Modificazione dello statuto
L’atto costitutivo e lo Statuto devono avere un contenuto predeterminato e contenere tutta la regolamentazione della società. L’atto contiene solo i termini essenziali, mentre lo Statuto la regolamentazione dei rapporti tra i soci. Essi decidono l’insieme di regole e le inseriscono nello Statuto: le regole non sono immutabili. Vi sono norme per la modifica del capitale sociale, che deve essere approvata in assemblea straordinaria. Vengono determinati i quorum costitutivi e deliberativi dell’assemblea straordinaria (possono essere rafforzati rispetto a quella ordinaria). Nell’assemblea straordinaria vi deve essere necessariamente un notaio che redige il verbale.
Come per la costituzione, sino al 2000, in sede di modificazione dello Statuto vigeva l’omologa da parte del tribunale che doveva controllare la liceità della modifica. Vi possono essere anche clausole atipiche, ma la maggior parte delle clausole delle SPA devono essere imperative (controllo di legittimità). Dal 2000, il controllo di legalità viene compiuto direttamente dal notaio, la stessa cosa avviene anche in sede di modifica dello statuto. Notiamo una differenza in sede di costituzione: o il notaio considera legittimo l’atto o si apportano modifiche. Dopo di che:
- il notaio ritiene che la modifica sia corretta e provvede a comunicarlo presso il registro delle imprese.
- il notaio ritiene che non sia conforme alla legge, e provvede a comunicarlo agli amministratori, che, nei 30 giorni successivi, possono:
- riconvocare l’assemblea e deliberare in modo conforme a quanto esposto dal notaio;
- fare ricorso al tribunale per fargli decidere in merito alla legittimità dell’omologa.
Nella pratica il ricorso al notaio è poco sfruttato, in quanto non si ama molto avere interferenze nell’operato. Fino al 2000 con l’omologazione vi era una griglia per conoscere i casi considerati leciti o non. Oggi la situazione è un po’ più problematica, perché lasciata in mano ai notai. L’iter di modifica statutaria si conclude con la deliberazione di modifica che non produce effetti se non dopo l’iscrizione nel registro delle imprese; non può essere eseguita prima dell’iscrizione stessa. La nuova normativa impone di depositare sempre tutto lo statuto con tutte le ultime modifiche.
- Il diritto di recesso
- La riforma del 2003: casi di recesso
- Le clausole del diritto di recesso
- Procedimento di recesso
- Modificazioni aumentative o diminutive del capitale sociale
- Il diritto d’opzione
- Regole per l’aumento del capitale nominale
- Diminuzione del capitale sociale
- Regole per la riduzione reale
- Riduzione del capitale per perdite
- I controlli della società
- Le funzioni del revisore
- Sistemi alternativi
Il diritto di recesso
Esso può essere legato alle modificazioni dello Statuto, in quanto, potendo la maggioranza modificarlo, la restante minoranza dissenziente avrà diritto di lasciare la società.
La riforma del 2003: casi di recesso
Si è passati dal sistema di recesso limitato a pochissimi casi (cambiamento dell’oggetto sociale, trasformazione della società, trasferimento della sede all’estero) in cui il recesso non veniva esercitato (a causa della disciplina rigida relativamente al valore della quota, per preservare l’integrità del capitale sociale). In passato la quota doveva essere valutata a valori contabili (i controlli erano prudenziali e non effettivi), e risultava spesso minore di quella effettiva. Oggi, invece, quest’istituto è diventato più importante, perché il legislatore, se da una parte ha dato più poteri decisionali ai soci di maggioranza, dall’altra ha ampliato notevolmente le ipotesi di recesso; queste possono essere liberamente scelte dai soci; inoltre, la quota è a valori reali e non contabili. Nel c.c. del 1942 la tutela dei soci minori era soprattutto giudiziale (venivano annullati gli atti che danneggiavano i soci minori), ma era una tutela poco funzionante. Si è così deciso, soprattutto per le piccole imprese, di aumentare la difficoltà di attaccare gli atti della maggioranza, ma altresì di aumentare la possibilità di uscire dalla società. Con la nuova normativa, il socio può andarsene facendosi liquidare la quota a valori reali.
Le clausole del diritto di recesso
Esistono 3 tipi di clausole di recesso, ma non sono tassative come in passato.
- Clausole di recesso inderogabili: la legge prevede ipotesi di recesso che i soci non possono eliminare (le clausole contrarie sono nulle). Esse sono divise, a loro volta, come segue:
- Modifica dell’oggetto sociale (si specifica che può avvenire solo il cambiamento di significato, mentre prima bastava un piccolo cambiamento).
- Trasferimento della sede sociale all’estero.
- Revoca dello stato di liquidazione (prima si riteneva che in liquidazione i soci avessero diritto di ricevere la propria parte e si discuteva se la liquidazione potesse essere revocata: si poteva deciderlo solo all’unanimità; il diritto alle quote non era dell’assemblea ma di ogni singolo socio); ove in caso di liquidazione si possa deliberare la ripresa dell’attività, anche in maniera non unanime ma a maggioranza purché i soci dissenzienti possano recedere.
- Eliminazione di una o più clausole di recesso derogabili o previste dallo statuto (in caso di mutazione delle clausole di recesso è possibile decidere se recedere).
- Modificazione dello statuto concernenti il diritto di voto e partecipazione.
- Nelle società quotate possono recedere coloro che non hanno partecipato alla delibera.
- Clausole di recesso derogabili: lo Statuto può prevedere di eliminare queste clausole di legge:
- Proroga del termine di durata della società;
- Introduzione o rimozione di vincoli alla circolazione delle azioni (per la giurisprudenza le clausole di prelazione sono lecite; per eliminarle è sufficiente la maggioranza, ma sussiste il diritto di recesso);
- Clausole di recesso che si ritengono più idonee (possono attuare tali modifiche le società che fanno appello al capitale di rischio);
- Società contratta a tempo determinato (prima si faceva riferimento solo al tempo determinato, ora anche a quello indeterminato, ma con diritto di recesso ad nutum + preavviso di 180 giorni, estendibili fino ad un anno).
- Clausole di recesso statutarie: si può decidere di recedere quando si vuole, sono clausole libere.
Procedimento di recesso
Il diritto di recesso deve essere esercitato facendo pervenire alla società una lettera raccomandata entro il termine di 15 gg. dall’iscrizione nel registro delle imprese della delibera che legittima il recesso. Il termine è di 30 gg. se il motivo del recesso non è una delibera. In quest’ultimo caso, il termine inizia dal momento della conoscenza del fatto che legittima il recesso. Le azioni del socio che decide di recedere devono essere depositate presso la società e non più cedute (la società le deve rimborsare al valore reale). Se la società non ha i soldi, può sottrarsi all’obbligo di rimborso se delibera il suo scioglimento.
Nella vecchia disciplina, le quote venivano rimborsate al valore contabile; è oggi stabilito che il valore delle azioni è deliberato dagli amministratori, tenendo conto della consistenza societaria del patrimonio, delle prospettive reddituali e dell’eventuale valore di mercato delle azioni (previo parere dei sindaci, ex art. 2437 ter). Metodo per la valutazione è il cash flow. Con la riforma la valutazione societaria non è più a valori contabili ma a valori reali per le società non quotate, mentre per le quotate è un valore certo.
Per quanto riguarda le modificazioni aumentative, esse possono essere reali o nominali:
- si ha un aumento reale mediante nuovi conferimenti (così come si ha una diminuzione reale mediante la restituzione ai soci dei conferimenti);
- lasciando a riserva gli utili si ha un aumento nominale (mentre la riduzione nominale si ha con le perdite).
Con l’aumento di capitale si emettono nuove azioni. Si ha un aumento di capitale reale se a fronte dei nuovi mezzi apportati vengono emesse nuove azioni (non devono essere interamente liberate; il 25% viene liberato ed il 75% rimane un credito della società verso i soci). Il legislatore, con la riforma, ha voluto impedire che rimanessero aperte troppe posizioni creditorie. Oggi per l’aumento viene richiesto che il capitale previamente sottoscritto vada interamente versato e quindi le azioni interamente liberate.
Nella nuova normativa si può deliberare, ma non si può esperire senza che tutti i decimi delle azioni già emesse siano liberati. In caso contrario si crede che l’aumento sia valido ma non vi è responsabilità in capo agli amministratori. È competente l’assemblea straordinaria dei soci, ma vi è una deroga, cioè lo statuto stabilisce che gli amministratori possono deliberare l’aumento reale del capitale sociale (tramite apposite clausole), predeterminando l’ammontare massimo entro cui gli amministratori possono aumentare il capitale sociale. La delega può essere concessa per un periodo massimo di 5 anni. La delega è rinnovabile dall’assemblea straordinaria.
Per la delibera nelle assemblee straordinarie e nel Consiglio di Amministrazione è necessario un notaio: non è sufficiente una delibera del CDA stesso. È infine stabilito che anche gli amministratori possono limitare il diritto di opzione, purché lo Statuto indichi in modo preciso come questo debba avvenire. Sia l’aumento deliberato dall’assemblea, sia quello deliberato dagli amministratori deve avere un termine non inferiore a 30 giorni per la sottoscrizione delle nuove azioni. Con gli aumenti reali il patrimonio si incrementa davvero. Lo Statuto poteva concedere questo potere anche al CDA: se veniva deliberato l’aumento vi era la possibilità di sottoscrivere le azioni. L’aumento può essere deliberato come scindibile o inscindibile: se non scriviamo niente l’aumento è inscindibile; per considerarsi scindibile è necessario che questa caratteristica sia espressamente enunciata in delibera.
Con l’aumento scindibile si può perfezionare anche una sottoscrizione parziale dell’aumento stesso (es.: aumento di capitale da 1 a 2 milioni; i terzi possono sottoscrivere 1 milione. Dopo 30 gg. è stato sottoscritto solo per 550 mila. Nel caso dell’aumento scindibile il capitale verrà aumentato di tale quota, nel caso dell’inscindibile, considerando che non si è raggiunta la quota, non vi sarà alcuna aumento di capitale).
Il diritto d’opzione
Per i beni in natura è necessario seguire l’iter di costituzione; per il denaro basta versare il 25%, ma in ogni momento gli amministratori possono richiedere il restante 75; il sovrapprezzo, invece, si versa tutto. Quando si delibera l’aumento del capitale a pagamento si può esercitare il c.d. diritto d’opzione, cioè il diritto dei soci attuali di essere preferiti a terzi. Il diritto di opzione lascia inalterate le quote di partecipazione dei soci. Abbiamo qui due funzioni:
- Funzione amministrativa: mantenere le stesse proporzioni relativamente al diritto di voto;
- Funzione patrimoniale: mantenere pro-quote tra i soci le riserve medio-tempore accumulate.
Il diritto di opzione ha un elevato valore economico, ma non è totalmente intangibile: spetta a tutti i soci di qualunque categoria e ai possessori di obbligazioni convertibili. Può essere esercitato, come minimo, entro 30 giorni. Particolari regole ci sono per le azioni inoptate (non tutti sottoscrivono l’opzione): se l’azione non è quotata i soci che hanno esercitato il diritto d’opzione hanno il diritto di prelazione sulle azioni non optate purché ne abbiano fatto richiesta al momento dell’esercizio dell’opzione. Se le azioni sono quotate i diritti di opzione residui devono essere offerti in borsa per conto della società e l’eventuale ricavato delle vendite andrà ad incrementare il patrimonio sociale. Le azioni possono essere ricollocate fra i compratori dagli amministratori.
Il diritto d’opzione è escluso per legge quando le azioni devono essere liberate da un bene in natura. La norma generale prevede che il diritto d’opzione possa essere escluso o limitato quando l’interesse della società lo esiga. L’assemblea che delibera l’aumento deve rappresentare la metà del capitale sociale. Lo “stock option plan” è la limitazione del diritto d’opzione quando le azioni sono offerte ai dipendenti, diffusissime fino al 2000. I piani fatti per incentivare i dipendenti hanno vantaggi fiscali notevoli, in quanto tassati con aliquota fissa del 12,5%. Qualora venga limitato il diritto di opzione sarà obbligatorio emettere le azioni con sovrapprezzo. La società può avere un margine di discrezionalità sul sovrapprezzo, con riferimento al patrimonio netto o all’andamento di mercato.
Regole per l’aumento del capitale nominale
Non determina alcun tipo di aumento del patrimonio netto delle società. Si imputano al capitale sociale delle riserve, che devono essere disponibili. Non può essere imputata a capitale la riserva legale. La riserva è liberamente disponibile dall’assemblea ordinaria, mentre per un eventuale rimborso è necessario una delibera dell’assemblea straordinaria. Le azioni sono assegnate ai soci gratuitamente purché non si alterino le funzioni amministrative e patrimoniali citate prima.
Esistono due tipi di diminuzione:
- diminuzione reale: effettiva restituzione ai soci dei conferimenti.
- diminuzione nominale: riduzione del capitale per perdite. Nel caso di perdite, infatti, il patrimonio è già ridotto, ma bisogna fare corrispondere il capitale nominale con quello effettivo.
Regole per la riduzione reale
La riduzione reale, prima del 2003, era alquanto difficile perché era possibile solo per esuberanza rispetto alle esigenze societarie. Oggi si possono rimborsare i conferimenti anche senza dimostrare un’esuberanza. Vi sono, tuttavia, cautele nei confronti dei terzi: non si può andare oltre i limiti legali (120.000€ per SPA, in passato erano 100.000 ma non vi è l’obbligo di adeguamento, 10.000€ per le SRL). La delibera della riduzione non è direttamente esecutiva mediante la sola iscrizione nel registro: si debbono aspettare 3 mesi dal deposito. I creditori possono fare opposizione ad essa, interrompendo l’esecuzione della delibera.
Il tribunale può anche disporre che la riduzione si faccia in presenza di un’opposizione, purché la società conceda garanzie di pagamento ai creditori legittimi. Si possono liberare i soci dai conferimenti dovuti alla società per affrontare le perdite oppure possono essere estratte a sorte le azioni che poi verranno rimborsate; l’importante è che vi sia parità di trattamento fra gli azionisti. Sono state create le azioni di godimento proprio per questo: quando un azionista viene estratto, gli viene rimborsato il valore nominale della sua azione e gli viene data l’azione di godimento. Le azioni di godimento hanno 2 caratteristiche:
- diritto di ricevere dividendo quando alle altre azioni è stato dato un saggio di interesse legale sul valore nominale.
- in caso di scioglimento prima viene rimborsato il valore nominale agli altri soci e poi l’eventuale eccedenza viene data ai titolari delle azioni di godimento.
Riduzione del capitale per perdite
È una riduzione nominale: non si rimborsa alcunché, solamente si fa in modo che il capitale nominale si allinei nuovamente al capitale reale. Esistono, inoltre, 2 sottospecie:
- Riduzioni di capitale obbligatorie: se la perdita intacca il minimo legale, la riduzione è obbligatoria quando le perdite erodono il capitale sociale per oltre 1/3. Il termine di rapporto è, ovviamente, il capitale nominale (tecnicamente: il patrimonio netto è inferiore di oltre 1/3 del capitale sociale; dove il patrimonio netto reale = capitale sociale + riserve – perdite)
- Riduzione di capitale facoltative: non c’è nessun obbligo di legge, ma i soci possono, comunque, optare per la riduzione. Motivi per la riduzione facoltativa:
- Non si possono distribuire utili qualora vi siano perdite che erodono il capitale.
- Non si possono emettere azioni sotto la pari.
Art. 2446 (aggiornato). (Riduzione del capitale per perdite). – Quando risulta che il capitale è diminuito di oltre un terzo in conseguenza di perdite, gli amministratori o il consiglio di gestione, e nel caso di loro inerzia il collegio sindacale ovvero il consiglio di sorveglianza, devono senza indugio convocare l’assemblea per gli opportuni provvedimenti. All’assemblea deve essere sottoposta una relazione sulla situazione patrimoniale della società, con le osservazioni del collegio sindacale o del comitato per il controllo sulla gestione. La relazione e le osservazioni devono restare depositate in copia nella sede della società durante gli otto giorni che precedono l’assemblea, perché i soci possano prenderne visione. Nell’assemblea gli amministratori devono dare conto dei fatti di rilievo avvenuti dopo la redazione della relazione. Se entro l’esercizio successivo la perdita non risulta diminuita a meno di un terzo, l’assemblea ordinaria o il consiglio di sorveglianza che approva il bilancio di tale esercizio deve ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate. In mancanza gli amministratori e i sindaci o il consiglio di sorveglianza devono chiedere al tribunale che venga disposta la riduzione del capitale in ragione delle perdite risultanti dal bilancio. Il tribunale provvede, sentito il pubblico ministero, con decreto soggetto a reclamo, che deve essere iscritto nel registro delle imprese a cura degli amministratori. Nel caso in cui le azioni emesse dalla società siano senza valore nominale, lo statuto, una sua modificazione ovvero una deliberazione adottata con le maggioranze previste per l’assemblea straordinaria possono prevedere che la riduzione del capitale di cui al precedente comma sia deliberata dal consiglio di amministrazione. Si applica in tal caso l’articolo 2436. Art. 2447 Riduzione del capitale sociale al di sotto del limite legale (sostanzialmente immutato). Se, per la perdita di oltre un terzo del capitale, questo si riduce al di sotto del minimo stabilito dall’art. 2327 (120.000 per le SPA; 10.000 per le SRL), gli amministratori devono senza indugio convocare l’assemblea per deliberare la riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore al detto minimo, o la trasformazione della società.
In caso non si provveda ad operare seguendo uno dei due articoli di cui sopra, la società entra in stato di liquidazione e gli amministratori che non hanno operato regolarmente sono personalmente responsabili. Nella pratica, per evitare di applicare tali articoli, e di pagare il notaio e sostenere i costi per l’assemblea straordinaria, si utilizzano dei versamenti a fondo perduto: soldi che i soci mettono nella società senza diritto di restituzione. Il versamento deve essere effettuato entro la chiusura del bilancio, per contrastare le perdite. È possibile aumentare il capitale sociale senza coprire le perdite? Secondo la giurisprudenza non è possibile, perché, se la perdita superava un terzo del capitale, aumentando il capitale stesso, essa potrebbe non superare ancora quel limite e si riuscirebbero ad eludere gli articoli sopra esposti. È stato, inoltre, stabilito che non è possibile nemmeno rivalutare i beni in bilancio a tale scopo, salvo che sulla base di leggi speciali.
I controlli della società
Il controllo contabile, non presente nel codice del ’42, è stato introdotto con la mini riforma del 1974, poiché gli strumenti di controllo interno non bastavano e si erano voluti creare dei meccanismi di controllo esterno. La Consob controlla le società quotate. Insieme a tale controllo vi è il “controllo legale dei conti”, confermato con la riforma del ’98, oggi utilizzato per tutti i tipi di società. Perché il controllo contabile è per tutti? Perché, secondo il codice del ’42 doveva esser svolto dal Collegio Sindacale, che, però, era particolarmente inefficiente ed inefficace. Esistono 3 tipi di regimi:
- Per le società chiuse: nelle società che non fanno ricorso al mercato di rischio, il controllo contabile è esercitato da un revisore contabile, che può essere sia una persona fisica sia una società di revisione, comunque iscritto nel registro dei revisori contabili, tenuto presso il Ministero di Grazia e Giustizia. Tuttavia, se la società non è tenuta alla redazione del bilancio consolidato, lo Statuto può affidare le funzioni di controllo contabile al Collegio Sindacale (per le società di medie dimensioni soprattutto, dove il collegio sindacale può essere costituito da revisori contabili).
- Per le società diffuse (aperte ma non quotate): il controllo contabile può essere eseguito soltanto da una società di revisori contabili iscritta nel registro dei revisori, non da una persona fisica.
- Per le società quotate: l’attività di revisione deve essere affidata ad una società di revisione iscritta ad un apposito albo tenuto dalla Consob. La società di revisione può essere sia una società di capitali, sia una società di persone e deve avere un oggetto sociale limitato ad un’attività di revisione contabile. I componenti devono avere requisiti di onorabilità e professionalità e sono essi stessi soggetti ai controlli della Consob. Il primo revisore viene nominato nell’atto costitutivo insieme ai sindaci e agli amministratori; il potere di nomina è dell’assemblea dei soci per i successivi incarichi. Si applicano le cause di ineleggibilità e incompatibilità previste per i sindaci.
Sempre per le società quotate, esistono regole restrittive: l’assemblea ordinaria, in sede di approvazione di bilancio, deve nominare il revisore; qualora questo non accada, sarà la Consob a provvedervi. L’incarico dura 3 esercizi. Il mandato non può durare più di 2 volte consecutive. L’allontanamento del revisore può esservi solo per giusta causa, sentito il Collegio Sindacale; la revoca deve essere, inoltre, confermata dal Tribunale, che dovrà anche interpellare il revisore stesso.
Le funzioni del revisore
Il revisore deve verificare la correttezza delle tenute contabili, nonché esprimere un giudizio sul bilancio di esercizio e su quello consolidato. Vediamo i giudizi del revisore:
- Senza rilievi: secondo il revisore non ci sono problemi.
- Con rilievi: il revisore esprime dei pareri su singole incertezze o lievi inadempienze, che verranno corrette dai soci.
- Giudizio negativo: la contabilità non è veritiera ed il bilancio non rispecchia la realtà.
- Il revisore non ha potuto esprimere un giudizio.
Negli ultimi 3 casi, la società deve dar conto dei motivi, e se è quotata deve essere fatto presente alla Consob. Deve sussistere una stretta collaborazione tra revisori, sindaci e amministratori, che si identifica con la consegna e gli scambi, reciproci e tempestivi, di documenti. Il revisore redige il libro dei revisori. Nelle società quotate, il revisore deve informare la Consob degli atti pregiudizievoli, in caso contrario incorre in responsabilità:
- Diretta: per mancanze od omissioni nel lavoro;
- Mediata: per non aver controllato gli errori fatti dagli altri.
Questo è il sistema tradizionale (amministratori, revisori, sindaci), ed è adottato in Italia dal 99% delle società.
Sistemi alternativi
- Il sistema Dualistico: tipicamente tedesco. Vede 3 organi:
- il revisore contabile;
- il consiglio di gestione (in luogo degli amministratori);
- il consiglio di sorveglianza: ha le stesse competenze del Collegio sindacale (cioè ha funzione di controllo) ma ha altresì funzioni proprie dell’assemblea, quali la nomina/revoca degli amministratori e l’approvazione del bilancio.
- Il sistema Monistico: tipicamente anglosassone. Ne riparleremo in seguito.
Nel silenzio dello Statuto vale il sistema tradizionale, se i soci vogliono adottare altri metodi lo devono specificare.