Buoni Fruttiferi Postali emessi fino all’anno 2011: la riduzione retroattiva dei tassi di interessi è incostituzionale?

Buoni Fruttiferi Postali emessi fino all’anno 2011: la riduzione retroattiva dei tassi di interessi è incostituzionale?

Cosa sono i buoni fruttiferi postali

Come è noto, i Buoni Fruttiferi postali sono un prodotto di investimento finanziario molto diffuso tra il pubblico, non fosse altro perché sottoscrivibili in via continuativa (cosiddetta emissione “a rubinetto” ovvero senza un importo e un periodo temporale predeterminati, come per le emissioni obbligazionari del debito pubblico), con un taglio minimo piuttosto ridotto (a partire da euro 50,00), una tassazione agevolata, una capitalizzazione degli interessi predeterminati “secondo la tabella riportata a tergo dei buoni” e una scadenza a lungo periodo finanche trentennale.

La sentenza n. 26/20 della Corte Costituzionale

Queste due ultime caratteristiche – unitamente ai mutati scenari macro-economici e una stabilizzazione della nostra moneta nazionale per l’effetto dell’adesione all’euro che hanno indotto, a più riprese, il Ministero del Tesoro a “variare” in peggio “il saggio di interesse” – hanno scaturito nel tempo un lungo contenzioso che ha interessato sia le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione sia, da ultimo, la Corte Costituzionale (sentenza n. 26/20 depositata il 20 febbraio 2020).

Il Tribunale ordinario di Rossano – nel corso di un giudizio di opposizione proposto da Poste italiane spa avverso un decreto ingiuntivo che le intimava il pagamento delle somme residue che si assumevano da essa dovute, a due risparmiatori, i quali, nel 1983, avevano sottoscritto tre buoni fruttiferi postali dell’importo di un milione di lire ciascuno e, nel 2003, avevano riscosso tali titoli, ottenendo una somma inferiore, rispetto a quella attesa in base ai tassi di interesse previsti al momento della sottoscrizione dei buoni stessi – portava infatti “al vaglio di legittimità costituzionale l’art. 173 del decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni), come modificato dall’art. 1 del decreto-legge 30 settembre 1974, n. 460 (Modifica dell’art. 173 del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156), convertito, con modificazioni, in legge 25 novembre 1974, n. 588, e successivamente abrogato dall’art. 7 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 284 (Riordino della Cassa depositi e prestiti, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59), nella parte in cui «consentiva di estendere, con decreto del Ministro del Tesoro assunto di concerto con il Ministro per le Poste e le Telecomunicazioni, le modifiche peggiorative dei tassi di interesse ad una o più serie di buoni postali fruttiferi emesse precedentemente al decreto ministeriale stesso».

Ciò
alla stregua della prospettazione di un possibile contrasto della
suddetta norma, in parte qua:

– con l’art. 3 Cost., per l’ingiustificato sacrificio dell’aspettativa di chi, avendo già sottoscritto i buoni, avesse fatto ragionevole affidamento sul tasso di interesse vigente al momento della sottoscrizione;

– sotto altro profilo, con lo stesso art. 3 Cost., per l’ingiustificata disparità di trattamento che ne sarebbe derivata rispetto alla disciplina delle variazioni in peius dei tassi di interesse bancario, di cui agli artt. 117 e 118 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), poiché il mutamento peggiorativo dei saggi dei buoni fruttiferi risultava disposto senza la previsione della necessaria sottoscrizione per accettazione da parte dei titolari dei buoni e senza la necessaria comunicazione al domicilio dei titolari dei buoni, allo scopo di consentire loro il tempestivo esercizio del diritto di recesso;

– con
l’art. 47 Cost., per l’«assoluto scoraggiamento del risparmio
[…] postale», che ne sarebbe conseguito, per effetto della
introdotta «possibilità di estendere retroattivamente le variazioni
dei tassi di interesse», con il «rischio di una modifica in senso
peggiorativo delle condizioni esistenti», senza le garanzie di
trasparenza apprestate per il risparmio presso istituti di credito.”

C’è
da dire che la difesa delle Poste Italiane aveva avanzato una
richiesta – poi respinta – di «rinvio al giudice a quo per […]
ius superveniens, […] sub specie di orientamento giurisprudenziale

[nel frattempo]

consolidatosi». È pur vero, infatti, che la Corte
di cassazione – nel confermare che la disciplina recata
dall’abrogato art. 173 del d.P.R. n. 156 del 1973, in ordine alle
consentite variazioni anche in peius del tasso di interessi di buoni
postali, continua a trovare applicazione ai rapporti in essere alla
data di entrata in vigore del d.m. 19 dicembre 2000, emanato in
attuazione della norma abrogatrice di cui all’art. 7, comma 3, del
d.lgs. n. 284 del 1999 – ne ha anche escluso il contrasto con tutti
i parametri costituzionali che vengono ora in esame (Corte di
cassazione, sezioni unite civili, sentenza 11 febbraio 2019, n.
3963). Ma l’intervento nomofilattico della Corte regolatrice non
costituisce un novum ius, da rimettere alla valutazione del giudice a
quo, poiché attiene al diverso piano della interpretazione (ora per
allora) della norma e viene, quindi, in rilievo ai fini della
valutazione, nel merito, delle questioni di legittimità
costituzionale in ordine alla stessa sollevate.

La soluzione adottata

Nel dichiarare inammissibili entrambe le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 173 del decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni), la Corte Costituzionale osserva quanto segue:

4.1.– Secondo il rimettente, il denunciato art. 173 del d.P.R. n. 156 del 1973 – consentendo (fino al momento della poi intervenuta sua abrogazione ex art. 7 del d.lgs. n. 284 del 1999) di «estendere con efficacia retroattiva le modificazioni dei tassi di interesse disposte per le serie di nuova emissione» (nella specie, le modificazioni in peius introdotte dal decreto ministeriale del 1986) – avrebbe in primo luogo irragionevolmente leso l’«affidamento», riposto dai risparmiatori, sul tasso di interesse esistente al momento della sottoscrizione dell’investimento. Per tal profilo, la questione muove da un erroneo presupposto interpretativo, poiché la norma in esame è, in realtà, priva dell’asserito suo carattere retroattivo. Testualmente essa, infatti, al suo secondo comma, dispone che i buoni delle precedenti serie, ai quali sia estesa la successiva variazione del saggio, «si considerano come rimborsati e convertiti in titoli della nuova serie e il relativo computo degli interessi è effettuato sul montante maturato» e, cioè, sul capitale e sui correlativi interessi come sino a quel momento calcolati in base al saggio previgente. Vale a dire che la variazione sfavorevole del tasso di interesse dei buoni postali di che trattasi – consentita dal censurato art. 173 – non risale al momento della sottoscrizione del titolo, ma opera solo “per il futuro”, a decorrere dell’entrata in vigore del decreto che la disponga. Il che, appunto, esclude la retroattività in senso proprio (sentenza n. 173 del 2019), erroneamente attribuita alla norma denunciata. La quale, per altro, per il fatto stesso di consentire espressamente – e rendere, quindi, prevedibili – successive modifiche, anche riduttive, del saggio di interessi, escludeva con ciò che potesse consolidarsi, e prospettarsi di conseguenza leso, un “affidamento” del risparmiatore sulla invariabilità del saggio vigente al momento della sottoscrizione del titolo.

4.2.–
In secondo luogo, neppure sussiste la denunciata disparità di
trattamento tra utenti di servizi asseritamente analoghi che l’art.
173 produrrebbe con riferimento ai servizi bancari, in violazione
dell’art. 3 Cost., sotto il profilo della mancata comunicazione
individuale della modifica dei tassi di interesse.
Con riferimento
al periodo di vigenza della norma in esame, la natura giuridica delle
Poste come azienda autonoma dello Stato (sino al 1994) e poi come
ente pubblico economico (fino al 1999) ha comportato, infatti, una
innegabile eterogeneità dei buoni fruttiferi negoziati dalle Poste
italiane rispetto agli strumenti finanziari offerti dal sistema
bancario. La qualificazione – per costante giurisprudenza della
Corte di legittimità – di detti buoni come «titoli di
legittimazione» ha dato ragione della soggezione dei diritti
spettanti ai sottoscrittori dei buoni postali alle variazioni
derivanti dalla sopravvenienza dei decreti ministeriali volti a
modificare il tasso degli interessi originariamente stabilito. E ciò
ha portato a ritenere che, in ragione appunto della «soggettività
statuale del soggetto emittente e [delle] garanzie derivanti da tale
profilo soggettivo», la modificazione – demandata dalla norma
censurata al decreto ministeriale (accompagnata dalla prescrizione di
messa a disposizione della nuova tabella ai titolari dei buoni presso
gli uffici postali) – trovasse ingresso all’interno del contratto
di sottoscrizione del buono, mediante una integrazione ab externo del
suo contenuto, riconducibile alla previsione dell’art. 1339 del
codice civile (Corte di cassazione, sentenza n. 3963 del 2019). 4.3.–
La difesa dei risparmiatori ha prospettato che «la mera
pubblicazione in G.U. del D.M. che prevede la variazione […] non
assolv[a] ad una piena conoscenza in tale materia» e che ciò abbia
inciso sulla «libera allocazione del risparmio», impedendo agli
investitori l’esercizio del diritto di recesso e un’accettazione
per iscritto delle modifiche apportate dallo jus supervenies. Ma la
censura (peraltro solo in memoria) così formulata è inammissibile
per la sua estraneità al perimetro del thema decidendum, quale
segnato dall’ordinanza di rimessione.

5.–
Anche il residuo ipotizzato profilo di contrasto con l’art. 47
Cost. muove, a sua volta, dal presupposto del carattere “retroattivo”
delle variazioni sfavorevoli del saggio di interesse dei buoni
postali, che il denunciato art. 173 consentirebbe; e da ciò il
rimettente fa discendere il paventato effetto di «assoluto
scoraggiamento del risparmio (nella specie: postale)». La dimostrata
erroneità di un tale presupposto già di per sé comporta
l’infondatezza della censura in esame. Va comunque ancora
considerato come la possibilità di variazione, anche in senso
sfavorevole, dei tassi di interesse sui buoni fruttiferi postali,
consentita dalla disposizione in esame, riflettesse un ragionevole
bilanciamento tra la tutela del risparmio e un’esigenza di
contenimento della spesa pubblica; contenimento che, in caso di
titoli emessi da enti a soggettività statuale, implicava appunto la
previsione di strumenti di flessibilità atti ad adeguare la
redditività di tali prodotti all’andamento dell’inflazione e dei
mercati”.

di
Andrea Rossolini – Avvocato del Foro di Ancona

www.rossolini.net