Tassazione di chi usa gratis beni aziendali
Le imprese che danno in uso a propri soci o familiari i beni posseduti non possono dedurre il relativo costo se il corrispettivo pagato dalla persona fisica è inferiore al valore di mercato del diritto o godimento.
Il socio o il familiare che utilizza i beni deve far concorrere alla formazione del reddito la differenza tra il valore di mercato[1] del diritto d’uso e il prezzo pagato alla società proprietaria.
La norma nasce per contrastare le intestazioni di comodo di beni personali ma, pur facendo parte della stretta sulle società non operative, non contiene limitazioni circa il tipo e il regime dell’impresa proprietaria dei beni. Essa si applica anche per concessioni da parte di società fuori da tale regime (società di capitali, società di persone, imprese individuali) con esclusione delle società semplici, degli enti non commerciali e delle società estere con stabile organizzazione in Italia.
Monitoraggio dei beni e redditi di soci e familiari
Le società e gli enti che danno beni in godimento ai soci e ai loro familiari devono predisporre una comunicazione da inviare all’Agenzia delle entrate. Il documento riguarda però solo i beni concessi in uso per un corrispettivo inferiore al valore di mercato.
Un finanziamento soci è considerato interamente come spesa dell’anno e, come tale, rileva quale reddito presunto dello stesso periodo. E poiché le comunicazioni relative ai beni utilizzati dai soci servono anche per effettuare i controlli nei confronti dei medesimi, a prescindere dall’accertamento sintetico, l’Agenzia delle entrate provvederà a controllare sistematicamente la posizione delle persone fisiche che utilizzano in godimento i beni della società.
[1] Il valore di mercato dei beni concessi in godimento ai soci deve essere inteso come valore normale definito dall’art.9 TUIR ovvero come prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione.