Equilibri e disequilibri aziendali, soprattutto organizzativi
Il concetto di equilibrio secondo l’approccio sistemico, coincide con il concetto di omeostasi.
Le imprese che raggiungono in maniera automatica i loro equilibri sono in omeostasi; ma normalmente è la visibile hand (≠ invisibile hand di Adam Smith) dei manager ad influire sullo stato produttivo. La ricerca dell’equilibrio e la sua affermazione difficilmente si generano da sé. In assenza di omeostasi l’impresa esce dal mercato, in quanto diseconomica, a meno che non sia sovvenzionata da agenti esterni. Raggiungere l’omeostasi significa raggiungere obiettivi di efficacia ed efficienza, in modo tale da avere un reddito minimo di equilibrio.
L’impresa che raggiunge i suoi obiettivi è efficace, l’impresa che lo fa col minimo costo è efficiente; se fa entrambe le cose è amministrata economicamente.
- Efficacia → Rapporto Risultati – Obiettivi.
- Efficienza → Rapporto Input – Output
- Criterio di amministrazione → Economicità: permette di raggiungere …
- … il Risultato → Redditività; (ovvero l’equilibrio economico implica redditività)
- Equilibrio → Stato/Condizione.
L’equilibrio organizzativo ha a che fare con i rapporti tra interessi presenti nell’impresa.
Affermare che l’equilibrio sia il fine dell’impresa è estremamente scorretto.
La redditività è il rapporto tra utile e capitale proprio (ROE). Se il Roe del 2002 è ottimo, ma il prodotto non impatta più sul mercato nel 2003, l’impresa entra egualmente in crisi, perché la produzione non è atta a creare successo nel tempo.
Roi → Rapporto tra Risultato Operativo e Capitale (di prestito + K proprio)
L’equilibrio economico implica la copertura dei costi da parte dei ricavi e il residuo di un reddito RD (almeno minimo, nel senso che costituisce il minimo per soddisfare le attese di remunerazione di coloro che hanno apportato il capitale).
I manager mirano alla durabilità nel tempo dell’impresa, facendo pesare ammortamenti e accantonamenti il più possibile: mentre il proprietario mira al reddito, il manager mira al reinvestimento dei redditi nell’impresa (conflitto di interessi in ordine al reddito). Dal punto di vista del manager il reddito netto è dissipato, qualora distribuito.
Esistono varie definizioni di equilibrio finanziario:
- Patrimoniale (solidità)
- Monetario (solvibilità: equilibrio di cassa a breve)
- Complessivo
Nell’attivo patrimoniale troviamo il capitale investito (immobili brevetti etc.) nelle passività il capitale finanziario diviso in:
- CRD: capitale di credito
- CPR: capitale proprio
L’impresa che durante l’esercizio verifica un reddito può, comunque, non essere in equilibrio finanziario di cassa perché c’è un differimento tra la riscossione del ricavo ed il momento della spesa (oppure il cliente proprio non paga).
L’entrata è monetaria, il ricavo è un dato contabile. Perché ci deve essere un equilibrio di cassa?
Perché l’impresa deve essere solvibile (non cadere in uno stato di insolvenza, cioè l’attitudine dell’impresa a far fronte ai propri impegni/pagamenti). Può generarsi un paradosso in cui si sia in presenza di reddito ma di insolvibilità.
- Entrate = Incassi + Incassi per Debiti bancari (prestiti) + Interessi attivi + eccetera.
- Uscite = Pagamenti vari + Restituzione debiti + Interessi passivi + eccetera.
Per essere equilibrato il totale delle entrate deve essere uguale al totale delle uscite, o meglio: le entrate (E) più i fondi iniziali (F1) devono pareggiare le uscite (U) più i fondi finali (F2).
L’equazione espressa ieri alla fine della lezione è da analizzarsi infra-annualmente per accertare la solvibilità dell’azienda, che, pur in reddito, può non essere solvibile, anche per necessità budgetarie di controllo di gestione.
È un buon principio efficace di governo/management dell’impresa.
Analizziamo ora i casi in cui l’equazione diventi una disequazione: ci si trova di fronte a squilibri di cassa.
Se le entrate sono inferiori alle uscite, si richiedono a degli intermediari finanziari (tipicamente la banca) dei finanziamenti a breve, sconti di ricevute, o si chiede uno scoperto di cassa in modo da generare un flusso di cassa in grado di far fronte ai debiti verso i fornitori. Anche il socio può essere chiamato come fornitore di capitale di prestito allo scopo di coprire il disavanzo. Vediamo ora il caso in cui il disavanzo si configuri in maniera che le entrate siano superiori alle uscite. Sappiamo che questo avanzo è di breve periodo, quindi abbiamo una preoccupazione immediata: quale utilizzo dare a quell’avanzo per farlo uscire, in una situazione di impiego che sia opportuno?
Per quanto riguarda l’avanzo, l’utilizzo è più opportuno del consumo immediato, o, peggio ancora, del “nasconderlo sotto il cuscino”. Ad esempio: si può anticipare il pagamento di una fattura, chiedendo uno sconto; oppure estinguere un debito o uno scoperto di cassa.
Passiamo ad una seconda equazione di equilibrio, che riguarda lo stato patrimoniale, dove il capitale investito dell’attivo deve essere uguale al capitale di finanziamento nel passivo, formato dal capitale proprio e di credito.
La relazione è lecita ogni tot periodo (esempio 6 mesi), ma non frequentemente: è tendenzialmente annuale.
Il capitale di proprietà coincide col patrimonio netto = differenza tra attivo patrimoniale e debiti.
Il capitale di credito è formato da finanziamenti dei soci, prestiti bancari, prestiti obbligazionari emessi, etc.
Se l’attivo è troppo elevato si debbono trovare subito fonti che riequilibrino il totale.
Il concetto di solidità patrimoniale: per raggiungerla si possono percorrere diverse strade:
- prevalente capitale di credito
- prevalente capitale proprio
- mix equilibrato delle due
Questa relazione è importante perché segnala come il capitale investito è stato finanziato, cioè attraverso quali fonti.
Non esiste un principio che esprime come deve essere composto il portafoglio del capitale (ad esempio fifty-fifty).
L’equilibrio deve essere raggiunto attraverso “studi di settore”. Sono utili per capire qual è nel settore la relazione e l’equilibrata proporzione in cui devono trovarsi capitale di proprio e capitale di debito.
La solidità è espressa da un capitale proprio che consente di non squilibrarsi nei confronti dei creditori bancari ed extrabancari, in modo tale da non dipendere troppo dai finanziatori, dai quali, giustamente, si attinge.
L’azienda solida sa attingere equilibratamente da capitale di credito e capitale proprio.
I fondi si possono modificare di volta in volta o crearli con natura di debito reinvestito nella società.
Il fondo ammortamento tassato è il fondo che viene accantonato eccessivamente, allo scopo di ridurre l’utile d’esercizio, (che verrà speso dagli azionisti). Il manager, allo scopo di trattenere denaro a disposizione dell’impresa, ammortizza più del consentito dalla legge, sapendo già che pagherà una sanzione, tuttavia evitando di distribuire denaro utilmente sfruttabile (autofinanziamento). Ad esempio: f.do rischi su crediti elevato. F.do imposte e f.do liquidamento personale hanno tipica natura di debito. La sottocapitalizzazione è un errore tipico dell’imprenditore italiano: considerare le imprese come se potessero vivere sul debito.
Terza componente dell’equilibrio è quella organizzativa. L’equilibrio organizzativo ha a che fare con:
- l’armonia dei rapporti di integrazione interpersonali;
- la situazione di interfunzionalità e interdipendenza reciproca tra parti e partecipanti e con l’assenza del conflitto tra esse;
- assicurare sempre (all’avvio e nel durante) una compatibile relazione tra gli interessi degli operatori;
- politiche (policies) a livello operativo, comportamentale manageriale (compatibile con le finalità aziendale senza prevaricarle): coordinamento tra organi direttivi e deliberativi
Fondamentalmente riguarda la gestione del fattore umano, come portatore di interessi.
Dal punto di vista qualitativo, tale equilibrio è espresso da BB = CC1 + CC2:
Benefici = Costi: – costi di progettazione e realizzazione di strutture ordinate; costi di coordinamento inerenti all’integrazione sociale in azienda, anche attraverso incentivi morali, di carriera, nonché, ovviamente, monetari.
Questi interventi atti a creare armonie e sanare conflitti comportano un costo! L’equilibrio organizzativo è costoso, quindi l’effetto (benefici o benefit) deve essere almeno pari ai costi che provoca per essere raggiunto.
I benefici sono misurabili in termini di ricavi maggiori e minori costi in risorse umane.