.
  • In caso di impresa commerciale c’è un divieto assoluto di inizio dell’attività di impresa, ad eccezione del caso del minore emancipato. È possibile che l’incapace continui l’attività di impresa (magari a causa di una successione la eredita) a due condizioni:
    • La prosecuzione di tale attività deve essere utile, arrecare beneficio all’incapace
    • È necessaria l’autorizzazione del tribunale
    • Nel caso dell’inabilitato (diverso da minore e interdetto) può essere richiesta l’autorizzazione al giudice a svolgere l’attività di impresa commerciale sotto la sorveglianza del tutore osservando le disposizioni dettato.
    • Il beneficiario dell’amministrazione di sostegno potrà liberamente iniziare o proseguire un’attività di impresa senza assistenza (infatti conserva la capacità d’agire), salvo che il giudice tutelare disponga diversamente nel decreto di nomina dell’amministratore di sostegno o in un successivo decreto motivato

Nei casi sopra elencati si ha la prosecuzione dell’attività da parte del rappresentante legale. L’incapace resta esposto quindi a tutte le conseguenze del suo status di imprenditore commerciale, compreso il fallimento. È fuori dubbio che sull’incapace ricadranno gli effetti patrimoniali del fallimento. Le sanzioni penali derivanti dal caso ricadranno però sul rappresentante legale. Le incapacità personali invece investiranno il minore perché esse derivano automaticamente dalla dichiarazione di fallimento.